Cinque stelle su otto all’estero: è mondiale il successo di Da Vittorio, che esporta un made in Italy irresistibile, fatto di cura del vivaio, identità e gola.
La notizia
È un momento magico per la famiglia Cerea: dopo la meritata stella al Carpaccio di Parigi, sontuosa ambasciata della cucina italiana dai tempi di Paracucchi, rivitalizzata dal talento di Oliver Piras e Alessandra Del Favero, arriva un’altra soddisfazione all’estero. Da Vittorio Shanghai è salito al 28 posto della 50 Best Asia. Merito della visione gastronomica e imprenditoriale, nonché delle abilità di talent scout di una famiglia ormai leggendaria.Stellato ad appena 3 mesi dall’apertura nel 2019 e già bistellato nel 2020, al suo ingresso in classifica il ristorante cinese ha subito strappato un ranking di prestigio. Lo guidano Stefano Bacchelli, classe 1987, già executive chef di Da Vittorio St. Moritz, e il direttore di sala Enrico Guarnieri. Invariata la ricetta, fatta di tecnica e materia prima, creatività e gusto contemporaneo. Ma non è l’unica casa dei Cerea nella metropoli: è stato appena inaugurato l’art museum restaurant New Wave by Da Vittorio, affidato a Francesco Bonvini, già sous chef di Bacchelli, i cui menu si ispirano alle esposizioni dell’UCCA Edge. Di fatto Da Vittorio è il ristorante italiano più premiato di sempre all’estero: con St. Moritz sono 5 stelle su un totale di 8.
Significa che la formula è universale e funziona per davvero. Ma cosa prevede esattamente? “Il nostro segreto è tenerci questi ragazzi vicino e trasmettere loro la nostra filosofia di cucina: quella per cui la bontà, la golosità, la goduria del piatto vinceranno sempre su tutto”, sintetizza Chicco. “Poi ci sono l’intelligenza nell’applicazione, la professionalità, le tecniche... Trasmettiamo il più possibile le nostre ricette, adattandoci alla materia locale, per esempio a Shangai il pesce o il manzo giapponese, sempre scelti dai fornitori migliori. Scendiamo un po’ tutti a turno, essendo in tanti ogni mese qualcuno va a provare in cucina e pianificare il menu. E facciamo attenzione al palato locale, per esempio in Cina chiedono più spezie, meno sale e meno zucchero, ma questo non vuol dire perdere l’identità. A Dubai, come a New York e a Londra, dovunque ricevi lo stesso trattamento, i grandi nomi sono omologati e perfino un italiano serve il sushi per accontentare il cliente locale. Allora preferisco una buona trattoria, che propone una ribollita o una pasta ripiena fatta bene. Siamo pur sempre ambasciatori della nostra cucina”.
“Ho sempre amato la cucina asiatica e avere un piede in loco mi aiuta ad ampliare la mia visione. Per esempio, adesso a Brusaporto serviamo un carpaccio di cervo scottato con l’olio al sesamo secondo una tecnica, che ho visto e approfondito a Shangai. Lì come a Parigi vincono a mani basse i nostri primi: i paccheri, i risotti, le paste ripiene. A Parigi siamo in un momento di assestamento, siamo partiti con una cucina buona che piace a tutti, poi inseriremo qualcosa di diverso. Sono situazioni che ci rendono particolarmente orgogliosi, ma ci aiutano anche a sviluppare nuovi mercati per i nostri dolci. Soffrono i lunghi viaggi e stiamo studiando come confezionarli con farine e lieviti per forza di cose differenti”.
Ma non c’è Da Vittorio senza servizio: a occuparsi della formazione della sala in questi ristoranti è Rossella, cinghia di trasmissione dello stile della casa, improntato alla massima attenzione nella familiarità. “Il cuore batte comunque a Brusaporto, perché i ragazzi escono tutti da qua, in sala come in cucina. Ricevo decine di curriculum ogni settimana, da lì scegliamo i migliori e li facciamo crescere con noi”. Un vivaio Italia che il mondiale l’ha già vinto.