Una materia prima senza eguali, una proposta dinamica e aggiornata sul mondo, un servizio che fa sentire l’ospite come un re: Da Vittorio è il tre stelle più tre stelle d’Italia.
Da Vittorio
Il ristorante
I tre stelle, si sa, in Italia sono undici, tutti stupendi. Ma forse non c’è tre stelle più tre stelle di Vittorio a Brusaporto, ristorante dove ogni gourmet dovrebbe andare almeno una volta, e poi tornare appena può.
Merito di una magnificenza che inizia dagli spazi generosi e prosegue in un servizio sorridente, dei momenti festosi del carrello dei formaggi e della kermesse dei dolci, di una materia prima di terra e di mare senza eguali in Italia, di una miriade di dettagli grazie ai quali l’ospite vive un’esperienza paranormale e può sentirsi letteralmente un re. Se dovessi spiegare che cos’è l’alta cucina a un alieno, non avrei dubbi: farei atterrare l’astronave sopra il prato della Cantalupa.
Il rischio, tuttavia, è quello di lasciarsi abbagliare dal contesto, sottovalutando la cucina, dove il lavoro ferve non meno che in sala e nelle riunioni aziendali. Quella di Chicco e Bobo Cerea è invece una proposta straordinariamente dinamica, tecnica e aggiornata sul mondo, per quanto sorridente come loro e democraticamente alla portata di tutti i palati. Il ristorante è sempre pieno, ma la creatività non si è fermata. Cosicché di tanto in tanto serpeggia un po’ di insofferenza verso qualche fermoimmagine di troppo.
Il celebre Pacchero alla Vittorio, per esempio, campione dei gift nella versione casalinga, da quest’anno non è più in carta, anche se presidia tutti i menu degustazione; mentre l’orecchia di elefante è disponibile solo su prenotazione, anche per la difficoltà di reperire una materia prima adeguata in maggiori quantità. “Da Vittorio è anche altro”, taglia corto Chicco. “Ma i signature rimangono”.
Sarà per questo che neppure il pesce, protagonista dei primi 50 anni del ristorante, è più un dogma. Da qualche mese, in alternativa alla carta con 4 proposte per comparto, al menu della Tradizione di Vittorio e al Carta Bianca a sorpresa, c’è un degustazione interamente dedicato alla terra, che è possibile mixare con quello di mare in apertura, sempre considerando le variazioni dovute al mercato del giorno.
“È stata una scelta in controtendenza, perché siamo conosciuti soprattutto per il pesce. Ma in realtà rappresenta un ritorno alle origini di papà Vittorio, che aveva iniziato come garzone di macelleria. Per lui la carne era una passione e la conosceva a menadito; sapeva tutti i tagli, anche quelli più insoliti, gli impieghi, le frollature… Poi negli anni ’60, quando qui intorno tutti servivano arrosti e bolliti, quasi che col boom alla gente fosse rimasta la voglia di carne, aveva avuto la lungimiranza di immaginare un mercato diverso. ‘Se quando vado a Venezia dai miei parenti mangio un pesce eccezionale, perché non dovrei portarlo a Bergamo?’ Ma fin dal principio aveva conservato un 20% di carne.
L’orecchia di elefante l’ho vista fare per la prima volta da lui. Poi ricordo una preparazione speciale, l’arrosto di codino con osso, taglio da circa 6 chili misto e molto godurioso, che faceva cuocere per oltre due ore con delle attenzioni particolari, giocando con le temperature e irrorando senza posa. Ancora qualche cliente ce lo chiede e noi lo facciamo su prenotazione, con la carne speciale dei vitelli piemontesi con cui prepariamo l’orecchia di elefante”.
“Ci è venuta voglia di celebrare questa sfaccettatura meno nota con un menu particolare, che inaspettatamente ha riscosso un grande successo, forse perché in questa fase storica sentiamo tutti il bisogno di certezze. Siamo muniti da tempo di celle statiche per la frollatura, ma in questi 56 anni abbiamo costruito una rete di fornitori che ci portano la carne quando è pronta. Per esempio, se decidiamo di dedicare una serata al bollito. La provenienza è in gran parte italiana, con qualche eccezione come wagyu e foie gras”.
I piatti
Fra le otto corse (prezzo 220 euro) figura un carpaccio che viene terminato al tavolo con una cucchiaiata di olio incandescente al sesamo, condito con vari profumi e odori. Dove il gioco è quello di indovinare la carne, visto che il cervo, se veniva annunciato, non riscuoteva lo stesso successo. Un’occasione in più per valorizzare la sala, che da Vittorio è letteralmente famiglia. Il sommelier Fabrizio Sartorato, che amministra 1600 etichette in carta (più 1000 fuori, in affinamento), qui mesce un Timorasso Borgogno 2018, bianco con struttura da rosso.
Oppure la castagna di foie gras, trompe-l’oeil a base di terrina e purea di castagna, rivestito di gel al cacao con qualche cristallo di sale di Maldon. Perché ora più che mai, abbiamo bisogno di sorridere. E tocca a un orange wine, la Ribolla Gialla Riserva Primosic 2017, bicchiere di passaggio fra bianco e rosso.
Ancora i raviolini del plin classici, preparati con 8 o 9 carni arrostite in padella, ma conditi con una salsa carbonara alleggerita dal passaggio nel sifone e veli croccanti di pancetta stagionata 3 anni. Dove il gioco è quello di rimixare la tradizione italiana, senza privare l’ospite di riferimenti rassicuranti; la bocca gode per una nuova morbidezza, che amplifica l’uovo e l’umami della pasta quasi in versione “goccia d’oro”. Il vino è un elegante Valtellina Superiore Sassella Mamete Prevostini 2017.
Il Carta bianca (16 portate a 330 euro) è il menu più avanzato, dove si concentrano i piatti attuali e creativi. “Si compone di una struttura fissa, con metà delle corse che cambiano almeno tre volte l’anno. A lavorarci siamo io, Bobo e alcuni ragazzi su cui facciamo affidamento, che possono portare linfa nuova. Così si è creato un gruppo di lavoro molto attivo, animato da una competizione sana, che si riunisce soprattutto quando gli eventi calano, dopo ottobre e dopo gennaio, nella scuola di cucina dove si svolgono le colazioni. Produce spunti che poi riadattiamo al nostro stile, in modo da raccogliere il consenso di tutti; poi il prototipo viene portato nella cucina centrale per testarne la replicabilità. Altre volte siamo noi a fornire le linee guida, per esempio a San Valentino il leitmotiv della favola su cui si sono sbizzarriti”. E gli altri ristoranti? “Noi diamo gli indirizzi e le ricette dei piatti firma, da eseguire senza variazioni. Poi lo scambio è frequente, se vediamo qualcosa che ci piace o se vogliamo inserire qualche ricetta”.
Il registro è spesso sbarazzino, come nella sequenza iniziale dedicata all’aperitivo italiano, sotto il segno di una sapidità che invita al vino: la tartina di salsa tonnata con acciuga e nocciola; la pepita di Parmigiano 40 mesi con Aceto Balsamico; il Fossile, la parte più sottile della pelle di pollo, bruciacchiata, pulita, asciugata, stesa, seccata in forno con una lisca di acciuga, che incorpora acquisendo sembianze evocative; lo spagnoleggiante pane di cristallo al salame; l’oliva bergamasca, che emula la classica ascolana con il ripieno dei casoncelli, glassato di gel di oliva e messo sott’olio, per una testura da provare. Nel bicchiere gira una bollicina, come un Franciacorta dosaggio 0 RS 2007 di Ca’ del Bosco.
Poi c’è Nella Tradizione di Vittorio, con le sue 8 corse a 240 euro. Dove il lascito sta nel privilegiare il mare, non nella ricettazione, in parte tramandata, in parte creativa. Vedi lo scampo scottato al burro sul dorso e servito con granita di cocco, crema di cocco, scorzonera e topinambur, cremoso mari e monti, tono su tono che cela il gioco dei contrasti. A riequilibrare la dolcezza provvede il Riesling Tenuta San Leonardo 2018.
Scampo scottato al burro con granita di cocco, crema di cocco, scorzonera e topinambur, cremoso mari e monti
Per dessert il Babà blanc, che di nuovo si diverte nella crasi di memorie italiane. Dove il babà è inzuppato e strizzato tipo french toast, poi passato nello zucchero e scottato in padella; per il Monte Bianco c’è la spuma di marroni, con le scaglie di cioccolato ricavate dallo stesso babà rilavorato. E qui tocca al Vino Santo Trentino Arele Pravis 2006.
Foto di copertina: Crediti Giovanni Gastel
Foto dei piatti: Crediti Fabrizio Pato Donati
Indirizzo
Da Vittorio
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