“La gente dice che i giovani non si danno da fare. Ma come possono riuscirci, se continuiamo a ripetere che andiamo verso l’apocalisse?” Se lo chiede Dani Carnero, appena premiato da Michelin a Malaga. “Il problema è che per molto tempo siamo stati abituati agli schiavi sottomessi, come noi lo siamo stati per altri”.
L'opinione
Ultima stella accesa a Malaga, il ristorante Kaleja fa parlare di sé per la cucina non meno che per la personalità schietta dello chef patron Dani Carnero, che invero preferisce definirsi altrimenti. “Mi considero un artigiano prima che un cuoco. Insomma, un cuoco artigiano. Artista no, non mi interessa il discorso che si fa oggi. Il cuoco è una persona che prende un alimento crudo o vivo e lo trasforma in un altro stato, di modo che venga mangiato e rechi piacere. Ma non smette di essere un artigiano, un cuoco o un operaio dei fornelli, comunque lo si voglia chiamare. È un tema che si può discutere all’infinito davanti a due o tre bottiglie di vino, ma personalmente ho più rispetto per l’artigiano che per l’artista”.“La cucina è un lavoro artigianale e per questo non ha orari. L’affermazione che mentre gli altri si divertono, noi lavoriamo, tendo a relativizzarla, perché succede anche il contrario. Mentre io mi diverto, magari qualcuno seppellisce una salma. Solo che io non lo faccio nello stesso posto, per questo i miei amici mi danno dell’imbronciato. Poi da qualche anno non smettiamo di lamentarci. Viviamo con la sensazione che stia finendo il mondo, che moriremo tutti e che tutto sia uno schifo".
"La gente dice che i giovani non si danno da fare. Ma come potrebbero riuscirci, se continuiamo a ripetere che andiamo verso l’apocalisse? Se io avessi vent’anni e ascoltassi tutto il tempo questo pessimismo, che comprare un appartamento è diventato impossibile, manderei tutti a quel paese e lavorerei ad altro. È questo che demotiva”.
“Io mi sacrifico al massimo perché credo in questo modo di vivere, ma non si può passare il tempo ad affondare il personale. Un’altra frase ricorrente che ascolto è: i ragazzi di oggi non vogliono lavorare più di otto ore. Vediamo, quante dovrebbero essere, diciotto? Non sarà migliore un mondo in cui la gente, oltre a dedicare il suo tempo al lavoro, possa mangiare, bere, vivere? E se trova pure l’amore, è la fine del mondo”.
“La pandemia ha rappresentato un grande cambiamento per l’hôtellerie. Da quel momento, stiamo prendendo coscienza di alcune questioni. Qualcuno si lamenta di non trovare nessuno che voglia lavorare più di otto ore e riposare meno di due giorni. Ma questo è normale! Il problema è che per molto tempo siamo stati abituati agli schiavi sottomessi, come noi lo siamo stati per altri. Ma il sistema del settore ha dimostrato che se tutti rispettano la giornata di lavoro, compreso il riposo, con 40 euro non puoi mangiare. Allora alziamo il prezzo a coperto, come hanno fatto in Francia e in Gran Bretagna. Un’altra cosa è che io possa sostenere economicamente le trasformazioni, ma questo non è un problema del lavoratore”.
Fonte: El Español
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Foto di copertina: @Daniel Perez