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Sino: il gourmet ucraino che conquista Londra. Storia di Eugene Korolev, da soldato a chef

di:
La Redazione
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Il perfezionismo della cucina stellata si è scontrato con la brutalità della guerra. Oggi, il proprietario del ristorante "Sino" racconta come il fronte abbia ridefinito il suo concetto di disciplina e il valore del cibo come strumento di pace.

Dalle trincee di Kharkiv alle tavole di Londra: la nuova missione dello chef Eugene Korolev

C’è stato un tempo in cui Eugene Korolev considerava un disastro imperdonabile la mancanza di un ingrediente o la rottura di un piatto costoso. Erano i giorni in cui, dopo anni di formazione nei santuari della gastronomia europea, lo chef ucraino realizzava il sogno di una vita: aprire il suo ristorante nel cuore di Dnipro. Ma la storia, come spesso accade, ha cambiato i piani. In una toccante testimonianza raccolta dal The Guardian, Korolev ripercorre il viaggio che lo ha portato dalla cucina del suo locale alle trincee del fronte orientale, fino all'apertura di Sino, il suo nuovo avamposto culinario a Londra.

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L’invasione e la scelta del fronte

Il ristorante di Dnipro era aperto da soli tre mesi quando, nel febbraio 2022, i venti di guerra si trasformarono in tempesta. Korolev, spinto da un senso del dovere maturato durante il precedente servizio militare, non ebbe dubbi: era pronto a combattere. Tuttavia, il suo ristorante non chiuse. "Abbiamo deciso che chiunque non si fosse arruolato nell'esercito avrebbe mantenuto aperto il ristorante", ricorda Korolev. In un clima di solidarietà senza precedenti, la cucina divenne un centro logistico per ospedali e guardie nazionali. I fornitori regalavano materie prime e i ristoratori della città collaboravano via chat per sfamare centinaia di persone. Era l'inizio di una nuova, drammatica economia di sussistenza.

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Tra missili e sapori selvatici

Mentre i suoi colleghi servivano i clienti nei rifugi antiaerei della cantina di Dnipro, Korolev si trovava nella regione di Kiev e poi a Kharkiv. La realtà era fatta di droni, missili anticarro e la tensione costante di non sapere se il velivolo sopra la testa fosse amico o nemico. Eppure, anche nel fango della trincea, la vocazione non lo ha mai abbandonato. Alloggiando in case abbandonate, Korolev ha continuato a esercitare il suo occhio clinico per il cibo: scatolette di acciughe dimenticate, bottiglie di vino recuperate, erbe spontanee come l'acetosella e il rosmarino raccolte negli orti deserti. "Cucinare insieme e condividere il cibo divennero una parte importante delle nostre giornate", spiega. Anche i suoi commilitoni lo sapevano: il soldato Korolev era, prima di tutto, uno chef.

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Londra e il "Soft Power" ucraino

La svolta arriva nel tardo 2023. L'incontro con Polina Sychova fa nascere l'idea di portare la cucina ucraina moderna nel Regno Unito. Nonostante il legame profondo con la sua unità, i suoi compagni lo hanno spinto a partire. "I ragazzi scherzavano dicendo che erano contenti che me ne andassi, perché erano stanchi di sentirmi parlare di cibo", confessa al The Guardian. Oggi, a Londra, la sua brigata è quasi interamente ucraina. Per Korolev, cucinare non è più solo una questione di tecnica, ma una missione diplomatica. Collabora con le ambasciate e il Ministero degli Affari Esteri per promuovere la cultura del suo Paese attraverso il gusto, convinto che la cucina sia una forma di soft power capace di arrivare dove le armi falliscono.

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Una nuova prospettiva

La guerra ha trasformato l'uomo prima dello chef. Quel perfezionismo ansioso degli esordi è stato sostituito da una calma olimpica nata dall'orrore del conflitto. "Essere in un'unità militare mi ha insegnato molto sulla disciplina nel gestire una cucina e sulla vita in generale. Combattere e vivere in guerra significa avere una buona prospettiva su come si presentano i veri problemi", racconta Korolev.Oggi, se le noci finiscono in dispensa, Eugene non si arrabbia più. Perché, dopo aver visto la distruzione, ha imparato che un piatto rotto non è un dramma, ma solo un frammento di ceramica. Ciò che conta è ciò che quel piatto rappresenta: identità, sopravvivenza e, finalmente, un briciolo di normalità.

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