Fare ristorazione dopo la pandemia, nell’incalzare di emergenze infinite, significa confrontarsi con il limite e lavorare con quello che c’è, in termini di ingredienti e dipendenti. È la ricetta del bistellato Ricard Camarena per sopravvivere creativamente alla crisi.
La notizia
Dopo la pandemia, stress test senza precedenti, il caro bollette e la guerra... Non c’è pace per la ristorazione, alla febbrile ricerca della strategia per fronteggiare emergenze che non danno tregua. Non tutti, come Daniel Humm, sembrano disposti ad alzare i prezzi: c’è chi si arrovella su possibili aggiustamenti della proposta culinaria, che facciano quadrare i conti. Raffaele Alajmo, fra questi, pronostica un fine dining prossimo venturo, in cui la riduzione all’osso delle carte consentirà risparmi negli approvvigionamenti e nelle buste paga, senza che il cliente neppure lo noti. Il new normal stellato.A qualcosa di simile sta già lavorando secondo “La Vanguardia” Ricard Camarena, il quale a sorpresa dichiara che gli ultimi due anni sono stati quelli della massima intensità creativa e crescita professionale. Ne è risultata una cucina profondamente rinnovata e adeguata ai tempi, ancor più centrata sul vegetale e nello specifico su quello disponibile al momento. Non che prima il prodotto fosse una variabile dipendente nel piatto.
“Ma adesso ho imparato a considerarlo in un modo diverso, a comprendere le potenzialità dei limiti e ad affrontare l’utilizzo come uno stimolo. Insomma, a cucinare quello che c’è”. Perché sostenibilità significa anche durata del ristorante nel tempo. “E questo richiede un cambio di atteggiamento per passare attraverso una maggiore flessibilità, volta ad adeguarsi a ciò che offre la stagione ad ogni istante”. Lo racconta il documentario La receta del equilibrio del regista Oscar Bernacer. La visita nell’orto, inselvatichito da due mesi di lockdown, in compagnia del contadino è in questo senso chiarificatrice. “Dovevamo procedere alla raccolta e ideare un menu con quanto fosse disponibile”, dice. Non facile, di fronte al proliferare di fiori ed erbe spontanei, fra vegetali cresciuti a dismisura nell’incuria. Eppure, la sfida era quella: confrontarsi con l’imprevisto, scovandovi un’opportunità creativa. Ascoltare, provare, cercare di trarre il massimo da prodotti inconsueti e involontari, con la complicità della brigata. È questa la vera sostenibilità.
Non significa rinunciare a ingredienti di lusso, come caviale, tartufo nero, gamberi rossi e angulas, che continuano a presidiare il menu senza gerarchie con i più umili fra i vegetali, sfruttati nella loro interezza e finalmente protagonisti di un menu vegano. Lo chef non li sceglie: piuttosto sono loro, con pregi e difetti, a suggerire la via. “Ed è in quel momento che smetti di aspettare qualcosa, cominci a lavorare con quello che hai e abbandoni ogni frustrazione. Inutile cercare una consistenza impossibile in un merluzzo, naturalmente blando. Bisogna osservare e valorizzare il prodotto per quello che è”.
Per questo il menu non è rigido, ma flessibile: significa che la struttura è fissa, con adattamenti alle disponibilità quotidiane e agli avanzi del giorno prima, sfruttati in modo creativo. “Lavorare con quello che hai, non con quello che vuoi”, recita il mantra. “Secondo me è l’essenza della cucina e della sostenibilità, a costo di rinunciare al perfezionismo. A volte occorre improvvisare e ogni giorno è diverso. Starà a Michelin interpretare questa rinnovata ricerca dell’eccellenza con il linguaggio della sostenibilità”.
Fare con quello che c’è, significa anche rinunciare alla consueta pletora di stagisti. “Perché non è niente di reale, in qualsiasi momento potrebbe venire a mancare e mettermi in difficoltà”. In cucina attualmente ci sono 9 persone, quelle che Camarena ritiene di potersi permettere senza attentare alla sostenibilità del ristorante. “Abbiamo anche deciso di chiudere nel fine settimana, per evitare un eccesso di ore di lavoro e cercare una conciliazione con la vita privata. Rischioso? Certo che sì. E so che se dovremo fare un passo indietro, sarà con un’altra squadra, perché a nessuno piace arretrare quando ha migliorato le sue condizioni di lavoro. Ma io faccio la cucina che posso permettermi”.
Foto dalla pagina Facebook del ristorante
Fonte: lavanguardia.com
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