Oltre 50 anni di successi per un’insegna familiare che punta tutto sui piatti golosi del Belpaese, con qualche deviazione: fra cervelli fritti e teste d’agnello, ravioli, zuppe e cosce di rana, il repertorio di Paolo a Madrid.
Ritratto in copertina di Álvaro García
Il locale
Ci sono luoghi che resistono al tempo non con la pretesa di fermarlo, ma con la grazia di chi lo accoglie e lo conserva come un tesoro raro. Paolo, una trattoria nascosta nel quartiere madrileno di Islas Filipinas, è uno di questi luoghi. Aperto nel 1972, quando l’Italia gastronomica era ancora una novità e la zona era considerata periferia, questo ristorante ha attraversato cinque decenni senza cedere alla tentazione della modernità plastificata. Oggi come allora, chi varca la soglia si trova catapultato in un’altra epoca: moquette a terra, pareti in legno e tavoli ben apparecchiati che sembrano usciti da un servizio fotografico degli anni ’70. C’è qualcosa di profondamente rassicurante in questo spazio immutabile, quasi come se i ricordi avessero preso forma tra sedie e applique. Non a caso, il pergolato esterno che accoglie i clienti è parte di un edificio residenziale sorto nel 1969 — un dettaglio che Miguel Revuelta, attuale proprietario e figlio del fondatore, ama ricordare con una punta di orgoglio.

“Mio padre pensava che avrebbe resistito cinque anni. Una moda passeggera”, racconta a El Paìs in questa bella intervsita di Abramo Rivera. La moda invece è passata, ma Paolo è rimasto. E non solo: si è trasformato in una piccola istituzione, nota per la sua cucina casalinga, priva di fronzoli ma curata nei minimi dettagli, e per l’amore dichiarato verso le frattaglie, che qui vengono trattate con rispetto e pazienza. Alla guida dei fornelli c’è Álvaro, fratello di Miguel, che da oltre trent’anni porta avanti la filosofia familiare tra piatti tradizionali e piccoli gesti di innovazione. Il menù si è snellito rispetto agli anni dell’esuberanza — quando a ogni turno di servizio sfilavano fino a quattro carrelli pieni di antipasti, formaggi, composte e dolci — ma ha mantenuto intatta la sua anima.

La sezione dedicata alla pasta è un viaggio a sé: ogni piatto sopravvive solo se amato dai clienti. La carbonara a 12 euro, ad esempio, segue la ricetta canonica, con una sola deviazione: la pancetta al posto del guanciale. I ravioli assemblati rigorosamente a mano, cambiano ripieno con le stagioni — attualmente gorgonzola e spinaci — mentre la lasagna agli spinaci viene realizzata con impasto casalingo steso a mano. A sorpresa, spunta anche un piatto che sembrerebbe fuori posto, ma che qui è diventato un’icona: la pizza al salmone affumicato, sottilissima e croccante, richiesta a gran voce dai clienti più affezionati. Tra le proposte più emblematiche ci sono le guance di nasello in salsa verde, perfette nella loro consistenza gelatinosa, il baccalà al pil-pil e la coda di toro stufata nel vino rosso, uno di quei piatti che sembrano cullare lo stomaco e l’anima. E poi, naturalmente, ci sono le frattaglie: zampetti di maiale cotti in piccole quantità, cervello d’agnello impanato su richiesta, e guanciale di maiale in umido con vino bianco. Il menù accoglie anche qualche incursione più leggera ma non meno gustosa, come le fave con prosciutto e uovo, le vellutate di verdura e le pochas, legumi tipici della tradizione iberica. Il tutto assemblato con materie prime quotidiane e con un rispetto autentico per gli ingredienti.

Il menù contempla anche qualche tocco vintage, come il cocktail di gamberi con salsa rosa (13 euro), servito nel bicchiere come tradizione comanda, o le indivie al Roquefort (10 euro), testimoni di un gusto rétro che ha saputo conquistare anche i palati più giovani. La sala del ristorante, ampia e accogliente, è arricchita da una collezione di pezzi d’antiquariato autentici, raccolti da Miguel nel corso degli anni: manifesti di corride del XIX secolo, incisioni rare di toreri famosi, e soprattutto le splendide lampade della sala da tè Sicilia-Molinero, attiva negli anni ’30 sulla Gran Vía, progettate dall’architetto Luis Gutiérrez Soto. Tutti pezzi originali, scelti con cura per evitare il kitsch e raccontare, invece, una storia. E se l’occhio è appagato, il palato non resta da meno. Paolo custodisce anche una piccola meraviglia per appassionati di cocktail: il loro Dry Martini, considerato uno dei migliori di Madrid. Servito in un bicchiere più piccolo del consueto e ghiacciato al punto giusto, nasconde un segreto: una dose di gin MG degli anni ’50, che regala al drink una nota d’altri tempi.


Infine, a completare il quadro, c’è una cantina straordinaria, rimpolpata da acquisti fortuiti ma sapienti: bottiglie degli anni ’80, ’90 e 2000, provenienti da collezioni private e vendute a prezzi più che ragionevoli. “Non per speculare, ma per bere”, dice Miguel, mostrandoci con orgoglio un Viña Albina del 2004 o un Viña Real del 1996, disponibili anche a 35 euro. Paolo non è semplicemente un ristorante: è un frammento di memoria condivisa, una capsula del tempo che profuma di arrosti lenti, ravioli fatti a mano e legni antichi. Un luogo dove il tempo non corre, ma cammina con passo lento e deciso, come un cameriere elegante che porta in tavola un piatto di storia.