“Totale? Tre euro. Prezzo di vendita? Quattordici. Guadagno netto per unità? Undici euro. Numeri che parlano da soli”. Vicente Nicolau spiega perché la miglior fonte di guadagno è un locale che serve panini.
Copertina a scopo rappresentativo
L'opinione
C’è chi cerca l’oro nelle miniere e chi, come Vicente Nicolau, lo trova tra due fette di pane. Ristoratore navigato e mente dietro Las Brasas Steak House di Maiorca, Nicolau ha svelato in un’intervista podcast con Adrián G. Martín -ripresa da InfoBae- una verità che molti nel settore sussurrano ma pochi ammettono apertamente: se vuoi guadagnare davvero nella ristorazione, l’hamburger è il tuo miglior alleato. Dietro la sua aria pacata e il tono misurato, Nicolau racconta con schiettezza la sua esperienza con un ristorante di hamburger che, tra il 2013 e il 2014, gli fruttava dai 3.000 ai 4.000 euro netti a settimana. A testa. Ed erano in due. In un panorama gastronomico spesso dominato dalla ricerca dell’alta cucina, delle degustazioni stellate e degli impiattamenti da copertina, la sua testimonianza ci ricorda che la vera miniera d’oro può nascondersi nei piatti più semplici, purché ben pensati e sapientemente gestiti.

Il segreto, racconta Nicolau, è racchiuso in un mix calibrato di costi contenuti e resa elevata. Un hamburger, se approntato con intelligenza, può avere un margine di profitto che sfiora il 50%. Molto più del 25% considerato normale per la maggior parte dei ristoranti tradizionali. «Nel fast food c’è ancora tanto spazio per crescere», afferma con convinzione l’imprenditore maiorchino, indicando come questo settore rappresenti una delle nicchie più promettenti della ristorazione contemporanea. La sua “ricetta segreta” – anche se a ben vedere è tutto tranne che segreta – è tanto pragmatica quanto geniale: «30% lombata, 30% controfiletto, 30% scamone o manzo più economico». Una combinazione che consente di ottenere una carne gustosa al costo di circa 7,50 euro al chilo. Tradotto in termini pratici: un hamburger da 100 grammi costa appena 75 centesimi in carne, con un’aggiunta simbolica per lattuga, pomodoro e formaggio. Totale? Tre euro. Prezzo di vendita? Quattordici. Guadagno netto per unità? Undici euro. Numeri che parlano da soli.

L’hamburger, va detto, è un camaleonte gastronomico. Nato ad Amburgo, cresciuto nei fast food americani e ormai adottato da ogni angolo del pianeta, ha saputo reinventarsi infinite volte: smash burger, gourmet burger, doppie porzioni, versioni vegane, fusion orientali. È street food, comfort food, ma anche status symbol, soprattutto se abbinato a ingredienti insoliti o preparazioni ricercate. Non sorprende, dunque, che oggi figuri in classifiche culinarie e competizioni internazionali, come “The Champions Burger”, dove le creazioni più ardite si sfidano a colpi di sapore. Questa versatilità lo rende perfetto anche per chi vuole fare impresa: costi prevedibili, ricette standardizzabili, attrattiva trasversale su target differenti. In altre parole, è il prodotto ideale per un business scalabile. Lo sanno bene anche molti investitori nel campo del franchising, che vedono proprio nel fast food una delle attività con la crescita più veloce, fino al 30% in più rispetto ai format ristorativi tradizionali. In Spagna, come in molti altri paesi europei, aprire un ristorante significa affrontare una giungla di spese e burocrazia: affitti alti, personale da formare e stipendi da pagare, costi delle materie prime in crescita. In un contesto simile, ogni euro guadagnato deve essere misurato al centesimo. Ecco perché la scelta del format giusto è cruciale fin dal principio.

Nicolau non lascia spazio a romanticismi: prima di alzare la serranda, bisogna fare una seria analisi di mercato. Capire il quartiere, il target, il potere d’acquisto e – soprattutto – quanto è disposto a spendere il cliente per un determinato tipo di piatto. Per lui, l’hamburger ha il vantaggio di essere una scelta “pop” ma non banale, che si presta a essere reinventata e proposta in mille sfumature. Ma il punto fermo resta sempre la sostenibilità economica dell’intera operazione. Il racconto di Vicente Nicolau non è solo un caso di successo individuale, ma una vera e propria lezione di imprenditorialità applicata alla ristorazione. È la dimostrazione che, con ingredienti semplici e una visione lucida, è possibile creare un’attività solida e redditizia. Certo, non basta la carne trita: servono anche passione, capacità gestionale, attenzione ai margini, e un occhio costante ai trend del mercato.