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Aimo e Nadia, da trattoria a tempio dell'alta cucina milanese: un Luogo del gusto da 60 anni

di:
Andrea Cuomo
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Lo storico ristorante nato nel 1962 come trattoria toscana e poi diventato un punto di riferimento dell’altissima gastronomia milanese, onora il ricordo del fondatore Aimo Moroni rendendo ancora più fitto il dialogo tra le varie tradizioni regionali. Anche grazie all’intelligenza e alla sensibilità degli chef Alessandro Negrini e Fabio Pisani.

Crediti fotografici: Andrea Gherardi (piatti)

Il ristorante

Il 2025 è stato un anno importante per Aimo e Nadia, lo storico gruppo della ristorazione milanese a cui fanno capo il Luogo di Aimo e Nadia, ristorante di lunga militanza stellata che rappresenta la continuità del marchio, Vòce in piazza della Scala che rappresenta il salotto in centro dell’insegna e Nadia BistRO che incarna un’idea di locale più informale e casalingo, anche se ad alta componente di eleganza grazie alla collaborazione con la stilista Rosanna Orlandi (da cui la R e la O maiuscole).

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E’ stato un anno importante in primis per la brutta notizia, giunta d’improvviso a ottobre, della morte di Aimo Moroni all’età di 91 anni. Lui, il fondatore della trattoria toscana in via Montecuccoli, nel periferico quartiere di Primaticcio, che nel 1962 era ancora più eccentrico, che con gli anni e grazie alla moglie e fiancheggiatrice Nadia Giuntoli trasformò un semplice locale di ristoro, di ribollite e fiorentine in un punto di riferimento per l’alta ristorazione milanese, attraversando con successo tutte le stagioni e le mode che perlustrarono Milano negli anni Settanta, negli anni Ottanta, negli anni Novanta e nel nuovo millennio.

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Ma la vita continua. E la memoria di Aimo da onorare tutti i giorni ha dato un “boost” ad Alessandro Negrini e Fabio Pisani, i due chef che da tempo hanno rilevato la cucina e le insegne continuando la tradizione di un marchio doppio (“due sono sempre stati i cuochi di questo Luogo, due saranno i cuochi in futuro” è una sorta di articolo 1 della costituzione dell’insegna) , che nella stagione autunnale delle guide hanno confermato la stella Michelin (ma loro sono e restano un due stelle ad honorem) e sono rientrati trionfalmente tra le Tre Forchette della guida Ristoranti d’Italia del Gambero Rosso, issandosi fino a 90 punti.

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Il Luogo di Aimo e Nadia è senza dubbio uno dei ristoranti più convintamente italianisti del nostro Paese. Le origini stesse del ristorante, fondato da due toscani a Milano e oggi guidato da un valtellinese (Alessandro) e da un pugliese (Fabio), rappresentano il brodo di coltura di un’identità che non può finire sotto l’ombra di alcun campanile, anche se è chiaro che la dispensa Lombardia è per pure ragioni di prossimità la più saccheggiata dai due chef. La loro cucina è però per natura rappresentata da un felice meticciato nazionale senza alcun sospetto di sovranismo.

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Non credo di sbagliare asserendo che Il Luogo di Aimo e Nadia rappresenti, da questo punto di vista, uno dei più credibili esempi in termini di fine dining di quello che l’Unesco ha voluto premiare riconoscendo la cucina italiana come patrimonio immateriale dell’umanità - onorificenza sulla quale si è parlato tanto e a sproposito, fornendo chiavi di lettura a volte antinomiche. Un corpus di tradizioni, di gesti e di linguaggi familiari, comunitari e sociali in continua evoluzione, simbolo di un incessante scambio, di una compattezza di valori e di una naturale apertura al mondo, più che un repertorio di ricette e tecniche che, a ben vedere, oggi non sono già più le stesse di trent’anni fa.

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Evviva quindi Aimo e Nadia. Evviva Alessandro e Fabio che in una città elettrica e volubile come Milano, attraversata ogni mese dalla brezza di una nuova moda, tengono alta la bandiera di una ristorazione umanista, per natura non formattata, magari non priva di errori ma perché per l’appunto l’inciampo è sempre motivo di riflessione e ripensamento, di crescita e di autocoscienza.

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I piatti

L’ultima mia visita in via Montecuccoli è stata l’occasione per riannodare i fili di tutti questi racconti con occhio anch’esso rinnovato. L’accoglienza, gestita dal maître Nicola Dell’Agnolo e dal suo vice Andrea Fichera, è come sempre priva di ogni affettazione, all’insegna di uno stile décontracté e per questo impeccabile. I menu principali sono due sotto il comune claim Territori e prendono il nome dai due chef. Chiedo, scherzando ma nemmeno troppo, se non c’è il rischio che scegliendo Alessandro mi si offenda Fabio o viceversa, ma capisco presto che si tratta semplicemente di due differenti punti di vista dello stesso pensiero, di due cadenze dello stesso dialetto, meglio quindi non personalizzare troppo.

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I due percorsi costano entrambi 260 euro e hanno lo stesso pattern: due antipasti, un intermezzo vegetale (di qua la celebre Zuppa etrusca, di là L’Orto di Giancarlo che è una espressionista e variabile playlist vegetale), tre piatti principali, un predessert e un dessert. C’è poi un menu dedicato ai Piatti del cuore composto da quattro pietanze rassicuranti e qualche itinerario stagionale (attualmente uno dedicato alla selvaggina a 270 euro) e poi la possibilità di scegliere qualsiasi piatto delle varie carte secondo la formula due piatti più dolce a 180 euro, tre piatti più dolce a 210 e quattro piatti più dolce a 240.

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Il mio percorso ha fatto perno sul menu Territori Alessandro (con buona pace di Fabio) ed è partito con una serie di assaggi che sono un esplicito omaggio a piatti storici del ristorante. Ecco una Nuvola di aceto con gambero viola marinato, una salsa al frutto della passione e carota di Polignano. Ecco una “cover” della Pappa al pomodoro di Aimo realizzata con pane tostato, polpa di tre pomodori (ramato, datterino e piccadilly), paté di olive nere, basilico origano di Vendicari. Poi una Cecina croccante con un velo di seppia cotta, un cremoso sempre di seppia, una salsa alla noce di Bleggio, salsa al pistacchio e sedano marinato. Infine un Cracker al Parmigiano Reggiano con cremoso di mascarpone e gel di prugna. Ah, ci sono anche un Macaron al fungo porcino e dei grissini stesi, fieri come magri soldatini. Prima vera pietanza, lo Scampone avvolto nel lardo di Colonnata, leggermente gratinato con alla base una crema di mandorle punteggiata da spot di due fatidiche salse: una verde con essenza di porro, una rossa fatta di una bisque di scampi con ‘nduja che creano un gioco virtuosistico tra delicatezza e piccantezza. A completare il piatto le erbe e i fiori eduli raccolti con un atto di gentile foraging da Elena nel territorio del Monte Barro e del Monte Brianza.

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Arriva il Riccio, con uovo di quaglia, spuma di patate della Sila e caviale Calvisius. Un dialogo tra tre uova (il riccio stesso, la quaglia e lo storione) già di per sé entusiasmante ma impreziosito dal piatto, una sorta di ciotola bruna realizzata dall’architetto e designer Giulia Valentino. Dettagli sostanziali. E’ il momento del Coniglio grigio di Carmagnola, scortato da una salsa di polpo alla Luciana e accompagnato da un cremoso di spinaci, gel di limone di Cetara e capperi di Pantelleria. Accanto una bombetta di coniglio realizzata con le sue interiora rosolate in padella con erbette, crepinette e bietola e un bombolone farcito di salsa di polpo e polvere di pomodoro disidratato. Un settentrionale che si trasferisce – felice di farlo – al Sud. C’è anche l’Orto di Giancarlo, la clip di un estratto dell’altro menu pisaniano, espresso omaggio alla persona che affettuosamente cura l’orto di Aimo a Gaggiano in base a una biodiversità “a chilometro dieci”. Melanzana al miele, insalata canasta leggermente scottata, maionese leggera all’aglio, cetriolo marinato, fagiolini stringa, taccole, baby carrot, more, granita alla fragola con zenzero e limone, vinaigrette al pistacchio, maionese di noci del Bleggio.

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Immancabile la Zuppa etrusca, l’unico piatto che fa da fil riuge ai tre ristoranti di A&N, anche se con alcune variazioni (ma del resto Aimo diceva che se dài a due chef gli stessi ingredienti nelle stesse quantità avrai due piatti totalmente diversi). Verdure e legumi cotti separatamente nel coccio senza soffrito e assemblati all’ultimo minuto come una grande cuvée e legate dalla crema di fagioli ed elettrizzate dal finocchietto selvatico. E’ il momento dei piatti forti. Sfilano un Risotto Carnaroli Gran Riserva con un cremoso di funghi porcini secchi, mantecato con cremoso di fiori di zuccha, zucchina trombetta alla scapece e polvere di barbabietola a completare; l’Animella del macellaio Martini con lo scampo di Santa Margherita Ligure, lampascione croccante, cremoso di carota croccante e salsa choron (piatto questo nato dall’esperienza parigina di Pisani al Grand Véfour di Guy Martin, che ivi realizzava un piatto con aragosta e pollo); e un Piccione di Miroglio in diverse mise: petto al centro, coscetta confit con fegatini di piccione passata in padella al burro con sorbetto di pesca, pan brioche tostato con quenelle di fegatini al cioccolato fondente, e poi, in un secondo momento, degli Agnoli farciti con la parte tenera del volatile e un, consommé di piccione profumato alla verbena.

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A fare da intermezzo tra la parte salata e quella dolce della cena arriva una versione soave della zuppa etrusca: frutta, verdure, legumi, melograno e il latte di mandorle, che svolge la mansione di amalgamare tutto. Accanto, fuori menu, un brodo di giuggiole. Il dolce vero e proprio è un Cremoso di mandorle con gelato alla liquirizia, composta di mirtilli, spuma di yogurt e riduzione di Porto in superficie. Tutto finisce in gloria, anche questa cena, resa più avvincente dalla profondissima cantina del locale, ben amministrata dal sommelier Alberto Piras. Menzione anche per il sous chef Carmine Coppola, che fa da insostituibile terzo incomodo tra i pensieri, le parole, le opere e le rare omissioni di Alessandro e Fabio.

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Indirizzo

Il Luogo di Aimo e Nadia

Via Privata Raimondo Montecuccoli, 6, 20147 Milano MI

Tel: 02 416886

Sito Web

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