Cucina sperimentale costruita sulla tradizione sarda per un’ex casa cantoniera che oggi si scopre ristorante gourmet. A bordo, lo chef Nicola Bonora, i proprietari Alessandra Straccamore e Matteo Mazza e il food scouter Nicolò Scaglione. Come si mangia da Motelombroso.
Motelombroso
Il ristorante
Partiamo da qualcosa di evidente. La sala di Motelombroso è splendida, probabilmente una delle più belle tra le numerosissime che credono di esser belle a Milano. Una sala in cui un pezzo d’arte fa la sua parte e non è una pecetta che giustifica un racconto o un capriccio. Una sala in cui il neon è dosato e non abusato - e quindi trimmera l’umore non lo dopa. Una sala in cui luce e materiali sono freddi e caldi insieme, si completano.
Nella sala bar un affresco, riemerso durante i lavori di ristrutturazione, crea un fantastico crash con la bottigliera iper contemporanea. Alessandra Straccamore e Matteo Mazza evidentemente ci sanno fare, oltre a essere illuminati da un gusto estetico che in molti inseguono per tutta la vita.
Proseguiamo con qualcosa di sospeso. Che forse risiede già nel nome. Motel + ombroso. Un luogo di accoglienza in cui non tutto è chiaro, in cui le ombre prevalgono sulla luce e viceversa. C’è qualcosa di distopico. Da un lato rarefazione monastica, dall’altro un’ambiguità dissacrante.
Motelombroso è un ex casa cantoniera sul Naviglio Pavese, là dove si gestiva una chiusa che regolava la navigazione tra Milano e Pavia. Un tempo era abitazione e luogo di ritrovo galleggiante, come fosse un’isola tra le acque del Naviglio. C’era la vasca per l’allevamento dei pesci, c’erano gli animali da cortile. In tempo di guerra ha aperto le porte a tutti gli sfollati, e a chi cercava sostentamento e rifugio.
Oggi è un luogo recuperato, in cui i padroni vivono e lavorano. La ristrutturazione prevedeva già una vita condivisa, una divisione per niente netta tra vita privata e lavorativa. Alessandra e Matteo vivono di quello che comunicano, amano il bello e lo sanno scegliere, sono in continua ricerca di un’espressività personale. Per loro il cibo e il bere sono anche un bisogno mentale, una filosofia che solo attraverso l’atto pratico di cucinare e di selezionare/mescere diventa filantropia.
Lo chef
Nicola Bonora, sardo di Oristano, è lo chef di Motelombroso. Passare dalla cucina contaminata di Serica alla possibilità di far toccare le vette più creative alla tradizione della cucina sarda, non deve essere stato un passo troppo ragionato. Piuttosto naturale. Anche se i piatti dei suoi menu scaturiscono da un confronto tetrarchico, con Alessandra, Matteo e il food scouter Nicolò Scaglione, un professionista delle materie prime per cui l’esperienza con il cibo non deve fermarsi al palato.
“Ho portato una cucina di pensiero. Una cucina sperimentale che nasce dal confronto con Matteo, Alessandra e Nicolò. In quattro ragioniamo sugli ingredienti, capiamo il mood, come utilizzarlo e la tecnica più opportuna per esaltare l’ingrediente. Ovviamente porto la mia tradizione, le tecniche sarde, le modalità di conservazione.” Arriva anche la conferma di Matteo con una metafora cestistica. “Non c’è un pivot vero e proprio, ci interessa rivisitare la cucina italiana partendo da una grande materia prima, sicuramente con un tocco isolano”.
I piatti di Nicola non temono la commistione di elementi contrastanti, almeno secondo i tradizionalisti, come carne con pesce o addirittura materie prime di mare con ingredienti da dessert. “Io mischio molto carne e pesce, la dolcezza della prima, il sale del secondo, l’amaro del vegetale. La mia è cucina mimetica, con poche distinzioni nette. Se penso alla mia tradizione, in Sardegna è già tutto molto condensato”. Su alcuni piatti aleggia un dubbio, non certo quello metodico di Cartesio, piuttosto il dubbio che le dissertazioni durante il brainstorming abbiano prevalso e che spremere un ingrediente quanto le meningi, non sempre permetta allo chef una sintesi chiara. Chiaro è il tentativo di unire i contrasti, di celebrare matrimoni sulla carta improbabili. A volte è riuscitissimo, altre complica eccessivamente, creando disequilibrio o sovrastrutture.
I piatti
Le prime tre proposte rappresentano il ciclo del freddo. Anestetizzare il palato? Per noi lo shock arriva solo con il Broccolo. Crema di broccolo e pistacchio, gambo in conserva, cous-cous di cima e granita di broccolo. L’intento è chiaro, il no waste tanto agognato e professato dai più in questo momento, qui è totalmente riuscito in una versione tecnica e dalle plurime consistenze. La crema di broccolo è legata con olio essenziale di pistacchio, la sua setosità è ideale per adagiare il cous cous di cima e dadini di gambo fermentato sottaceto, a chiudere la granita. Dicevamo un piatto tecnico. Eppure memorabile. Per una volta - e lo ammettiamo con grande gioia - l’abbinamento è outstanding. L’idea di Matteo Mazza di un vin brulèe tiepido realizzato con il Posca Bianca di Federico Orsi come base, “condito” con cardamomo, kefir lime e cannella è una di quelle cose che prima ti incuriosiscono e poi chiamano gratitudine. Una scelta di beverage che oggettivamente esalta il piatto, andando dapprima in contrasto e poi in associazione su note lievemente acide. Un tuttuno che per noi è il vero inizio della degustazione.
La seconda portata che ci ha fatto sussultare, è il primo richiamo alla Sardegna. Seppia, lumaca e indivia nasce dalla curiosità di mettere insieme due elementi così simili per callosità, così distanti per gusto. “Da me le lumache si mangiano con pomodoro e alloro leggermente piccanti e le seppie cotte nella loro acqua di rilascio e poi fatte caramellare. A entrambe si aggiunge vino. Lasciami dire che sono due sorte di spezzatini. Noi le abbiamo fatte cuocere entrambe in un brodo di manzo, lasciando stringere fino ad arrivare a una sorta di bolognese di seppia e lumache, grassa e dolce. Avevamo bisogno di stemperare con dell’amaro e qui entra in gioco l'indivia riccia, da una parte in salsa con note quasi affumicate, dall’altra è ghiacciata”. Il piatto viene chiuso appoggiando un velo di seppia come se fosse l’ombrello di una medusa, utile anche come coperchio per mantenere la temperatura del ragù.
La Sardegna non abbandona i nostri ricordi migliori, ritornando prepotentemente con un piatto che riesce a sublimare ingredienti e tradizioni popolarissime: Filindeu, anguilla alla brace, brodo di pecora gigante Bergamasca. Siamo di fronte a una pasta che sembra un tessuto, alla vista così fragile eppure così romantica. La tradizione sarda è appesa a un filo? Non dovremmo dirlo, ma teniamola così per sempre. Il filindeu è il vettore di sapori millimetrici, di evocazioni di sagre di paese che puoi vivere in solitaria sul tuo palato. La pasta viene lasciata cadere in un brodo di pecora clamoroso in cui già gridano polpette di anguilla alla brace. Un distillato di Sardegna.
Con la Cernia burro e salvia, Nicola continua il suo lavoro sulla frollatura del pesce, messo a punto senza cedere a estremismi inutili. Anche qui la partenza è una ricetta della sua terra, rimaneggiata con un lavoro sulla texture della carne, frollata per massimo una settimana con il grasso di pecora a cui sono aggiunti aromi come camomilla, fieno, rosmarino. Cottura dalla parte della pelle e grasso che si scioglie diventando il primo condimento, olio alla salvia per non eccedere in amaro.
Il dessert chiude e non chiude. Su stessa ammissione dello chef, abbiamo scoperto che non sa fare i dolci. Infatti la torta al cioccolato che ci ha proposto aveva un’anima più da piatto, di dolce vero e proprio c’era solo la frolla. La Torta al cioccolato, bottarga di Muggine e caramello al garum di sgombro è l’anima sarda pigliatutto, un’isola contaminatrice. La bottarga aggiunta al cacao e il garum di sgombro nella realizzazione del caramello sono kick sapidi che trovano il contraltare nell’uso di un’altra chicca isolana, la pompia, un agrume bitorzoluto e mostruoso così amaro che cuocimi. Qui la Sardegna si traveste da startupper e con niente di nuovo - per lei - fa quasi gridare all’innovazione.
Il va’ pensiero della cucina di Nicola Bonora è un’aria piena di sostanza, specialmente quando interviene il vento della Sardegna a rimetterla a terra mentre la riempie di sapore.
Indirizzo
Motelombroso
Alzaia Naviglio Pavese, 256, 20142 Milano MI
Tel: 333 185 5267
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