È stato in un resort sul mare di Bodrum, che la cucina turca ha dato inizio al suo rinascimento grazie ad Aret Sahakyan, chef mentore della nuova generazione, che ha appena aperto un secondo punto di ristoro oltre lo stellato storico: Ayla.
Lo chef e la struttura
Spunta ovunque, per le strade di Istanbul, il richiamo dello street food, che si tratti del kebab, assai diverso da quello conosciuto in Europa, o dei banchetti di cozze, tanto che qui sembra si mangi a ogni ora e in qualsiasi occasione. Tuttavia la cucina turca, oltre gli stereotipi delle volgarizzazioni estere, è sicuramente molto di più, tanto che dal 2023 il paese si è meritato un’edizione propria della guida Michelin. Inizialmente limitata a Istanbul, la selezione l’anno scorso è stata ampliata a Bodrum e Izmir, ricomprendendo anche il Maçakizi, ristorante che presso l’omonimo resort di Bodrum ha gettato le fondamenta per il rinascimento in atto.
L’insegna, letteralmente “regina di picche”, cita il soprannome di Ayla Emiroğlu, fondatrice della struttura ai tempi in cui la località turistica, famosa per il bel castello crociato e l’anfiteatro greco romano, era ancora un villaggio di pescatori. Una manciata di camere sparse lungo il pendio, fino al mare, fra macchie di bouganville e gatti randagi, ai cui appetiti provvede da 25 anni Aret Sahakyan, chef che viene considerato il padre della nuova cucina turca.
Sahakyan è nato a Istanbul da una famiglia di origini armene, che aveva qualche addentellato nella ristorazione. Lo zio infatti era chef, la madre una bravissima cuoca casalinga, ma in generale tutto il quartiere era disseminato di negozietti in cui gustare morsi preparati con dedizione. Poi la partenza per gli Stati Uniti, la frequentazione del college e l’ingresso nella ristorazione, al fianco di maestri come Jean-Louis Paladin, che aveva detenuto due stelle, e Francesco Ricchi, che gli ha trasmesso una bella infarinatura di italianità.
Del suo Maçaziki ha subito fatto il laboratorio fiammante del paese, accogliendo in cucina giovani cuochi che oggi primeggiano sulle guide, come un Marchesi del Medio Oriente. E se il buffet del pranzo è la cornice per esecuzioni impeccabili di specialità tradizionali, quali peperoni ripieni di riso, melanzane stufate, freschissime insalate di legumi, lahmacun e manti (ovvero pizza alla carne e ravioli), la sera nel fine dining la proposta è internazionale, anzi “mediterranea”, con una generosa inclinazione agli italianismi.
Vedi il carpaccio affumicato, gli gnocchi all’astice e la tagliata ai funghi, su cui risalta il pairing di vini prevalentemente turchi, serviti dall’ottimo Vincent Lopresto, passato per Da Vittorio e il Trussardi alla Scala targato Taglienti e Conti. Da qualche settimana, tuttavia, la proprietà e lo chef hanno deciso di alzare ancora l’asticella aprendo Ayla, secondo punto di ristoro fine dining dedicato alla fondatrice.
Il ristorante Ayla
Qui il concetto è radicalmente diverso: si tratta di interpretare piatti tipici e ricordi d’infanzia, attingendo dal serbatoio delle materie locali e stagionali, di cui il circondario è generoso. I tavoli sono appena sei, ma lo stacco qualitativo con l’altro ristorante, per quanto stellato, è netto.
Il pasto si compone di quattro atti, ciascuno dei quali comprende diverse opzioni. È già delizioso il pane di carrube, arcaismo che Sahakyan introduce per la degustazione dell’extravergine franto a pochi chilometri, per una sensazione di cioccolato all’olio.
Segue la çoban salad, tipica insalata destrutturata con la gelatina della sua “conditella”, una singola oliva locale quale richiamo alla materia e la cialda di lenticchie speziate.
È sorprendentemente bilanciata la triglia, di cui la melagrana esalta la dolcezza con tenero esotismo; più prevedibile il riso pilaf a mo’ di dolma nel fiore di zucca con medaglione di astice. Poi in crescendo i manti al finocchio fermentato con yogurt e sommacco, bellamente sfumati, e il succulento agnello maturato con melanzane e noci.
Chiude una piccola pasticceria finalmente protagonista: il lokum all’acqua di rosa in forma di marshmallow, la baklava con pasta fillo al matterello e pistacchi smeraldini nella sua versione arrotolata (ma si producono anche le tipologie alle noci, alla scorza di arancia, ai pistacchi e cacao, a testimonianza della serietà con cui si approccia il repertorio tradizionale), la tartelletta al caffè turco e il cioccolatino con visciole o satsuma.
Difficile trovare in giro una cucina turca di simile eleganza, contemporanea per visione e standard di un paese arrembante sullo scenario internazionale. E senza mai strafare, perché, come dice Sahakyan, “voglio che sia la materia a brillare”.
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Maçakizi- Ayla