I protagonisti dell'enogastronomia Top Chef

Joan Roca: “Ho una psicologa in brigata: al Celler niente stress per i dipendenti”

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina joan roca

Non sono pochi i punti di interesse nell’intervista che Joan Roca ha concesso a “El Pais”. Al centro del suo successo, più che mai dopo la pandemia, la salute emozionale coltivata con una psicologa del Barça, Inma Puig.

L'intervista

Il talento, si sa, non basta per sfondare. Occorre che sia cementato da altre cose e lo conferma il Celler de Can Roca, ristorante dalla cucina geniale, assurto fra i migliori del mondo grazie alla gestione lungimirante di tre fratelli, Joan, Josep e Jordi, sempre concordi. Sono stati loro a proiettarlo per 8 anni fra i 5 migliori del mondo e per 2 al primo posto dei 50 Best, prima dell’istituzione della Hall of Fame.


E dopo 2 anni di pandemia, mentre si accavallano le emergenze planetarie, tirano finalmente un sospiro di sollievo, con le prenotazioni esaurite a 11 mesi, anche grazie al ritorno della clientela internazionale, e tanti progetti che si sono finalmente concretizzati, approfittando della pausa forzata. Fra gli altri, il rinnovamento della cucina, l’apertura del ristorante Normal a Girona, l’acquisizione di un orto di 5 ettari, l’implementazione di Roca Recicla, con la trasformazione di materiali usati in piccole opere d’arte, la produzione di distillati e di birre come l'innovativa Duet.

Crediti Damm-Aniol Resclosa



Quando uno chef tocca lo zenit, è normale chiedersi a cosa possa ancora aspirare. Su questo Joan non ha dubbi: con i fratelli si è impegnato espressamente a tenere il Celler aperto come minimo per altri 10 anni. “Abbiamo deciso che vogliamo restare ai massimi livelli. Abbiamo voglia, passione e ci piace molto ciò che facciamo. Vogliamo che resti il Celler de Can Roca, indipendentemente dalle prossime generazioni. Marc e Martì, il figlio di Josep, stanno già lavorando ad altri progetti, senza l’impegno di proseguire. Non vogliamo esercitare pressioni, stanno entrando, si stanno accomodando, ma il Celler de Can Roca corre in Formula 1, è una macchina da corsa, altamente competitiva. Quindi almeno per questo periodo ce ne occuperemo noi tre. Abbiamo creato altri veicoli, diversi modelli di business, che hanno prestazioni differenti, non da Formula 1. Qui andremo avanti perché crediamo di avere tanto da realizzare”.

Crediti My Chef



Guidare in Formula 1 è difficile, ma appassionante. È meraviglioso. Questo veicolo ha già 36 anni, è un veterano maturo che funziona molto bene, perché la squadra dei meccanici è giovane, quella creativa è multidisciplinare, multiculturale e talentuosissima. Quello che facciamo è sfruttare questo talento in modo proattivo, farlo emergere, gestirlo affinché il ristorante continui a distinguersi per eccellenza, creatività, innovazione. Non vogliamo prepensionarci”. Ma di Celler, precisa Joan, può esisterne uno solo, mentre gli altri format, come la gelateria Rocambolesc, Cacao, Can Roca, Mas Marroch o Normal, possono essere clonati.


 

E questo nonostante i reiterati tentativi di seduzione a opera dei fondi di investimento. “Ci hanno perfino offerto un assegno in bianco. Era un signore di Pechino che voleva aprire un Celler de Can Roca in un albergo arredato da Hermès, trasferendovi il nostro ristorante a qualsiasi prezzo. Ma non aveva senso, la nostra squadra è a Girona e non poteva sdoppiarsi. Abbiamo rifiutato perché pensiamo che il Celler possa essere uno solo e preferiamo che la gente venga qui da Pechino o altrove. Abbiamo tracciato una linea rossa anche verso l’industria alimentare, da cui continuano ad arrivare molte proposte, ma per ragioni etiche preferiamo astenerci. Pur rispettando chi si presta”.

Crediti BBVA



Dietro una gestione così accorta e ponderata, c’è lo zampino di una psicologa, Inma Puig. “Noi la chiamiamo ‘rivoluzione emozionale’. Nella cucina c’è stata una rivoluzione tecnologica e di prodotto, ma ora siamo immersi in un rivolgimento nuovo. In qualsiasi impresa la cosa più importante sono le persone, ma in un ristorante gastronomico contano ancora di più. Un ristorante è una catena di emozioni, dall’agricoltore all’ospite, fino a chi fa le pulizie. Tutti devono stare bene. Questa è la chiave. Ci siamo resi conto dell’importanza della salute emozionale, di stare bene, comodi, a proprio agio, nel momento in cui abbiamo incontrato Inma Puig, che lavorando al Barça ci ha mostrato quale poteva essere il suo ruolo nella nostra struttura. È specializzata in gestione di squadra, sa risolvere conflitti di gruppo, scoprire problemi perché la sua terapia è l’ascolto; ci offre spunti per risolvere conflitti e creare un ambiente positivo nel ristorante. Peraltro, siamo stati pionieri nel benessere del personale, creando una doppia brigata, per evitare giornate di lavoro insostenibili. Non possiamo più pretendere 15 ore di lavoro al giorno dalla nostra squadra, come facevamo prima della pandemia. Ora la gente vuole vivere. Le puoi chiedere uno sforzo, non dei sacrifici. Questo settore ha bisogno di riconversione”.


Fonte: cicondias.elpais.com

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Foto di copertina: Crediti Joan Pujol-Creus

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