Tra sacrifici, chiusure e stress, Paul Ainsworth dice la sua sull’ansia da prestazione nell’alta cucina. “Viviamo in un mondo dove sembra che tutti vincano, soprattutto su Instagram".
Foto di copertina: The Ainsworth Collection- WeTheFoodSnob
La storia
Lo chef Paul Ainsworth non nasconde quanto il percorso verso la conquista della sua prima stella Michelin sia stato lungo e travagliato. Anni di sacrifici e una pressione costante, aggravata dal confronto con colleghi rinomati, hanno fatto sì che ogni mancata assegnazione della stella fosse vissuta come un piccolo fallimento personale. "Era devastante", racconta lo chef, riferendosi ai numerosi tentativi infruttuosi degli inizi. Proveniente da un ambiente in cui le stelle Michelin erano la norma, Ainsworth desiderava raggiungere lo stesso livello di eccellenza, ma la realtà si rivelò ben diversa dalle aspettative iniziali.
Dopo sette anni di attesa, finalmente nel 2013 arrivò il riconoscimento per il suo ristorante, No6, a Padstow, in Cornovaglia. Il momento della notizia fu per Ainsworth carico di emozione: "Ho letteralmente lasciato cadere il telefono a terra, Emma [mia moglie] è scoppiata a piangere, e io con lei", racconta oggi all'Independent. Un'esperienza che lui stesso definisce "magica", un momento di pura realizzazione dopo anni di incertezze e dubbi.
La strada verso il successo, tuttavia, non è stata priva di inciampi. Dopo aver aggiunto altri due ristoranti alla sua Ainsworth Collection, il celebre cuoco ha sperimentato sia il successo che il fallimento. L'apertura della scuola di cucina e dello chef's table Mahe, chiusi poco dopo, ne sono un esempio lampante. "Ho perso un sacco di soldi in quella circostanza", confessa, rivelando quanto sia difficile mettere in piedi format economicamente sostenibili. Eppure, Ainsworth è convinto che le sconfitte siano parte integrante del percorso verso il successo: "Hai più sconfitte che vittorie, ma viviamo in un mondo dove sembra che tutti vincano, soprattutto su Instagram".
Ainsworth, oggi figura di spicco nel panorama culinario britannico e giudice del "Great British Menu", ha impiegato vent'anni per arrivare dove è ora. Vent'anni di sacrifici, momenti di incertezza e, soprattutto, di apprendistato sotto la guida di grandi maestri come Gary Rhodes e Gordon Ramsay. Quest'ultimo, in particolare, ha avuto un impatto profondo su di lui, non solo dal punto di vista professionale, ma anche personale. Ramsay gli ha insegnato il valore dell'eccellenza e dell'attenzione al dettaglio, mettendo sempre al primo posto la reputazione del ristorante e l'esperienza del cliente.
Inoltre, ricorda con affetto il ruolo fondamentale che suo padre ha avuto nella sua formazione culinaria. Se la cucina della madre, influenzata dalle sue origini seychellesi, ha contribuito a sviluppare il palato di Ainsworth, è stato il padre a trasmettergli l'amore per la cucina quotidiana, semplice ma di qualità. Oggi, alcuni dei piatti che Ainsworth serve nei suoi ristoranti, come la torta di carne e patate o il Cornish rarebit, sono un omaggio diretto a quelle radici familiari.
L'incontro con la cucina è avvenuto in modo casuale, dopo una deludente esperienza scolastica che lo ha portato a lavorare in un piccolo hotel locale. "È stato come una chiamata", dice, ricordando il momento in cui ha capito che cucinare era la sua vera vocazione. Da lì, il percorso è stato tutt'altro che lineare, ma ogni esperienza, positiva o negativa, ha contribuito a forgiare il suo carattere e la sua filosofia.