Mentre la gastronomia soffre per la carenza di personale e il montare delle rivendicazioni, il grande chef Jérôme Banctel lancia il suo rappel à l’ordre: sono il sacrificio e il lavoro le uniche basi del successo.
La notizia
Jérôme Banctel sa bene cosa sia il successo: a un anno dall’apertura, ha incassato due stelle in un colpo solo per il suo Le Gabriel, ristorante gastronomico del palace La Réserve, nel centro di Parigi. Ma secondo i rumors sarebbe già candidato alla terza. “Cosa paga? Il lavoro e la pazienza”, sintetizza questo discepolo di Bernard Pacaud e Alain Senderens, che sta rivitalizzando la grande scuola francese con massicce iniezioni di esotismo.Nato a Rennes e cresciuto in Bretagna, in una fattoria dove i genitori allevavano cavalli, Banctel si è avvicinato alla cucina per caso, accettando la proposta di lavorare come extra nel ristorante del padre di un amico. Da qui l’iscrizione all’alberghiero e lo stage decisivo con il bistellato Michel Kéréver. “Questi aspetti militari, organizzati, gerarchici, creativi mi sono piaciuti. Sapevo che sarebbe stata dura, ma sapevo anche che era quello che volevo”, racconta oggi di un mondo più severo dell’attuale. Sono seguite tappe altrettanto formative ad Antibes, presso La Bonne Auberge di Jo Rostang, gran maestro di ricette mediterranee, e a Auch con André Dauguin, esperto di anatre e foie gras.
Aveva 23 quando è finalmente arrivato a Parigi, dove si è fermato al Crillon, prima di entrare a far parte per un intero decennio della brigata di Bernard Pacaud. Poi, nel 2006, l’incontro con Alain Senderens, “vero intellettuale della cucina che mi ha molto stimolato”. Su suo suggerimento, Banctel ha ampliato i suoi orizzonti maturando profonde esperienze in Giappone. “Il rigore, i sapori, il rispetto per le cotture, la gerarchia, per esempio i 7 anni per diventare sushi man, rappresentano ottime basi. In cucina i primi 10 anni sono i più importanti. Troppo spesso i giovani non lo capiscono e vogliono bruciare le tappe. Più tardi si accorgono di mancare di una buona formazione, nelle scelte, nelle creazioni, nei valori. Per me il Giappone è questo”.
Banctel ci tiene soprattutto a lanciare un messaggio ai giovani: “La cucina è una maratona, non uno sprint. Mi piacerebbe fare capire ai ragazzi che è importante possedere una buona tecnica e darsi il tempo per svilupparla, rallentare per fare le cose nel modo giusto. I giovani vogliono andare troppo in fretta. In questo momento ho solo tre persone che sono rimaste con me per dieci anni, fra cui il mio secondo Linh. Tanti pensano di poter imparare in un anno ciò che ho appreso in trent’anni. Vogliono essere subito chef, patron, stellati. È il riflesso della società".
"Non si sceglie una maison per il salario, ma per il desiderio di andarci, per una cucina che ci ispira e ci sollecita. Durante tutta la mia formazione, ho lavorato duramente perché mi sentivo inadeguato. Avere concentrato le mie energie sul lavoro, sull’ascolto attento dei miei mentori, avere fatto una croce sulle mie uscite, anche se da ragazzo è dura, mi ha permesso di arrivare fin qui e realizzarmi. Nel quotidiano mi comporto come il mio maestro, Bernard Pacaud. Significa che arrivo per primo e vado via per ultimo. E lavoro in silenzio, non urlo quasi mai. Un giovane chef ha bisogno di sentire la nostra padronanza senza subire pressioni. A fare la differenza è il lavoro. Il lavoro paga!”
Fonte: podcastjournal.net
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Crediti La Réserve Paris