Attualità enogastronomica Chef

Carmen Angel: “Prima di fare ricerca pensate a creare un ristorante sano”

di:
Alessandra Meldolesi
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carmen angel chef

Carmen Angel sta rivoluzionando la gastronomia colombiana: cresciuta in California e permeata dell’ideologia Slow Food, ha creato una fondazione che riunisce cuochi e piccoli produttori, di cui valorizza i tesori dimenticati attraverso la creatività in 5 ristoranti diversissimi.

La chef

Nata a Chicago da mamma ungherese e papà colombiano, Carmen Angel è cresciuta in California per poi trasferirsi nel 2008 in Colombia, paese che le ha regalato il successo. Risale al 2009 l’apertura di Carmen a Medellin insieme all’ex marito e tuttora socio Rob Pevitts, anch’egli cuoco, come suo padre Diego, inizialmente complice dell’avventura. Da quella cellula si è sviluppato un gruppo che oggi conta quattro marchi e cinque ristoranti in due città (Carmen Medellin e Cartagena, X.O. e il bar X.O., Moshi e la steak house Don Diablo), con un totale di 130 dipendenti. In particolare è X.O. il format che lascia maggior spazio alla ricerca sul prodotto, che pure è un minimo comun denominatore di tutti gli indirizzi.

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“Sono cresciuta in tre culture, la statunitense, la colombiana e l’ungherese”, racconta a Siete Canibales la cuoca, che poi ha scelto un focus ben preciso. Abbiamo aperto con un concetto di cucina contemporanea, che si è evoluto in favore del protagonismo di questi momenti wow in Colombia, dove troviamo ingredienti, sapori, ricette, persone, luoghi che ci rapiscono e nutrono il motore creativo. Sentire che la nostra operazione si stava stabilizzando, che avevamo una buona squadra, che non dovevamo immischiarci tutto il tempo, ci ha permesso di assumere altri ruoli. Oggi molti sperimentano e poi aprono il ristorante. Noi abbiamo dovuto avere un ristorante stabile, prima di domandarci come meglio connetterlo alla zona. Durante i primi anni ci siamo concentrati sugli aspetti operativi: pagare le bollette, il personale, la cucina, i servizi; non c’era tempo per guardare fuori”.

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Dal nucleo dei piatti bandiera del paese, come ajiaco e arepas, un viaggio dopo l’altro lo sguardo e la cucina hanno abbracciato tradizioni più ampie, influenzate dai Caraibi, dal Pacifico e dall’Amazzonia. “La nostra cultura è un metissaggio saporitissimo. C’è molto di più di fagioli, maiale, platano e farine. Ci sono luoghi reconditi e tanti sapori che non conosciamo o cui non accediamo. Per ogni prodotto affascinante che arriva ai 22 coperti di X.O., ce ne sono altri quattro che vorremmo, ma non riusciamo a ottenere”.

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Oggi mio padre mi dice: conosci la Colombia meglio di me, che sono di qua. Ma io credo piuttosto che essere colonizzati dagli spagnoli ci abbia portato a guardare fuori, ad apprezzare altre culture e a trascurare alcuni dei nostri cibi. La grande potenza agricola che abbiamo e non sfruttiamo, tuttavia, parla da sola. Dobbiamo includere questi prodotti nelle nostre proposte, come uno strumento per mostrare la dispensa nazionale. Con la nostra fondazione Corazones y Fogones e con il progetto Terralma cerchiamo di relazionare i piccoli produttori con una rete di cuochi consapevoli, in modo da restituire dignità ai lavori agricoli. È un progetto di agricoltura pulita, che in Colombia continua a rappresentare una sfida”.

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E le istanze di genere? Anche qui Carmen è perentoria: “Ammiro ogni donna che osi e abbia la forza di lavorare in questo settore, che è estenuante e ha una struttura molto maschile. Più viaggio e conosco donne nei territori, più mi rendo conto che siamo le regine della cucina. Un predominio che oggi può continuare in altre forme del femminile”.

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