Dopo aver lasciato senza rimpianti il suo ristorante d’albergo a due stelle Michelin, lo chef Srijith Gopinathan ha deciso di tornare a casa, ma solo in cucina, dedicandosi alla divulgazione dei sapori dell’India meridionale in un locale da 140 coperti a San Francisco.
La notizia
A San Francisco è l’apertura del momento: lo chef Srijith Gopinathan ha lasciato il suo due stelle per un nuovo progetto. “Ed è l’unico ristorante in cui porterei a mangiare mia madre, che da brava mamma dell’India meridionale, è molto esigente sul cibo”, scherza. Si tratta infatti di Copra, ristorante che si discosta da quello che finora è stato il suo stile, un melting pot di cucina indiana, sensibilità e prodotti californiani. Qui la proposta è decisamente più autobiografica: attinge infatti dai sapori della sua infanzia, trascorsa nello stato di Kerala, dove è nato, e Tamil Nadu, dove è cresciuto, non senza influenze dal vicino Sri Lanka.A suo giudizio si tratta di cucine strettamente imparentate, grazie ai commerci e alla comunanza di ingredienti come il tamarindo, il platano e appunto il copra, la polpa di cocco essiccata. “L’India è una nazione che contiene così tante nazioni. Il cibo del profondo sud è straniero agli indiani del nord. La nostra missione è insegnarlo e mostrarlo alle persone”, proclama.
Gopinathan è famoso in California per avere ottenuto le due stelle al Taj Campton Place, presso l’hotel di San Francisco dove ha lavorato 15 anni. Ha quindi inaugurato il ristorante Ettan a Palo Alto nel 2020 e iniziato a progettare il suo Copra, entrambi indirizzi casual e popolari, anche se non esclude di tornare al fine dining. “Stiamo creando un tempio per la cucina dell’India meridionale negli Stati Uniti”, rivendica con orgoglio. Ed è tutto un mondo da scoprire. Per esempio, sono in carta dieci varietà di riso, ciascuna trattata in modo diverso, bollita, cotta al vapore o fermentata. Da bere una selezione di vini, sidro, drink analcolici e cocktail che magnificano i profumi del paese, elencati con le loro denominazioni filologiche, che suonerebbero astruse per un indiano del nord.
Nel distretto di Fillmore, gli ampi spazi sono quelli già occupati dal ristorante di una catena indiana, chiusa per la pandemia, ma sono stati interamente rimaneggiati. “Ogni dettaglio del design racconta l’immersione in un paradiso tropicale e cerca di trasportare l’ospite in un altro mondo, dove è possibile sperimentare il cibo, le bevande, la regione in un omaggio ispirato e inatteso alle influenze delle regioni costiere dell’India”. E la gente apprezza, tanto che i 140 coperti sono già fully booked per un mese. “Mi sento così felice e così grato, per me è come tornare a casa”.
Fonte: Robb Report
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