“Se lo credi, lo crei”: è il mantra di Marian Martinez, moglie, complice e socia dello chef Jesus Sanchez. Il loro Cenador de Amós è un tre stelle familiare, nato dai sogni dei vent’anni.
La storia
Nell’epoca degli star chef, troppe volte coloro che li affiancano passano in secondo piano. Eppure, senza il loro sostegno e le loro abilità multitasking, i voli pindarici probabilmente si schianterebbero al suolo. Prendiamo Jesus Sanchez, chef tristellato del Cenador de Amós. Avrebbe avuto il medesimo, duraturo successo senza Marian Martinez, direttrice, socia, compagna di vita e madre dei suoi due figli, che studiano a Madrid?Sono trascorsi quasi trent’anni, per la precisione ventinove, da quando i due, poco più che ventenni e freschi di luna di miele a Parigi, spesa per ristoranti di lusso, hanno dato alla luce la loro creatura in un palazzo settecentesco chiamato casa Mazarrasa, ubicato in un piccolo paesino dell’entroterra cantabrico, Villaverde de Pontones. All’epoca era sconosciuto, poi è diventato pian piano una meta gourmet. Dopo un anno il ristorante era già stella Michelin, oggi ne conta tre, anzi quattro con la stella verde. Ma i due non sono ancora paghi, tanto che hanno aperto un altro Amos, questa volta in un hotel di lusso a Madrid, il Rosewood Villa Magna.
“Nel 2023 celebreremo il trentennale”, sospira Marian. “È stato un lavoro enorme. Ovvero sacrificio, perseveranza, focus, focus, focus. Ogni giorno pala e piccone. È stato un lavoro di coppia, ma anche fra soci che condividono un progetto di vita. Un sogno divenuto realtà. Io non ho fatto che lavorare e lavorare. In modo appassionato, perché questa sì che è una mia caratteristica, e muove le montagne. Per me una delle chiavi è sentire molto ciò che fai e che abbia senso sotto tutti i profili, una coerenza come progetto. Perché alla fine ci troviamo in un paesino da 300 anime e siamo riusciti a farci largo in tutte le guide internazionali. Tre stelle Michelin e tre soli Repsol non si raggiungono facilmente. Occorre una gran capacità di resilienza, per risalire rapidamente dai bassi dove ti sbatte la vita”.
“Noi abbiamo aperto nel 1993 ed eravamo dei bambini, giovanissimi. Mi chiedevano se fossi la figlia dei titolari ed ero fiera di rispondere che no, ero io la titolare. Indossavo collane di perle per sembrare più grande. Il cammino è stato lungo, ma alla fine è la conseguenza di un lavoro, di perseverare, mantenersi e non abbassare la guardia. Devi essere straordinario ogni giorno. Ma basta parlare di me… La verità è che non potrei stare con qualcuno che non ammiro. Nel caso di Jesus, lo stimo nel profondo, come chef e come persona. È integro e per me questo è molto importante. Perché fa quel che dice. Come cuoco poi mi ha preso per la gola. Un giorno mi ha invitato a cena: ci sono stati un prima e un dopo. Dall’inizio mi sono collocata in sala, ho ricoperto diversi ruoli, maître, direttrice, responsabile degli eventi. Oggi devo fare altro perché ho una squadra straordinaria, che fa un lavoro meraviglioso. Ma resto presente a ogni servizio, perché ci sono sempre clienti da salutare e amici in visita”.
Fra i compiti di Marian c’è l’assaggio dei piatti, fin dagli esordi: Jesus si fida ciecamente del suo palato, al punto che solo lei ha il potere di dire sì o no. Ma le compete anche la creazione del discorso che li accompagna, la presentazione fin nelle stoviglie. Di fatto nella gestione dell’impresa e della squadra funge un po’ da economista, un po’ da psicologa. Oltre a seguire i conti, temperando gli entusiasmi dell’artista con una sana dose di realismo, ha lanciato in lockdown l’e-commerce della panetteria, inaugurata all’interno del ristorante già nel 2017. Poi c’è l’orto, anch’esso frutto del confinamento, che è valso al Cenador la stella verde, insieme alle zero emissioni, all’uso di energie rinnovabili e materiali riciclati, fin negli arredi. Mentre è in corso il ripensamento degli orari, per una maggiore sostenibilità umana.
“Il nostro mondo somiglia molto a quello dello spettacolo: ci sono rappresentazioni a pranzo e a cena, non conta con chi hai trionfato. Ogni pubblico ha le sue aspettative e vuole emozionarsi. Ma i cuochi non lavorerebbero bene senza una sala che funziona, i piatti uscirebbero freddi, nessuno racconterebbe una storia. Il loro lavoro non avrebbe senso senza il nostro. Alla fine, non siamo un ristorante, siamo molto di più. Ed è ciò che mi fa amare il mio lavoro. Se lo credi, lo crei: ecco il mio mantra”.
Fonte: El Español
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