Fuori un palazzo antico, dentro un loft newyorchese. In cucina uno chef che ha portato la stella a Crema, unica nella provincia di Cremona. Vitium è l’esperimento ben riuscito di Michele Minchillo, giovane ristoratore dalla mano felice.
La storia
L’Alberghiero di Vieste non è bastato. L’insoddisfazione non è stata causa di rinuncia. Tutto il contrario. Uno come Michele Minchillo è energia silenziosa, potenza con assoluto controllo. Uno che va fino in fondo. Che, per intendersi, si era dato l’obiettivo di prendere la stella entro i 30 anni.
E secondo voi, com'è andata? La stella l’ha presa un anno prima del previsto. Volete sapere una cosa? Il piatto citato nella Guida - Cacio e pepe, gamberi e lime - non è quello che ci ha lasciato a bocca aperta. Gli ispettori “rossi” non hanno preso una cantonata, sereni. In una cittadina di provincia che solo per l’anagrafe geografica dovreste leccarvi i baffi, Crema, hanno premiato un locale in cui c’è tutto quello che soddisfa il loro algoritmo, il loro machine learning, che inizia ad essere un po’ stretto a noi e figuratevi ai ristoratori e ai cuochi.
Insomma, dentro i compromessi del cosa-serve-per-avere-quella-targa-rossa-sul-muro, da Vitium c’è una cucina tecnica, c’è una cucina tradizionale, c’è una cucina di godimento, c’è una cucina di scoperta. “Essere ruffiano? Io sono imprenditore, non sono uno chef stipendiato, qui c’è già la risposta. Non posso esagerare, non posso fare piatti stra-acidi o in cui prevalga il rancido".
"Con il covid di mezzo, chiusi più di un anno, la stella era in programma ma non ce l’aspettavamo così presto. Nel novembre 2021 ci hanno inserito in Guida e un anno dopo l’abbiamo presa. I ragazzi mi dicevano guarda che arriva e io rispondevo di smetterla. Hanno avuto ragione loro. Il giro è aumentato. All’inizio i venerdì e i sabati vuoti li abbiamo avuti, non mi vergogno a dirlo. Tuttora nella zona non è automatico entrare nel mio locale nonostante la mia cucina sia comprensibile e golosa. Qui intorno sono diffidenti, e anche le istituzioni non hanno ancora compreso quanto avere un ristorante stellato possa essere fonte di indotto e un contenuto valido per la promozione turistica. La maggioranza della clientela arriva da fuori città. La cosa che apprezzo è che arrivano tanti ragazzi sotto i 30 anni”.
Minchillo dai banchi irrisolti di Vieste è passato a quelli blasonati di Colorno. All’Alma la sua passione ha ricevuto la conferma di testa e di cuore. Il passo da stagista è durato pochissimo. Un cuoco che ha abbandonato la cucina de La Palta poco dopo il suo arrivo, lasciando scoperta la partita dei primi, lo ha costretto a dismettere la casacca della matricola e a guadagnarsi in fretta quella dell’esperienza. Immaginiamo che la chef Mazzocchi non sia stata proprio a guardare e che qualche (s)battito d’ali lo abbia indirizzato contro l’introverso ragazzo pugliese. Quale occasione migliore per farsi correggere e per assorbire “forzatamente” l’esperienza della maestra. Sono stati sei mesi che sembrano anni oppure sono volati? Quello che conta è che con i risotti e le paste ripiene oggi ti fa volare. Qualsiasi riferimento a un piatto di cui parleremo fra poco è puramente casuale.
“Diciamo che Isa (Mazzocchi) è la responsabile della mia convinzione di essere in grado di spingere, di farcela, di diventare un cuoco. La devo ringraziare tanto”. Dalla bassa piacentina a Dubai sembra esserci un abisso. Eppure, nel progetto di un ragazzo che non ha mai voluto fare lo chef a busta paga, le Emirates Tower - o qualsiasi altro ristorante-ufficio - erano in qualche modo previste.
“Nel finedining in cima alle Torri Emirates ho imparato a fare gli ordini in un’altra lingua, a gestire lo staff, dato che avevo il ruolo di junior sous chef. Tutto lì era perfettamente organizzato e diviso in reparti. Ho imparato soprattutto aspetti manageriali, cose che mi hanno dato basi più solide per aprire il mio ristorante. Oggi non sono certo un ristoratore esperto, ma so come crescere e come restare in equilibrio”. In un locale che sa di piccola New York, non c’è spazio per lo show-off dell’ego, per i vorrei, per i what if e neanche per i vaffa. Pochi ma buoni. Se uno spazio rimane vuoto, non rimani ad aspettare che la persona di ruolo lo copra. Lo copri tu, perché questa è la realtà.
Il locale
“Siamo un'attività piccola, non abbiamo possibilità economica. Tre in cucina e due in sala. Con personale extra durante venerdì, sabato e domenica, giorni in cui si concentra maggiormente la mole di lavoro. Il cambiamento dell’approccio dei ragazzi è netto. Sono attratti da questo mondo, ma quando si scontrano con i ritmi e il lavoro gli cade ogni tipo di voglia e passione. Serve l’esaltazione ma anche l’equilibrio. La scelta di aprire solo a cena durante la settimana è figlia di questa attenzione, così da lasciare i ragazzi liberi di andare in palestra, di farsi i cavoli propri. Questo vale anche per me. Le ferie quest’anno le ho fatte scegliere a loro, hanno deciso loro di farne tre continuative ad agosto, evitando la chiusura a novembre”. La ristorazione è il mostro da cui si fugge? Bè, senza dialogo, senza contraddittorio, senza apertura, ogni cosa a lungo andare diventa se non mostruosa, quantomeno insopportabile.
I profeti della fine dell’alta ristorazione si fregano le mani, si leccano le dita. Lasciateli al loro ultimo pasto. Si fa avanti una nuova generazione di “alti cuochi” per cui è possibile stupire e creare godimento anche senza avere il chiodo fisso solo per la cucina. Cuochi che non hanno alle spalle qualcuno che metta il capitale e che poi ricapitalizzi. Hanno le palle però. Le spalle cresceranno e si faranno larghe. Se poi questi cuochi riuscissero ad affrancarsi dai retaggi di eccessivi amuse bouche, dall’abbonamento alla triade pre-dessert, dessert e piccola pasticceria, dal pane che “lo facciamo noi” ma poi non lo sanno fare bene, da rituali che non sono nemmeno tradizione, avrebbero più tempo per ricercare qualcosa di identitario, oltre che a tenere i conti sotto controllo e a coccolare il personale. Inciso: Michele Minchillo fa il pane e lo fa davvero buono ed equilibrato. Il lievito madre non ti fa imprecare sotto i denti “madre mia”. “Non sono uno chef invasato solo di cucina. Sono evoluto, sia per vicissitudini che per scelta. La vita non è solo stare 14 ore in cucina. Anche quest’anno, mi sto chiedendo, ma cosa faccio il 25 dicembre. Chiudo o rimango aperto. Sono tanti anni che non faccio il Natale a casa”.
I piatti
Fuori un palazzo antico, dentro un loft newyorchese. Lo chef dice che a New York ha guardato tanto e ha rubato tanto. A prima vista non c’è niente di frenetico in Michele, nemmeno un accenno della tipica teatralità pugliese. E scusate lo stereotipo. C’è che ha bruciato le tappe, come uno scattista silenzioso. A New York ha lavorato da Aska. Sarà lì che ha imparato ad essere un po’ legno e un po’ ferro.
In cucina esistono i trend, Minchillo è un ottimo schivatore. Diciamo che per lui è semplice, dato che di tecniche ne usa il più possibile in continuazione. Sferifica, grigia con il Green Egg, cuoce a bassa temperatura, osmotizza, usa il pacojet. “Nell’alta ristorazione del futuro stiamo tornando al classicismo. Non ci saranno più piatti che verranno concepiti senza tener conto che il cliente è cambiato. Per il no waste serve ancora tempo, lo capiranno tra tanti anni. Se mi mettessi a farlo io adesso, chiuderei la serranda in un paio di mesi”. Il classico c’è anche nel menù che abbiamo assaggiato: amatriciana, cacio e pepe e un classico della cucina cinese, l’anatra alla pechinese. Tre piatti in cui la concentrazione del gusto va ben oltre i piatti da trattoria. Tre piatti che dentro il racconto di sala risultano comprensibili. La prima è sferificazione e un sol boccone. Da menzionare il packaging dedicato - stupendo! - che evoca un pensiero futurista.
La seconda è un twist di freschezza sulla ricetta romana, molto più cremoso e con tartare di gambero, tre pepi diversi e lime. Il solco è quello dell’alleggerimento raffrescante? Sì, per questo non è il piatto che non abbiamo amato di più. La terza è propria un’altra cosa. Nessuna cottura prolungata ma un petto alla griglia in cui sono gli accompagnamenti a portarci in oriente: un dumpling ripieno di coscette e una salsa che sostituisce la laccatura in rimandi fusion.
Veniamo a noi, piatti che ci avete tenuto compagnia nella mente molti giorni oltre il convivio. I taralli di Michele valgono come opere di artigianato che, istintivamente, rifiuti di addentare talmente sono epici. Nessuno li può fare e/o toccare a parte lo chef. L’intreccio è ipnotico, il morso un rollercoaster. Ecco forse è questa la sintesi della cucina di Michele: un rollercoaster. Fatto di attese, di velocità di crociera, di avvitamenti, di discese frenetiche e sterzate brusche.
La lattuga è un vegetale povero e di massa che raramente viene valorizzato. Molto più comunemente imbustato. Il porcino invece è il re del bosco, il gioiello della terra, dispensatore di umidità. Il simbionte è prezioso, la foglia verde banale. Michele è riuscito a metterli insieme nell’Insalata di stagione che è meglio di un film Disney in cui due eroi di due classi sociali opposte si incontrano e si innamorano. Il porcino viene brasato con cipolla rossa e agrumi. Viene poi messo tiepido sul fondo del piatto, il gelato di lattuga arrostita invece è in cima. Nel mezzo lattuga, ravanello acido e daikon fermentato. Ci siamo permessi di suggerire un cambio di naming per invogliare il cliente ad ordinarlo. Si potrebbe includere anche solo il nome del fungo nella dicitura del piatto, oppure inoltrarsi in soluzioni minimamente creative: Porcino e Lattuga / Mr. Porcino&Mrs Lattuga / Il Bosco nell’orto. Insomma, è un piatto troppo buono per avere un nome troppo banale.
Da addicted totali all’animella non potevamo non parlarne. Animella, ostrica e mela verde il nome del piatto. Qui l’amata ghiandola di cuore è cotta a bassa temperatura e laccata da un concentrato di ostrica. La mela verde in osmosi compensa, con acidità tannica, la burrosità e sapidità dell’assaggio. Un mix di tecniche che ha come risultato una perla di intensità aromatica.
Passiamo alla pasta. Ripiena. Ravioli, ragù alla genovese, Salva Cremasco DOP e mostarda è lo chef nascosto dentro la nonna, è la creatività tecnica nascosta dentro il comfort. Il morso della pasta è da manuale - grazie Isa Mazzocchi anche da parte nostra - il ripieno è il classico “genovese” ben eseguito, la mostarda è di pomodoro, zucca e fichi a dare dolcezza pungente. Il tocco geniale è la riduzione di cipolla caramellata che, assieme alla salsa del tipico formaggio della zona, ci solleva e ci salva dal peso preconcetto del piatto, donando acidità volatile e una punta di amaro.
Chiudiamo il cerchio con uno dei migliori dessert assaggiati recentemente. Noi il dessert lo vediamo sempre inserito nel big picture del percorso. Come qualcosa che non deve mai porsi come il piatto con cui si conclude, piuttosto come quello che non ti fa venire voglia di alzarti. Zabaione, pistacchio, sedano e liquirizia è un gioco di temperature e consistenza, una stratificazione diversificata di bastian contrari. Lo zabaione è una nuvola rinfrescante quando la sua forma usuale è una crema estenuante. Il pistacchio è double, crumble e gelato separati da una grattachecca di sedano, anima bitter e refreshing del dessert, nonché il colpo di genio, quello che se non ci fosse “buono” e quando invece c’è “ah però”. La polvere di liquirizia è l’ammortizzatore della parte dolce-alcolica dello zabaione, la puntina piccante che solletica il palato.
Quando avevamo sbirciato online, il menu pareva già piuttosto vizioso. Sulla carta dei vini reazione con arricciamento del labbro inferiore. È una cosa che sta “divenendo” come ci ha spiegato il giovane maître e sommelier Jacopo Vico. Lo champagne Tristan Hyest era una delle poche cose su cui avremmo puntato e così è stato, senza sbagliare. La cuvée Les Cotes Calcaires, con il 50% di vin de reserve è uno champagne altamente gastronomico. Jacopo ha poi estratto una chicca etnea, Vigneri 1435 di Simone e Salvo Foti, nerello mascalese in purezza di una pulizia e tensione da raccoglimento. Se nella nuova carta ci saranno più vini come questo, ecco ci siamo capiti.
Indirizzo
Vitium
Via Ginnasio, 4, 26013 Crema CR
Tel: +39 0373 225703