Sulla stroncatura si possono costruire un business e una fama, ma davvero rappresenta la prova dell’onestà del critico? L’opinione di Luca Vissani: “Sarebbe il caso di votare anche i recensori, solo allora tutti si sentirebbero responsabilizzati”.
L'opinione
È un dato di fatto: la stroncatura paga. Centinaia di articoli in tutto il mondo si sono generati dalla recensione negativa di Eleven Madison Park al momento della sua svolta vegana da parte del New York Times e nello specifico del critico Pete Wills. Trend topic assicurato in tempi di giornalismo stagnante. Qualcosa di simile tentò a suo tempo Stefano Bonilli sguinzagliando Tokyo Cervigni, uno che non si faceva problemi a imbracciare il bazooka. Fino alla clamorosa bocciatura del Bulgari Roma di Niko Romito a opera del nuovo Gambero Rosso diretto da Marco Mensurati, che dopo avere magnificato il grande chef abruzzese negli scorsi anni, ha titolato poco lusinghieramente “Provaci ancora Niko”, autore Lorenzo Ruggeri.
Nella storia della critica enogastronomica italiana, restano le cicatrici di penne taglienti: ricordiamo Camillo Langone su Ferran Adrià (definito “l’Anticristo”, a giudizio di Bob Noto, una gemma di letteratura food), nonché Edoardo Raspelli sempre su Ferran Adrià (“22 portate di vergogna” su La Stampa) e perfino ai danni del solitamente ineccepibile Massimiliano Alajmo, umiliato con il punteggio di 11,5 ventesimi sulla Guida Espresso. Bocciatura poi rivendicata con orgoglio: “Se non avessi bastonato Massimiliano Alajmo, per quel gommoso pastrocchio di polenta presentatomi alle Calandre, oggi il secondo ristorante d’Italia (a pari merito con l’Enoteca Pinchiorri di Firenze) continuerebbe con il gastro-cazzeggio di allora”. Ma sotto i suoi strali sono finiti anche Carlo Cracco, brutalizzato nel 2008, e Terry Giacomello, irriso nel 2019 per l’astrusità della cucina di Inkiostro, forse un po’ anche per le radici bulliane. Fino al discepolo Valerio Visintin ovviamente, lo stroncatore mascherato.
Ma la stroncatura rappresenta davvero la prova definitiva dell’onestà e professionalità del critico? Gli chef hanno le bocche cucite: difficile prendere ufficialmente posizione contro la prima rivista enogastronomica italiana, specie dopo un simile precedente. Solidarietà è stata invece immediatamente espressa da Luca Vissani, che ribadisce la sua posizione: “Io penso che determinate cose possono semplicemente essere dette in modo diverso, utilizzando un giornalismo meno sensazionalistico. Non solo in cucina".
"Il sensazionalismo funziona, si fanno ascolti, ma non è corretto. In quanto locali pubblici, che offrono servizi, dobbiamo essere criticati; ma ci sono modi e modi, soprattutto quando si parla del made in Italy, che deve sempre essere salvaguardato, non sputtanato. Siamo l’unica nazione che compie determinati controlli, per esempio sulla tracciabilità, poi la pecora nera ci sarà sempre. Sugli inconvenienti bisogna intervenire, ma si parla solo di disastri, perché fanno notizia. Dobbiamo staccarci da certi modelli editoriali, eccessivamente centrati sull’ego. Noi se un giornalista scrive una sciocchezza, non lo mettiamo certo alla berlina. Oppure i recensori della domenica su Tripadvisor, che possono dire laqualunque".
"Mi sono detto: facciamo in modo che ognuno si registri con il proprio nome e cognome e stiliamo classifiche anche per gli utenti, in modo che io possa scegliere se lasciarmi indirizzare dal giornalista o dal cliente comune e poi votare il consiglio. Cosicché anche i giornalisti sensazionalistici possano perdere punti. Questa è la mia idea di una ‘guida’ concepita in modo moderno, che responsabilizzi il comportamento di tutti”.