Finora c’era un buco nero nella mappa variopinta delle cucine del sud est asiatico: la Cambogia. Ha iniziato a colorarla una giovane cuoca autodidatta, Rotanak Ros, che ha battuto il paese intervistando gli anziani.
La notizia
Dici Cambogia e la prima cosa che ti viene in mente non è certo il fine dining. Il paese è passato alla storia per la brutalità sanguinosa delle lotte per il potere, che fra le loro vittime hanno contato anche le tradizioni gastronomiche. Un millennio di eredità gastronomica è stato sistematicamente cancellato alla fine del ‘900, per gli stranieri, ma anche e soprattutto per i locali. Oggi tuttavia c’è una cuoca autodidatta che sta cercando di recuperarlo: si chiama Chef Nak, al secolo Rotanak Ros, e opera a Phnom Penh.
“Gli Khmer rossi hanno ucciso chiunque avesse qualche conoscenza. La gente è fuggita in altre parti del mondo. La documentazione è andata perduta. Le persone non potevano più cucinare come erano abituate a fare. La nostra ricca culturale gastronomica era a rischio di estinzione”. Trentanove anni, Nak per diciotto ha battuto il paese come antropologa e storica, senza alcuna formazione accademica.
C’è lei dietro il menu Khmer della Brasserie Louis, ispirato ai piatti della famiglia reale; ma dal 2018 cucina anche in un edificio storico di legno sulle rive del Mekong, dove tiene lezioni private. È inoltre autrice di due libri, fra cui Saoy: Royal Cambodian Home Cuisine, frutto di una lunga ricerca sui piatti di corte negli anni ’50-’60. “Il cibo cambogiano è ricco di influenze da Cina, India, Francia. Condividiamo praticamente gli ingredienti con Tailandia, Vietnam e Laos, ma li usiamo diversamente. Adoperiamo la pasta di lemongrass e il prahok, il nostro cibo è molto regionale. Si tratta di equilibrio: dolce, salato, acido e amaro. Tutto quello che cuciniamo, deve essere equilibrato”.
Quando Nak ogni mattina accompagnava la madre a comprare verdura da rivendere, c’era ancora Pol Pot. Poi, a 19 anni l’ingresso nell’organizzazione nonprofit Cambodian Living Arts, volta alla salvaguardia e alla trasmissione delle arti performative tradizionali, e l’inizio della perlustrazione del paese in cerca di vecchie ricette, per appuntarsi storie e cerimonie degli anziani.
Non le esegue in un ristorante tradizionale, ma nell’home restaurant di casa sua, perfezionato durante la pandemia, con la complicità del marito. “Voglio che il mondo veda la Cambogia come qualcosa di più dei nostri templi gloriosi e dei Khmer rossi. Siamo più di questo. Voglio ristabilire il nostro orgoglio”.