Impasti super idratati, materie prime selezionate e fattore umano: quella di Ciro Salvo da 50 Kalò è una delle pizze più amate dai napoletani
La Storia
La Storia di Ciro Salvo
Si può crescere con il panetto della pizza in mano, il gioco che lievita pian piano in un lavoro. Si può assorbire in culla un gergo esoterico e antico, quello per cui kalò è buono e skatà cattivo, come in una polis della Magna Grecia. È successo a Ciro Salvo, discendente di una stirpe di pizzaioli giunta alla terza generazione, traslocata dai bassi napoletani fino a Piazza Sannazzaro. Dove ogni sera, di fronte all’ingresso di 50 Kalò (numero del pane nella smorfia napoletana) si forma una fila che offre la misura del successo meglio di spicchi e ventesimi di carta.<br />
Dalla serratura della microstoria familiare non ha segreti la montata di un cibo oggi in voga. “A cominciare è stata nonna Rosa, perché un tempo le pizzaiole erano più numerose di oggi. La forza fisica non è indispensabile per questo lavoro. Mi è stato raccontato che nel dopoguerra vendeva fuori di casa la pizza fritta a otto, così chiamata perché era a credito e la pagavi 8 giorni dopo. Una tradizione che non esiste più. A quei tempi però era tutta un’altra pizza. L’impasto veniva preparato la mattina per la sera e viceversa, utilizzando pasta di riporto e farina nazionale scarsamente proteica, finché con i marines non è sbarcata la farina forte e si è iniziato a tagliarla per conferire maggiore elasticità all’impasto. Poi negli anni ’60 è stata la volta della pizzeria Salvo di mio padre Giuseppe. Ma siamo stati noi figli a cambiare nuovamente le cose. Oggi c’è un’attenzione ben diversa per il topping, tutta una ricerca sulle materie prime e sui procedimenti, che prima venivano tramandati come se fossero scontati. Le cose si facevano come si erano sempre fatte, senza porsi troppe domande. Io invece ho iniziato subito a riflettere sui fenomeni che osservavo, studiando le farine e le lievitazioni per capire cosa succedeva quando la farina entrava in contatto con l’acqua e migliorare il prodotto. Perché l’impasto alla fine fa quello che vuoi tu”.<br />
“La mia prima pizza l’avrò fatta a 8 anni ed è in famiglia che ho continuato a formarmi, perché questo è un mestiere che si impara sul posto di lavoro, la scuola e la predisposizione non bastano. Poi mi sono coltivato da autodidatta. A 13 anni già sapevo come muovermi e ho iniziato a lavorare. Oggi sono famoso per il mio impasto, che è nato per gradi. Ho iniziato ad aggiungere moltissima acqua, in cerca di un’estrema sofficità e scioglievolezza, di una base quasi eterea oltre che digeribile. Perché in ogni pizza c’è l’identità del pizzaiolo. E oggi l’alta idratazione è diventata uno stile, che si è affermato soprattutto fra gli emergenti. La percentuale di acqua si attesta sul 70-75, ma la ricetta della pizza napoletana non si può standardizzare perché dipende dalle condizioni climatiche. Per ottenere un risultato costante è necessario ricalibrarla ogni volta. Aggiustamenti che sono il frutto dell’esperienza e che diventano istinto. Per questo sono io a preparare personalmente l’impasto, il giorno prima per il giorno dopo, in modo che lieviti una ventina di ore. Il tempo è fondamentale per la digeribilità”. Non lo è il romanticismo delle lavorazioni impossibili, visto che l’impastatura avviene a macchina e il lievito è un banale cubetto di birra.<br/>
La Pizzeria
La selezione delle materie prime è il secondo tassello di questa crescita, spinta dal sentimento di emulazione della pizza gourmet e dalla crisi economica, che ha convogliato in pizzeria un pubblico gourmet, foriero di una nuova ribalta ed allure. “E anche in questo caso mi ritengo un pioniere, perché prima sulla pizza si metteva di tutto, non dico scarti ma prodotti di dubbia qualità. Mentre adesso scegliamo solo il top, anzi fra noi c’è una gara per accaparrarcelo visti i volumi ridotti di certe produzioni. Ma la pizza non è un contenitore: occorre cultura gastronomica di base, saper individuare l’eccellenza e studiare i giusti abbinamenti. Aggiungo che su una base non devono mai finire più di 3 ingredienti, perché il protagonista deve restare l’impasto, esaltato da gusti riconoscibili, senza pasticci”. Sono campani ma non solo, vedi la ‘nduja di Spilinga, i capperi di Salina, il capocollo di Martina Franca.<br />
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Dal 2014 Ciro Salvo è pizzaiolo patron del suo 50 Kalò, locale da 180 coperti, 7500 pizze a settimana, 1500 solo il sabato, e 54 dipendenti. “Perché dal principio ho voluto conciliare qualità e quantità, offrire un’accoglienza e un servizio da ristorante gourmet”. L’organizzazione è quella di una catena di montaggio, dove ognuno fa una cosa sola ma deve farla al meglio. I forni sono 2, con 2 addetti ciascuno, più 3 al banco e 2 al pass. “Ma si inizia dal fuoco, perché la cottura è la base di tutto, anche se è il momento più complicato. Da lì si capisce come impastare e guarnire nel modo giusto. E se una pizza non è perfetta, la regola è di buttarla via”.<br/>
Le Pizze
<br />In carta le proposte sono una ventina, in parte d’autore in parte classiche, con variazioni stagionali. “La mia preferita è sempre la margherita, perché resto un pizzaiolo tradizionale. Ed è la pizza per antonomasia, su cui si misura l’abilità del pizzaiolo”. È un’esplosione di sapori grazie al pelato biologico prodotto per 50 Kalò da Casa Marrazzo, a partire da pomodori tipo San Marzano scelti insieme, dolcissimi e portati al giusto grado di densità; al fiordilatte di Agerola del Caseificio Ruocco; al Parmigiano Reggiano 24 mesi in uscita, come si è sempre fatto, che fosse pecorino, grana oppure un mix; all’extravergine anch’esso a crudo, un Itran’s della Madonna dell’Olivo da cultivar itrana.
“L’unica pizza che prevede l’olio in cottura, un Marsicani del Cilento, è la marinara, al fine di veicolare i profumi dell’aglio”. Può essere preparata anche con l’aggiunta di scarola al vapore nella pizza 50 Kalò, guarnita con pomodori corbarini, capperi di Salina, olive caiazzane e aglio dell’Ufita. Ma in dispensa ci sono anche i pomodorini del piennolo gialli e un extravergine delle colline salernitane.
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Ultimamente spopola la pizza e patate, sul modello della pasta, con i tuberi cotti classicamente con cotiche, croste di Parmigiano, sedano e carote, ridotti in mousse come base per una dadolata di Parmigiano 24 mesi, provola e pepe. Una pizza della memoria. “Ma io non ho regole: mi muovo in tutte le direzioni. E l’idea arriva come un lampo. Vedremo cosa mi suggerirà la location di Londra, dove in luglio aprirò la mia seconda pizzeria”.
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Capitolo abbinamenti, la casa dispone di una carta di birre artigianali anche campane, non troppo strutturate, e di 60 referenze fra vini regionali, spumanti e Champagne, disponibili anche al calice. “Ed è il migliore abbinamento, secondo me. Un Piedirosso o Lacryma Christi sulla Margherita, un aglianico sula Marinara, il Fiano di Marsella su Pizza e patate”.
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Si chiude con la Montanara dolce alle creme artigianali Gay Odin, il babà di Capparelli, la cheese cake o un vasetto al latte nobile dell’Appennino campano.
Indirizzo
50 Kalò di Ciro SalvoPiazza Sannazzaro n 201/B - 80122 Napoli
Tel +39 081 192 04 667
Mail info@cirosalvo.it
Il sito web