Una cucina neomediterranea dall’immediatezza irresistibile, dove il terroir prima che repertorio è un’emozione veicolata dai profumi.
La Storia
La Storia di Luca Abbruzzino
Non capita spesso di imbattersi in una cucina fresca e convincente come quella di Abbruzzino, lontana tanto dai cliché del meridione, zavorrato da un repertorio intoccabile e ricattato dalle aspettative di rassicurazione, quanto dai luoghi comuni delle nuove leve, forse troppo inclini a giapponismi, fermentazioni e accanimenti tecnici che mortificano la clamorosa ingredientistica locale. Luca ha appena 28 anni, eppure dalle sue mani esce senza sforzo la soluzione dell’enigma tutto mediterraneo, che contrappone prodotto e autore, contemporaneità e memoria. Il suo è un piccolo miracolo che riesce nella complessificazione del gusto, altrove tante volte mancata: una cucina neo mediterranea che libera idee dal contrasto fra ingredienti diretti come un raggio di sole.
Sarà perché spesso le rivoluzioni sono scoppiate laddove non c’era tradizione, come in Spagna o in Scandinavia, forse in virtù di uno sguardo più spazioso. Ed è il caso della Calabria, regione dove a lungo l’alta ristorazione è rimasta confinata nel baluardo solitario della Locanda di Alia, mentre tutt’intorno ferveva il rinascimento delle due Sicilie. Sarà perché Abbruzzino stesso ha avuto una formazione originale: il padre Antonio ha sempre lavorato da cuoco, prima sotto padrone, poi con la moglie Rosetta nel ristorante attuale, situato a Catanzaro in località Santo Janni, lontano da qualsiasi attrazione. La vocazione del figlio si è manifestata tardivamente, dopo il diploma di maturità scientifica, mentre frequentava Economia e commercio. “Ho iniziato in sala. Poi un giorno, non ricordo bene il perché, mio padre ha liquidato tutti e siamo rimasti in tre. È stato così che sono entrato in cucina e non ne sono più uscito”.
<br />
Da allora la proposta si è evoluta non poco: a fianco di spaghetti al guazzetto di mare, padellate di totanetti con i legumi e altre specialità tradizionali, pur eseguite con la migliore materia prima, si è sviluppata pian piano la cucina di Luca. “All’inizio io e mio padre ci scontravamo spesso, perché io volevo spingere senza averne i mezzi, quindi lui mi ostacolava e solo adesso capisco che aveva ragione”. Fra il primo e il dopo una serie di stages strategici, durante i due mesi di chiusura annuale, to be continued negli anni a venire: da Gennaro Esposito, Mauro Uliassi, Enrico Crippa, due volte Piergiorgio Parini, Jean-François Piège, Michel Bras e Simone Cantafio a Tokyo; tra cui fondamentali le tappe ad Alba, per il gusto, e Torriana, per la capacità di improvvisazione e il sentimento della materia. In carta entrano i primi piatti d’autore, fra cui il fusillone con ricci, pecorino e ‘nduja e il dessert Pane olio e zucchero. Nel 2013 è già stella, tanto che la diarchia cessa e Luca si impadronisce dei fornelli.
Il Ristorante
Al centro dei piatti resta la materia prima di una regione, che è prodiga di qualsiasi cosa. Quindi le carni di due macellai della zona, i vegetali di un’ortofrutta di Catanzaro, il pesce di un paio di pescherie che battono l’asta. Se ne occupa un Abbruzzino a rotazione, secondo la giornata. Il resto lo fa la fantasia, visto che di repertorio in Calabria ce n’è poco, a parte qualche piatto povero della tradizione contadina e un po’ di pasticceria tipica. Né mancano le contaminazioni, ispirate al vagabondaggio di Luca, che lungi da ogni tentazione fusion sa esaltare il territorio per contrasto. Colpisce come un montante ben assestato la carica dei profumi, vera essenza di Calabria: balsamici come la liquirizia (“la adoro come esaltatore”) e tante erbe aromatiche familiari, agrumati come bergamotto e pompelmo, clementina e limone, limetta e arancia, presenti dall’autunno fino in primavera e poi in conserva, come si è sempre usato. La freschezza arriva dalla loro acidità tamburellante, che tiene sveglio il palato durante tutto il pasto, e da elaborazioni altrettanto identitarie che privilegiano la cottura diretta in padella o al barbecue sul sottovuoto, praticamente assente. Ma l’orizzonte è più ampio: dal mar Ionio si allarga alla Magna Grecia, e di qui alle sponde meridionali ed orientali del Mediterraneo in un paradigma del gusto segnato dal ricorrente contrasto dolce.La cucina è della stagione, anzi del giorno nei tre menu degustazione da 4, 6 e 8 portate a 55, 70 e 80 euro, tutti a sorpresa per valorizzare al meglio il mercato; più quattro primi, due secondi di carne e altrettanti di pesce alla carta. I percorsi di abbinamento, comprensivi di 4 o 6 calici, costano 25 o 35 euro. Puntano su etichette calabresi spesso provenienti da piccole cantine, oggetto di uno scouting instancabile. E la Calabria si accaparra anche una delle due carte dei vini, da 130 referenze sulle 400 complessive, insieme al resto dell’Italia e del mondo. C’è molto da scoprire e questo è il posto ideale per farlo. Non delude neanche il pane fra taralli al finocchio, grissini alla cipolla, focaccia al rosmarino, pagnottelle bianche e scure al lievito madre accompagnate da un burro della Sila salato in casa alle erbe, che sembra quasi francese.
<br/>
I Piatti
<Gli appetizer alternano bocconi di nuovo conio e maniaturizzazioni di signature del ristorante: vedi il baccalà mantecato in gelatina di olive verdi, il fiore di zucca alle acciughe che sembra pastellato e non lo è, il fusillo soffiato con pecorino, ‘nduja e ricci, la crostatina con tartare di manzo, anemoni di mare e salsa verde, le chips di riso ai cipollotti e liquirizia, la crema di seppia con lenticchie alla vaniglia.
<
È ormai un classico del ristorante il gambero leggermente al vapore, per una diversa consistenza, con mousse di fegatini di pollo, sfoglie di barbabietola, melagrana e nasturzio piccante. Piatto già rappresentativo dello stile Abbruzzino per tensione, integrità e pulizia, nato dall’intuizione del gusto “fegatoso” della testa dei crostacei.
<
Ma è un capolavoro imprevisto l’ostrica con broccolo e pompelmo, proposta in una narrazione parallela. C’è il gambo del vegetale al barbecue glassato di crema di ostrica, ottenuta frullando i molluschi con la loro acqua, foglie di dragoncello e scorzette candite di pompelmo; e alle sue spalle l’ostrica al naturale con infiorescenze crude di broccoletti, succo e polpa di pompelmo. Dove il voltaggio corre sempre fra la sapidità e l’amaro del vegetale e dell’agrume; ma i gusti interagiscono diversamente, insieme alla grassezza e all’acidità, fino a comporre uno stimolante meta equilibrio fra i due piatti. E la struttura è inedita, quasi un doppelgaenger nella contaminazione fra un feticcio d’oltralpe e due tipicità calabresi di stagione.
<
I calamaretti sono serviti in un brodo di soppressata al miso con patate e maggiorana piccante, nato in Giappone constatando l’analogia fra il condimento tutto umami e l’insaccato calabrese, in un continuum senza soluzione gustativa.
<
Fra i primi il risotto tipo mari e monti è servito con un fondo classico di carne, crema di cozze e porcini, i cui scarti completi di terra sono utilizzati per il brodo. Ma è già un signature lo spaghetto al nero di sesamo, divertissement che ritrova un must delle trattorie di mare infilando la collana delle tipicità. Quindi il sesamo, tipico del meridione, ma nero e non bianco, tostato e ridotto in crema con la cipolla e l’aceto, addizionato di uvetta e colatura di alici per l’ittico mancante
<
Non meno convincente che sorprendente l’aguglia al rosmarino e alloro cotta in foglia di vite, come un involtino greco (ma la tecnica è in uso anche qui, non solo nella casearia), effetto crosta di sale per la massima succulenza. Viene servita con salsa di uva fragola, melagrana, pastinaca al barbecue e mandorle in crema, per una stratificazione di dolcezze più o meno acidule che riporta di nuovo in Medio Oriente. Ma lascia il segno soprattutto la coreografia del servizio, con il fagottino aperto in sala su un guéridon mediterraneo, che tesaurizza al meglio l’esperienza da Piège.
<
Né galleggia troppo distante l’anatra, cotta sempre al barbecue su un letto di erbe aromatiche, presentata intera e poi scalcata, servita con un fondo classico addensato al sanguinaccio in conserva e al cioccolato, che cita le grandi salse d’oltralpe con accento calabrese, e un fico secco solitamente glassato al cacao.
<
Il predessert, freschissimo, è un sorbetto di pala di fico d’India con sedano, mela verde e di nuovo dragoncello, nato viaggiando e perciò presentato come una spedizione; poi il classico dessert di casa Abbruzzino: Pane, olio e zucchero. “Ha iniziato mio padre, servendo un gelato alla vaniglia con un filo d’olio e dei crostini di pane. Ma io volevo che ci fossero quasi solo gli ingredienti di una merenda d’infanzia: quindi il gelato al pane con il caramello salato, la crema all’olio con poco latte e una cialda di pane, olio e zucchero”.
Indirizzo
Ristorante AbbruzzinoVia Fiume Savuto, snc (Località S. Janni) 88100 — Catanzaro
Tel +39 0961 79 90 08
Mail info@abbruzzino.it
Il sito web