Riprende il sentiero interrotto di uno dei cuochi più talentuosi della sua generazione: da Benso Pier Giorgio Parini riparte da una formula democratica
Il Ristorante
Benso, il Ristorante di Pier Giorgio Parini
La direzione non è cambiata, dietro la segnaletica tracciata a suo tempo da Stefano Bonilli: “avanguardia popolare” resta la definizione perfetta per la cucina di Pier Giorgio Parini, giovane fuoriclasse tanto ficcante nel gusto quanto affabile e schivo, lontanissimo dal cliché genio e sregolatezza del creativo come lo abbiamo conosciuto.
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Era da 16 mesi che la sua cucina aleggiava come una fata morgana nelle nostalgie dei gourmet, spostandosi sempre più all’orizzonte. Ricacciata da pratiche burocratiche estenuanti, protrattesi per oltre un anno. Correva la primavera del 2016 quando Simone Zoli, titolare dell’osteria Don Abbondio, insieme ai soci Jacopo Valli della Locanda Appennino e Maicol Ravaioli del Big Bar, aveva messo gli occhi per la prima volta su quello che era poco più di un chiosco appartenente al comune, con l’idea di restituirlo alla città in modo nuovo. Inizialmente doveva trattarsi di un tapas bar, per il quale Parini era stato consultato in nome dell’amicizia di lunga data per due dritte sulle attrezzature. Ma definitivamente archiviato il decennio stellato al Povero diavolo di Torriana, a causa del mancato accordo con Fausto Fratti, il coinvolgimento si è fatto sempre più stretto. Tanto che quella in essere non è la classica consulenza e non è prevista neppure una data di scadenza. “Mi piace la definizione di un amico: siamo i Gorillaz della cucina, quattro persone che hanno attività diverse e un progetto comune, si sa chi sono ma non necessariamente si vedono. Anche se io da Benso passo almeno un paio di volte a settimana”, puntualizza Parini.
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Il risultato è un locale sicuramente originale, in continuità con il mercato, il giardinetto, la piazza centrale di Forlì grazie alle vetrate; eppure confortevole in ogni suo dettaglio, dal riscaldamento a pavimento attraverso la resina al cassettino con le posate fai da te. Eleganza en plein air per un ristorante popolare. “Quando siamo partiti, ci siamo detti: dobbiamo far sedere la gente a tavola per un paio d’ore, senza che debba impazzire per capire cosa ha nel piatto né dissanguarsi spendendo cifre impegnative. No, noi vogliamo che i piatti siano buoni, originali, ben eseguiti grazie a tecniche e accorgimenti in uso nel gastronomico, ma alla portata di tutti sia come pensiero che come spesa”.
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La cucina è riconoscibile e coerente con quella del Povero Diavolo: sebbene sia passato per gli insegnamenti di Fabio Rossi e Massimiliano Alajmo, Pier Giorgio Parini cucina come un autodidatta, guidato da una sensibilità a fior di pelle. I suoi accostamenti sempre spiazzanti fra due o tre ingredienti in purezza, le tecniche con cui li approccia, con elaborazioni semplici eppure originali e riflettute, sono sempre ispirati dalla materia, povera e romagnola, con il vegetale in evidenza (il padre è contadino) e l’animale ridotto a comprimario, al suo servizio nel piatto. È il prodotto il maestro di questo solista vero, appena affine a Lopriore e alla Klugmann, ma senza genealogie gerarchizzanti. “Rispetto al Povero diavolo la differenza è il tempo, nel senso che la cucina era il frutto di 11 anni di lavoro, durante i quali si era sedimentato uno stile. Ma questa è un’avventura nuova, qualcosa in divenire, che noi stessi dobbiamo scoprire. Anche se il filo conduttore resta lo stesso: quello che so fare e che mi piace fare; per me la tecnica è solo un mezzo di trasporto, per arrivare dove voglio”.
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In aprile dovrebbe essere seminato anche l’orto, in una parte del giardino davanti al chiosco: fornirà erbe aromatiche e verdure da taglio, che si uniranno agli ortaggi del vicino mercato, alla frutta dimenticata di Sonia a Cusercoli (“ci porta quello che ha, quando lo ha”), al pesce adriatico e alla carne appenninica di una pescheria e di una macelleria cittadine. Tutto fresco, visto che la cucina è piccola e mancano gli spazi per lo stoccaggio. Vi si affaccenda una brigata di giovani: Davide, Matteo, Elia e Nicolò, senza un organigramma gerarchico. Mentre la cantina è ospitata in uno spazio sulla piazza in affitto: ospita 150 referenze di grande personalità, selezionate da Zoli. Coprono tutte le fasce di prezzo, da Krug alla Romagna profonda, e gli abbinamenti sono spesso imperdibili.
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Dell’iniziale progetto di un tapas bar sono rimasti i piccoli piatti, la cui degustazione si conclude con una portata principale. Sono disponibili a pranzo e cena, ma è allo studio l’apertura a metà mattina e metà pomeriggio, per la merenda e l’aperitivo. Popolare secondo aspettative il conto, con uno scontrino medio di una quarantina di euro, bevande escluse. Le mezze sono 10, con un prezzo compreso fra 8 e 10 euro; i piatti di portata 6 e costano fra 14 e 18 euro. Cambiano spesso, ma senza deadline, per stare dietro alla stagionalità e al mercato. C’è anche un degustazione, il menu Benso, con le sue 6 corse a 45 euro; mentre i percorsi di abbinamento sono vari: contano 3 o 4 calici, anche toscani, di Champagne o bianchi dell’est, a un costo compreso fra 15 e 30 euro. Il pane è fatto in casa: la pagnotta di senatore Cappelli alla buccia di nocciola come le lingue di piadina al rosmarino.
I Piatti
<I piatti sono più o meno avanzati, talvolta decisamente comfort, sempre gentili, per così dire microsensibili: delineano una cucina di poesia ma dialettale, profondamente radicata nel suo territorio. Per benvenuto ci sono le lenticchie alla panna, sul modello francese: “L’idea era quella di proporre legumi ma leggeri, contrariamente alla pesantezza consueta. Sono bolliti, aromatizzati al tè affumicato, al posto della nota animale, serviti con estratto di aneto e panna semimontata alla scorza di bergamotto per rinfrescare”.
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È strepitoso Bietola, kiwi e bottarga, tris di gusti primari che deflagrano in bocca come un esplosivo. Dove il vegetale è appena scottato e cosparso di un succo di fiori di acacia, che esalta profondità e dolcezza; il kiwi è in purea come “pomodoro del futuro”, dolce, fresco, polposo, con la bottarga che sopperisce a umami e mineralità. Sapidità versus acidità, esaltati dalla temperatura fredda.
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L’insalata russa è servita a fagottino dentro una foglia di insalata vera: si compone di una dadolata minuta di verdure cotte e crude, legate dalla maionese di semi di zucca tostati, pasta tipo tahina montata con olio e poco tuorlo. Dove è geniale l’abbinamento con il savagnin Côtes du Jura Berthet-Bondet, per l’ossidazione sull’uovo e la ripresa aromatica.
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Fungo carne cruda e cavolo nero pesca nella memoria gustativa: la spuma è di champignon, sopra un mucchietto di battuta con chicchi di grano per la masticazione e funghi cotti. In bocca l’effetto umami è di una scaloppina con i funghi, movimentato dal succo di cavolo nero e dalle chips di foglie essiccate. Ancora più comfort Uovo pane e cipolla, crema al gusto di carbonara con la cipolla sul fondo al posto della pasta per la masticazione e la dolcezza. Ed è italianissima anche la crema di acciughe al latte ridotto con topinambur confit nel grasso di mora e tostato: l’apparenza è quella di un filetto di pesce, la testura ricca e fondente. Effetto bagna cauda anche grazie all’aglio nero, che dona acidità oltre che profondità.
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Le Mezze maniche al latte di gallina sono una pasta in brodo servita asciutta, comprensiva del bollito: quindi la carne cotta e cruda di gallina frullata con il brodo sgrassato, emulsionata col grasso e pochissimo succo di limone a rinfrescare, più capperi con estratto di prezzemolo per la salsa verde e un sospetto di lemongrass.
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Fra i secondi c’è il Bestiarium, animale immaginario composto di coniglio, stinco di maiale, coda di bue. Tutti cotti separatamente, spolpati, riuniti e pressati fino a ottenere una terrina, le cui fette sono guarnite di radicchio arrosto e purea acidula di mele rosa. Ma è geniale l’omelette ottenuta facendo coagulare le proteine dei ceci crudi, addizionati di cavolfiore quale ammorbidente; è ben tostata, effetto fumé, per bilanciare la dolcezza dei vegetali, e farcita di formaggio fresco.
Chiude A Sonia, inno alla frutta dimenticata. Fette di diverse varietà di mela locale, marinate al distillato analcolico di botaniche Seedlip, sono servite con una meringa al succo di mela, una purea di pere e una meringa all’italiana fiammeggiata.
Le fotografie sono di Annalisa Patuelli
Indirizzo
Ristorante BensoPiazza Cavour - 47121 Forlì
Tel. 346 116 7238
Il sito web