A Cagliari la cucina sarda ha un nuovo indirizzo di riferimento: da Josto Pierluigi Fais interpreta un territorio temperamentoso e dinamico
La Storia
Pierluigi Fais, il talento
Completamente autodidatta: non ha frequentato stage né ha mai lavorato dai grandi, Pierluigi Fais. Trentacinquenne di Nuoro tanto intraprendente quanto talentuoso, ostinato come solo da queste parti. Va a gonfie vele la sua pizzeria Framento, che traccia una via sarda al cibo icona del momento, prima sulla mappa isolana; ma non restano freddi neppure i coperti di Josto, ristorante aperto un anno fa tra il lungomare e il centro di Cagliari, che ibrida il genere bistrot con una ristorazione à la page, schietta e personale. Risultati sonori, a tenore per coralità e attaccamento al folklore: un bell’esempio di imprenditoria che sul piatto non delude.
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“Mia madre dice che siamo usciti dalla ristorazione dalla porta principale per rientrare da quella di servizio”, scherza alludendo alle sorelle Elisabetta e Chiara, al suo fianco fin dall’inizio, cui oggi si è unita la compagna Isa. Perché Fais senior gestiva ristoranti, alberghi e strutture turistiche fino a Roma, anche se non aveva mai alzato il coperchio della cucina.
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<Foto di studio C+C04 architettibr/>- Ed è stato con leggerezza che Pierluigi ha abbandonato Economia e Commercio, quando gli mancava solo la tesi di laurea, per prendere in gestione un localino a Oristano, dove ha cominciato da zero. “Si chiamava Josto nel Vicolo, per ragioni di toponomastica (Josto era il figlio di un generale morto in battaglia) e nel senso del verbo ‘stare’. All’inizio lavoravo in sala, con le mie sorelle e Matteo Russo, che è tuttora il mio secondo. Proponevamo piatti semplici, da bistrot, giovani. Poi ci siamo trasferiti in centro col nome ‘Josto al Duomo’ e la passione via via ci ha portato dove non avremmo immaginato, perché non conoscevamo questo tipo di cucina. Ai fornelli sono passato quasi subito, senza darmene conto: mi sono infilato la giacca, poi i pantaloni, poi le scarpe. Ma la vocazione non basta: bisogna applicarsi instancabilmente con le mani, i piedi e soprattutto la testa”.
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Con Matteo, alter ego siamese, Fais condivide qualche breve corso di pasticceria e panificazione, uso del lievito madre e cottura sottovuoto, oltre al conto di tanti ristoranti giusti, che sintonizzano il loro palato sul gusto contemporaneo. Fino alla decisione di trasferirsi a Cagliari, sempre più capoluogo gastronomico grazie a una clientela evoluta.
Il Ristorante
Josto
Il caso ha voluto che saltasse fuori prima il locale della pizzeria, aperta due anni fa, poi quello del ristorante, la cui bipartizione in salette dall’atmosfera ben distinta rispetta l’identità dei luoghi: da una parte il magazzino, rivisto in chiave rough, garage, post-industriale, con fili e tubi scoperti, la calce nuda in contrasto con le superfici levigate; dall’altra quelli che un tempo erano uffici, oggi un salottino elegante e confortevole. La scaletta se ne diparte verso la cantina, dove giacciono 350 etichette in gran parte sarde, tanti naturali e soprattutto piccoli produttori . Se ne occupa Il direttore Giacomo Serreli con il sommelier Paolo Mirai.
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Il genius loci è ben presente. “In questi anni l’idea della cucina è rimasta la stessa, ma si sono modificate la tecnica e la comprensione. La ricchezza sarda sono i prodotti, che devono essere buoni, costanti nelle forniture ed eticamente sostenibili. Perché io non uso filetti, ma pecore o agnelli interi e lavoro a piatti ripetibili. Li acquisto da un macellaio di Oristano, mentre il pesce arriva da un paio di pescherie”.
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I Piatti
Il menu di Fais
Le formule sono democratiche: oltre alla carta con 4 proposte per portata, da cui è possibile estrapolare un menu di 3 piatti a scelta a 38 euro, c’è il degustazione di 7 corse più aperitivi a 55 euro.
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Dipana una cucina giovane e diretta, materica e irriverente, fatta di idee non meno schiette dei contrasti, dove il prodotto è nudo, ma non mancano divertimento e gola. Loprioresca senza forzature, istintiva ma precisa e originale, segno di indubbio talento per autodidatti pressoché totali.
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Si comincia con il chupito di testa di gambero, parte solitamente scartata, farcita con una granita di citronette. “L’idea era quella di ammorbidirla, per avvicinare le persone”. Il risultato è puro food design, ben scaglionato: prima l’acidità che gradualmente si espande, poi la mineralità grassa. Semplice e sensato. A parte la coda diventa comprimaria, sempre con la stessa citronette.
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Divertente poi il piatto in trompe-l’oeil, servito senza spiegazioni: si tratta di fettine di lardo di maiale sardo al ginepro di Roberto Pusole alternate a lamelle di calamaro crudo, praticamente indistinguibili per aspetto, consistenza e perfino gusto grasso-sapido. Sormontano un letto di couscous di fregola, quel che resta della lavorazione della pasta dopo il setaccio. Più un doppio brodo di teste e interiora di calamaro acidulato al karkadè, da cui si è originato il piatto in occasione di un incontro con Roberto Flore.
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Riuscita anche la crasi di giardiniera e insalata russa, dove le verdure in agrodolce sono servite con maionese allo zafferano, crema di patata a legare e una granita di cavolo rosso estratto a crudo che rinfresca. L’abbinamento, spiazzante, è con una Vernaccia ossidata Judikes, che va ad asciugare la salivazione sguinzagliata dall’acidità. “Perché è difficilissimo venire a capo della giardiniera, pulendo la bocca. Ma la Vernaccia ci riesce grazie alla sua persistenza. Non cerchiamo forzatamente il crescendo, ma anche il saliscendi, nel menu come nel bicchiere”.
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È poi un trionfo mediterranea la cernia mi-cuit, affettata finemente e cotta confit a bassa temperatura con l’olio, masticabile come una scaloppina, servita un attimo prima del punto di cottura con estratto di finocchio, polveri di olive e di pomodoro.
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Fra i primi risalta lo spaghettone alla bottarga del Consorzio Pontis di Cabras, preparata con un’emulsione tipo maionese all’acqua e olio, per scongiurare il prosciugamento effetto budino dovuto agli amidi, e una grattugiata generosa, dalla consistenza finale di carbonara. Puristico. Oppure quello con testa di seppia a bassa temperatura, estratto di basilico e pomodorini mi-cuit, sul modello del pesto alla carlofortina. Freddo per esaltare il balsamico.
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Soprattutto convince il risotto all’acqua mantecato con burro acido alla Vernaccia ossidata e Fiore sardo, più spirali di crema di ginepro ed estratto di salvia in una vertigine di sensazioni ossidate, affumicate, muschiate, balsamiche che restituiscono il calore aspro e selvaggio del territorio.
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Più semplice l’agnello all’uovo: la coscia e il carrè vengono arrostiti alla griglia su un lato (ma la testura è da migliorare) e serviti con scarola amarognola e zabaione al limone, grasso e acidulo; il resto finisce in farcia nei tortelli con crema di piselli e panna acida.
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È buonissimo il pane in accompagnamento, da semola e farina integrale in egual misura, più lievito madre liquido: scrocchia in bocca, acidulo e ben tostato.
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Lascia il posto al dessert, per esempio la panna cotta alla lavanda con variazione di albicocche, in polvere delle parature per l’acidità e spremute da appassite.
Le fotografie sono di Niko Boi
Indirizzo
Ristorante Josto
Via Sassari n 25 - 09124 Cagliari
Tel. +39 070 351 0722
Il sito web