Nel golden age del cibo più popolare, i fratelli Francesco e Salvatore Salvo continuano a scrivere la loro biografia napoletana. L’ultimo capitolo è ambientato sulla riviera di Chiaia, presso Palazzo Ischitella.
La Storia
Bisognerebbe coniare una nuova figura retorica, per quei cibi che riassumono un luogo e una civiltà. La pizza su tutti, sinonimo di Napoli e di napoletanità nel quale si incrociano microstoria familiare e vicende collettive, come le secanti del taglio sulla pasta. Oggi le coordinate portano in Riviera di Chiaia, presso il seicentesco Palazzo Ischitella, passato per le intemperanze di Masaniello e poi rilucidato, al cui piano terra i fratelli Francesco e Salvatore Salvo hanno deciso di scrivere un nuovo capitolo della loro biografia napoletana. È ambientato nella contemporaneità di una metropoli dinamica, pur tuttavia abbarbicata alla propria identità, dove la pizza è un salvagente sociale, ma anche un volano turistico dopo il riconoscimento Unesco.Le prime pizze di famiglia furono quelle casarecce di nonna Rosa nei Bassi napoletani; prima che nel 1968 la stessa mano firmasse per il locale di un parente a Portici e vi insediasse Giuseppe con i suoi fratelli. Tredici ragazzi, tutti mandati a bottega. “Ed è stato quando purtroppo papà è mancato, nel 2005, che ci siamo trasferiti a San Giorgio a Cremano, un paese popolare, dove la pizza svolge una funzione sociale. Poi lo sviluppo ci ha indotto a cercare uno sbocco nel capoluogo. Ed è stato così che a luglio abbiamo aperto qui, in sordina”, dice Salvatore nella saletta luminosa ed elegante della nuova pizzeria.
Con lui il fratello maggiore Francesco, anche lui cresciuto a bottega. Perché pizzaioli si nasce, come i rosticcieri di Brillat-Savarin, o forse si tramanda. “Quando l’attività è familiare, la pizzeria è casa tua. Ti ritrovi a lavorare per abitudine familiare. Personalmente non mi sono mai chiesto cosa avrei fatto. Ho frequentato il liceo scientifico e ricordo che con mio fratello, appena posate le cartelle, iniziavamo a dare una mano, fare una consegna a domicilio o qualche servizio, poi magari tornavamo a casa per i compiti; fino ad assumere pian piano le prime mansioni di responsabilità. È diventato il nostro vivere e abbiamo inevitabilmente coinvolto le nostre famiglie. Una storia che continua”.
Oggi Salvatore e Francesco si dividono fra i locali, in modo che uno dei due sia sempre presente, il primo con mansioni produttive, il secondo addetto specialmente al gestionale. “Ma siamo l’alter ego l’uno dell’altro”. La pizzeria di Riviera di Chiaia segna la crescita anche culturale dell’offerta della casa. “Molti ci riconoscono il merito di aver avviato in modo inconsapevole un rinnovamento generale, cercando di ampliare le conoscenze professionali e sul prodotto. Mentre mio padre utilizzava ingredienti di alta fascia, noi siamo tornati a quelli artigianali e di nicchia, che erano praticamente scomparsi. In un certo senso abbiamo viaggiato a ritroso. E sono spesso piccole produzioni, che ci costringono a differenziare le carte fra le due pizzerie. Poi abbiamo promosso una diversa idea di professionalità e di format, con un menu che possa rappresentare l’autorialità del pizzaiolo”. Un altro punto saliente è stato l’allestimento della nuova carta dei vini, prima con la selezione di birre artigianali, poi con piccole cantine e un occhio sempre aperto sul rapporto qualità prezzo. Oggi le referenze sono più di 200, allargate a Champagne e nuovo mondo.
Il planetario tuttavia continua a ruotare intorno a lei: la pizza. L’impasto, morbido e malleabile, è fedele alla tradizione napoletana, per composizione, manipolazione e cottura. Viene preparato con un mix di farine del Mulino Caputo (la 00 per la struttura, una 0 da pane cafone e taralli per la fragranza), pochissimo lievito di birra e un’elevata idratazione, attorno al 70%. “Ma papà lo avrebbe definito mollo, perché non conosceva le proporzioni”. Continua a cambiare tutti i giorni, secondo le condizioni atmosferiche, una variabilità che Salvatore doma insieme ai suoi stretti collaboratori (in tutto i dipendenti sono una settantina). La lievitazione, garanzia di digeribilità e leggerezza, si protrae per 24 ore senza controllo di temperatura. La stesura è nella forma di un disco ampio, con un cornicione alveolato ma non eccessivo. Il risultato è soffice al limite della scioglievolezza.
Ma dai fratelli Salvo la pizza è più che mai la base di veri e propri piatti, un po’ come i dischi di pane della cucina medioevale. Gli ortaggi arrivano dal mercato ortofrutticolo di San Giorgio a Cremano: sono tutti locali e stagionali, protagonisti di una volubile pizzeria du marché. Mentre gli oli sono selezionati tramite invio di campioni e oggetto di abbinamenti ad hoc; le referenze sono in tutto 18. Poi ci sono i formaggi dop o del consorzio, il fior di latte da latte di raccolta e il pesce azzurro del Golfo, le carni processate di Giacobbe e perfino la zuppa forte dell’osteria ‘E Curti di Sant’Anastasia, che funge da ripieno per la pizza fritta.Spesso dietro le combinazioni c’è lo zampino di uno chef, visto che questo filone creativo, iniziato nel 2012, ha visto la partecipazione di Gennaro Esposito, Nino di Costanzo, Antonino Cannavacciuolo, Enrico Cerea, Mauro Uliassi, Davide Oldani, Ernst Knam ed Ernesto Iaccarino, autori di ricette firmate. Ed è proseguito con la messa a punto a quattro mani insieme a Salvatore Bianco e Luigi Salomone.
Le Pizze
Le pizze sono pagine di un libro di storia napoletana. C’è la Margherita, di cui tutti conoscono le origini datate 1889 (ma non mancano testimonianze contrastanti); prima ancora però c’è stata la cosacca, pizza povera appena riscoperta, che sarebbe stata ideata nel 1834, in occasione della visita ufficiale dello zar di Russia alla reggia di Portici. Nient’altro che una marinara spolverata di formaggio grattugiato, evocativo della neve. Quella dei Salvo è preparata con pomodoro corbarino e pecorino bagnolese a latte crudo.
Dalla collaborazione con Salvatore Bianco è nata la pizza ai 6 pomodori, che ricostruisce un ortaggio totale e ideale attraverso il collage fra i ricordi, sul modello del celebre spaghetto di Nino Di Costanzo, che ne contava 5. Quindi una base di corbarino, pomodori grigliati amarostici e affumicati in crema, San Marzano all’acqua e sale, pomodorini confit e del piennolo marinati e minerali, ciascuno esaltato nelle sue caratteristiche, in equilibrio fra sensazioni contrastanti. Un po’ pizzetta, un po’ bruschetta, un po’ pane e pomodoro e altro ancora.
Poi la pizzarda, battezzata da Roy Paci sul modello della nizzarda, in cui inizia a manifestarsi il lavoro sul vegetale. Consta di broccolo barese croccante, alici cotte, scorza di limone a sgrassare e crostini per il croccante. Oppure l’ortolana, pizza stagionale che in autunno esibisce broccolo barese e nero, zucca e cardoncelli; in inverno scarola, friarielli, infiorescenze di cavolo e cipolla di Montoro cotta sotto la cenere del forno, come pure la carota di un’altra guarnizione. E ancora la pizza con erborinato di capra ai frutti rossi e petali di rosa, alice cruda marinata alla Uliassi, noci e pinoli a smussare.
Ma lascia il segno per esecuzione e non solo la pizza fritta, ripiena di ricotta, mozzarella di bufala affumicata, cicoli e pepe rosso di Sarawak di Gianni Frasi. Viene abbinata secondo tradizione a un Marsala, la cui alcolicità sgrassa dolcemente l’opulenza popolare, come facevano i nonni a merenda. “Un’usanza che stiamo cercando di rinnovare, attraverso abbinamenti sperimentali con i vermouth, arrivati a Napoli in seguito all’unità d’Italia. Hanno subito preso piede, sostituendo il Marsala, grazie alla nostra antica consuetudine con i vini aromatizzati; tanto che in zona si è iniziato a produrre le basi con l’aglianico. Il matrimonio più felice? Il Carlo Alberto rosso ben freddo sulla quattro formaggi”.
Menzione speciale per la pasticceria da ristorante gourmet di Mario Di Costanzo.
Indirizzo
Francesco e Salvatore SalvoRiviera di Chiaia, 271, 80121 Napoli NA, Italia
Tel. +39 081 359 9926
Largo Arso, 10 - 80046 San Giorgio a Cremano NA, Italia
Tel. +39 081 275306
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