Classico, creativo, avanguardista: Chicco Cerea raccoglie l’eredità del padre Vittorio nella rete del suo pluristilismo, grazie a un metodo creativo fondato sul brainstorming.
Il Ristorante
La storia del ristorante Da Vittorio
La strada avanza rettilinea fra gli alberi, mentre il vetro posteriore inquadra la pigrizia di Brusaporto, paesino immobile sotto il sole estivo, ombreggiato a tratti dal sopracciglio di un aereo in volo. Fino al cancello massiccio di una cittadella che custodisce i sentieri di una grande cucina: il citofono riporta il nome di Vittorio, istituzione bergamasca che è prima di tutto una grande storia italiana.
Vittorio Cerea: il primo a portare il pesce a Bergamo nel 1966, pioniere premiato da una stella Michelin nel 1970, anno terzo prima della nouvelle cuisine, e dalla seconda nel 1996. Una visionarietà raccolta dai figli, quando hanno posato gli occhi per la prima volta sulla nuova location. Nella cornice di quella collina aveva avuto sede un club privato, prima che nel 1996 vi traslocasse il grande catering della Cantalupa, giudicato da molti come il migliore d’Italia; e che nel 2005, al termine di lavori imponenti, a spostarsi da Bergamo fosse il ristorante gourmet, presto coronato dalla terza stella. Oggi sono due esercizi distinti con cucine e brigate separate, più gli angoli griglia e fritti attorno alla piscina e salette animate da private chef o adibite a corsi di cucina. Forse nessuna struttura in Italia spande il proprio agio con simile grandeur tutt’intorno, per un’intera collina. A venire in mente è piuttosto Georges Blanc effigiato accanto alla sua celebre poularde.
Mezzi paccheri ripieni con verdura e fonduta di robiolina ai tre latti – foto Paolo Chiodini
La cucina però sa sorprendere, rivoluzionaria come lo era stato a suo tempo Vittorio, quando aveva deviato in viale Papa Giovanni tutto lo iodio del Mediterraneo con ingegneria semplice e pulita, schiettamente italiana. I suoi piatti sono tuttora presenti in carta, senza licenza alcuna, che si tratti dei paccheri alla Vittorio o dei fragolini croccanti con polenta e salsa verde. A premere tuttavia è la creatività di Chicco e Bobo, al secolo Enrico e Roberto (quest'ultimo prevalentemente ai primi), affiancati dallo storico secondo Paolo Rota; mentre la sorella Rossella guida la sala, Francesco gestisce gli eventi e mamma Bruna si fa garante della continuità.
"Vittorio era autodidatta", racconta Chicco, "ma aveva un palato incredibile, primo prerequisito del cuoco. Mi ha trasmesso la curiosità e ha avuto la visione di mandarmi nei migliori ristoranti del mondo a imparare. Dapprima da Jacques Cagna, poi in Spagna, Germania, Indonesia e a New York. Io stesso cercavo luoghi dove apprendere una determinata tecnica e tuttora dedico le mie vacanze a visitare i colleghi in giro per il mondo".
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Da Vittorio arriva anche la formidabile rete dei fornitori: "Ogni giorno riceviamo il pesce in aereo dalla Sicilia, da Chioggia e da Molfetta, dalla Liguria in treno o in camion. Viaggia di notte e quando scoperchiamo i cartoni scopriamo scampi ancora vivi. L'abbattitore lo usiamo solo dove è richiesto dalla legge, quindi per i crudi, con l'eccezione dei crostacei. Poi confezioniamo sottovuoto per i carpacci e le tartare, anche se a volte piange il cuore. Il resto viene pulito ed eviscerato in giornata in un ambiente dedicato. Lo lasciamo con sacchetti di ghiaccio sottovuoto nel ventre dentro ceste da cui fuoriesce l'acqua, coperto di carta da forno e altro ghiaccio".
I Piatti
<Casoncelli di Taleggio con crema di mais e tartufo nero - foto Fabrizio Donati
Si comincia, sovvertendo l’ordine del pasto, con stuzzichini al formaggio: il marshmallow di Parmigiano al gin e il gelato di taleggio con crumble al curry e albicocca. In accompagnamento una variazione di grissini: sfogliati, soffiati, con farina di mais, prima di un assortimento di pani sterminato. Poi i sentieri si biforcano inesorabilmente: i menu, ben diversi, sono due; la bussola esitante. Il pluristilismo è frutto di un lavoro di squadra: sono diverse le teste che lavorano ai radicali cambi di carta (cinque ogni anno, per tenere desta l'immaginazione), con una ristretta selezione di cuochi autorizzati a sottoporre a Chicco, Bobo e Paolo le proprie proposte. È il vaglio di un brainstorming che interviene nel dettaglio delle ricette, oltre il sì e il no.
Risotto con zucca, Strachitunt e crumble di amaretto – foto Fabrizio Donati
Il menu Carta bianca (16 portate a 250 euro) spara cartucce sorprendentemente avanguardiste. Per esempio la mela verde con caviale, rapa rossa e granita di mandorle, piatto complesso che promana da un binomio di matrice bulliana, fruibile sia come antipasto che in versione predessert. Acidità e sapidità, acidità e grassezza, ma anche terra e mare, piccante, tannicità e amaro in un caleidoscopio di contrasti agitato da un duplice “trompe-l’oeil”: la mela verde nelle sembianze di mela verde, scomposta e riassemblata, e il ravanello travestito da rapa rossa.
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La stessa tendenza dolce, curiosamente, si ritrova In Carbon fossile, dove il branzino è cotto in una massa composta di zucchero e nero di seppia aperta al tavolo. A preservare la polpa da una dolcezza eccessiva è l’involucro di lattuga di mare, con un effetto cartoccio che consente di innovare la magia del guéridon. In finitura anche una cucchiaiata di aria al frutto della passione per alzare l’acidità. "Sono partito in pasticceria e trasmigrato in cucina, forse per questo mi è rimasta una liaison con l'universo dolce. Ma non mancano mai la nota piccante o quella acida a riequilibrare".
Gioca invece sull’esasperazione di quanto è familiare, effetto “caricatura” dovuto alla concentrazione, Viva il Mediterraneo con gamberi di Imperia, salsa di pomodoro grigliato, pane carasau, burrata di Andria, olive taggiasche, crema di limone per la zampata amarognola: una vivida epitome delle nostre coste.
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Meno provocatorio il menu Nella Tradizione di Vittorio a base di solo pesce (180 euro), la cui filosofia gustativa si mantiene in un alveo classicista di moderazione dei contrasti, pur assorbendo suggestioni contemporanee ad ampio raggio. Per esempio i giapponismi del branzino in sashimi con lattuga croccante, quinoa e salsa miso, fresco e lineare nelle sue note di umami, oppure gli scampi in shabu shabu con pesca e granita di lime, dove la leggerissima scottatura del crostaceo evita lo stridio fra testure liquide e scivolose, migliorando il morso.
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E ancora il carpaccio di gamberi di Oneglia steso sulla fregola sarda con zuppetta di gamberi e cipolla agli agrumi, dove fa il suo ingresso la tendenza all’interpolazione fra preparazioni e ricette, in questo caso un antipasto ormai affermato nella cucina creativa, il disco battuto di crostacei, e un primo mediterraneo dalla testura solleticante e inafferrabile, a temperature differenti. Lo stesso spigolo degli Spaghetti “Ajo-Ojo” con seppie e piselli, dove un primo piatto popolare viene rifunzionalizzato in soffritto, mentre la seppia cruda con il suo collagene agevola la mantecatura . O della Caccia al cacciucco, reverse crudista con i pesci intatti e la salsa classica ma intensa, su cui rouille e aioli fanno spirare un vento provenzale.
Rombo con pesto di acciughe e miele, meringa di merluzzo – foto Paolo Chiodini
Lo scorfano scomposto, brasato e crudo, è il piatto della giornata: si presenta nelle sembianze suggestive di una pinna pettorale adagiata sul brano di pesce da scalcare con il suo guancialino gelatinoso. Viene cotto in pentola a pressione, per preservare i profumi, con un brodo di scorfano profumato al lemongrass e accompagnato dalla tartare di filetto, sempre al miso. Si ribalta così la gerarchia costituita fra i diversi tagli del pesce, con un esito intermedio fra la cucina della crudeltà scandinava e i profumi orientali. Classici i dessert, fra cui il babà.
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Di tutto rispetto la cantina, che ha strappato le sue fondamenta dalla casa madre bergamasca. Sono 1400 etichette affidate al tastevin di Fabrizio Sartorato: tanta Francia, ma anche il vino delle vigne tutt’intorno al ristorante. Si chiama Faber e viene prodotto con un uvaggio di cabernet sauvignon e di merlot oppure in versione dolce come moscato rosso, per le cure di Monzio Compagnoni. Fra i distillati anche bottiglie bicentenarie.
Indirizzo
Ristorante Da VittorioVia Cantalupa 17 – 24060 Brusaporto (BG)
Tel.+39 035 681024