Non delude il Lab 2018 di Mauro Uliassi, atteso appuntamento annuale con la creatività più sistematica e spietata d’Italia, in continuità qualitativa.
La Storia
La Senigallia di Mauro Uliassi.
Lo sanno anche i bambini, che un corpo immerso in un liquido riceve una spinta verticale dal basso verso l’alto, uguale al peso del volume del fluido spostato. E Mauro Uliassi di acqua a Senigallia ne smuove un bel po’: ogni anno un ricambio integrale, un movimento vorticoso, un frullare alacre di sorprese, riscoperte e collisioni. Cosicché Archimede non può che prenderne atto: il ristorante è trascinato ancora verso l’alto. Sulle sue tavole si apparecchia di fatto una delle mangiate più eccitanti e soddisfacenti d’Italia. Imperdibile e letale.
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Al pari dei suoi competitor nella pattuglia di testa della cucina italiana, Uliassi ha negli anni maturato un suo stile, sempre meglio definito per quanto in itinere. Anche questo LAB parla di memoria e marchigianità, immersioni pelagiche e deflagrazioni gustative sotto il velluto della sabbia, non meno letali delle follie atomiche a Bikini e Mururoa. Ma i piatti sono tutti nuovi, anzi a chi non era passato l’anno scorso è data la possibilità di recuperare il Lab 2017, oltre al menu dei classici e alla gettonatissima selvaggina, per un prezzo che oscilla fra 120 e 150 euro.
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“Il gruppo del Lab è rimasto quasi lo stesso: insieme al sottoscritto ci sono Mauro Paolini, Luciano Serritelli, Michele Rocchi e una new entry, Yuri Raggini, nelle vesti di chef rôtisseur”, racconta lo chef. “Ci siamo riuniti come sempre dal 10 febbraio all’ultimo week end di marzo e abbiamo iniziato a confrontarci a ruota libera. Io sono quello che dà le linee guida su cui lavorare, per esempio gli scarti del pesce o le tagliatelle della domenica; e sono anche il palato, perché l’ultima parola spetta a me. Se ci vuole più acidità o più amaro, come mettere le ricette in sequenza e incastrarle, affinché i sensi restino sempre all’erta. All’inizio l’impressione è quella di non andare da nessuna parte, che sia impossibile pensare qualcosa di nuovo. Poi pian piano le idee si sviluppano con il solito metodo: parlare e in un secondo momento bilanciare al palato”.
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“Al di là dei piatti, quello che ci interessa è sentire che siamo vivi, mantenere la curiosità di guardare oltre la siepe, senza domandarci dove andremo. Perché solo così possiamo raggiungere il luogo destinato in modo naturale. Anziché progettare mete, restiamo concentrati su un’emotività fertile e desiderosa di fare. È come correre e scegliere di andare verso un paesaggio: cerchiamo di raggiungerlo, ma il giovamento è nella corsa. Ed è un Lab continuo. Neppure quando escono i piatti sono ‘pronti’, perché devono essere mangiati ancora tante volte. Io li assaggio fino allo sfinimento, per standardizzarli e talvolta migliorarli. Adesso abbiamo notato che lo scorzone surgelato e grattugiato ha una testura migliore del fresco, un’altra evanescenza, che non asciuga il palato. Stiamo provando delle mescole con i suoi classici abbinamenti, sul modello del lingottino di ostriche, ricci e alghe”.
I Piatti
I piatti del nuovo lab 2018 di Mauro Uliassi iniziano così:
dopo gli ormai classici stuzzichini (il wafer di foie gras, la finta oliva all’ascolana, il crostino di acciuga e tartufo nero pregiato, più un cracker di ceci con maionese di latte di soia alla soia e semi di lino, ottenuto al microonde secondo la tecnica di elBulli, futuro permanente della cucina mondiale), il LAB inizia a spazzar via la bonaccia con la canocchia, protagonista di una ricetta che ne valorizza le uova. “In cucina sono sempre un problema, perché cotte diventano cerose. Quindi all’acquisto cerchiamo di evitarle, ma non sempre è possibile. Così ci siamo detti: che ne facciamo? E abbiamo pensato di abbattere il crostaceo intero, decorticarlo, marinarlo leggermente in sale e zucchero per correggerne la testura scivolosa e affettarlo con l’affettatrice, in modo da ottenere quasi una farcia”. Praticamente una bottarga (anche se lo chef non vuole…) e tutt’intorno la sberla dei contrasti: “La sapidità alta chiama l’acidità del frutto della passione. Mentre il mare è spinto alla base dalla diversa sapidità del brodo di granchietti, cotti al vapore e passati al torchio”. Powered by Luciano Serritelli.
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Ancora il mare a tutta forza (minimo 9 scala Douglas) nella seppia, di nuovo a firma Serritelli. “Il piatto è nato perché abbiamo in linea seppie sporche, complete di pelle, fegato e nero, che riponiamo su una teglietta prima della cottura. Sotto si forma una scolatura e assaggiandola mi sono accorto che è pazzesca. Ma non basta per fare un piatto, così abbiamo pensato di frullare tutto il mollusco in modo da ottenere una specie di zuppa dalla sapidità straordinaria, guarnita di elementi che restassero in scia apportando testura. Quindi i fasolari con il loro fenico, le mazzancolle croccanti, il vegetale dell’avocado per la grassezza e quello delle coste di lattuga romana per l’acquosità defaticante e la nota terragna. In finitura un olio di tamerici ottenuto dall’estratto alla Greenstar, usato per aromatizzare brevemente il grasso, apporta un’ulteriore sfumatura sapida. Con la mente che va alle dannunziane ‘tamerici salmastre ed arse’”.
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La corona di rombo riprende lo studio delle parti meno nobili del pesce, dopo la testa e il collo dello scorso anno. “Nelle cucine si butta via, al massimo ci si fa il brodo. L’abbiamo spinata e abbiamo provato a cuocerla in tanti modi, ma si presta particolarmente bene alla griglia, che ammorbidisce e abbrustolisce il collagene. La serviamo con un battuto di capperi, acciughe e il seme dell’oliva che sembra gruè, ma ha un gusto leggermente rancido, appena ossidato, piacevole entro la giusta soglia. Più succo di finocchio selvatico, tzatziki e arancia”. Powered by Luciano Serritelli.
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Già non si contano le imitazioni del lardo di polpo messo a punto da Mauro Paolini. “Sedevamo insieme da Nana, trattoria che serve conserve spagnole. Ci hanno portato un polpo leggermente essiccato e affettato con l’olio, un po’ calloso ma piacevole. Da lì è venuta l’ispirazione, anche se lo studio è stato lungo, perché il nostro non si manteneva e inacidiva in fretta. Abbiamo pensato di fare asciugare i tentacoli, per poi abbatterli e rosolarli violentemente, in modo da mantenere l’interno crudo e immacolato, mentre la pelle tolta, rosolata di nuovo ed essiccata, fornisce una polvere simile alla bottarga. Quindi i fusilli al dente, le fettine sottili, che con un pizzico di sale Maldon, una strofinata di aglio e rosmarino sono lardo di Colonnata, e la spolverata in cima”. Il trompe-l’oeil è servito.
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E sempre al recupero degli scarti ittici lavora la ricetta del collo di rombo, impanato e fritto all’unilaterale, servito in un saor sui generis powered by Luciano Serritelli. “Siamo partiti dall’idea del pesce ‘alla milanese’, ma siccome lungo l’Adriatico è tradizione conservare il fritto nell’aceto, alla fine abbiamo reinterpretato il saor usando il sifone. Più la cipolla acida e croccante; un trito di pepe al pestello, ginepro e polvere di alloro, aromi tipici della preparazione; la nota fresca, acidula e amara della mela in osmosi di succo di alloro per ripulire”.
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A segnare il passaggio alle carni è una spigola, il cui contorno è in via di emancipazione verso l’intermezzo. Si tratta di morchelle, pesche arrostite e classica salsa al vino bianco, tipo beurre blanc, dove il trait d’union è il Verdicchio, crocevia di frutta, simil mugnaia e funghi. Powered by Yuri Raggini.
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È marchigianità profonda nelle tagliatelle al ragù di cortile. “Un sugo della domenica che abbiamo rivisto con tutte le rigaglie cotte a parte, spesso di difficile reperibilità: fegato, stomaco, barbigli, budelline, zampe e collo. La pasta è spessa e callosa, un po’ rustica come nelle case; più il pomodoro ridotto a parte con succo di limone e chiodi di garofano a spot e il pecorino di fossa”. Dove l’esito è dolce, acidulo e piccante, quasi orientale nel focus sulle testure.
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E si prosegue con la selvaggina. Il colombaccio crudo di Mauro Paolini quest’anno è servito con un fondo di agnello e olio all’eucalipto, dall’incastro spiazzante: ematico-stallico-balsamico. “Anche in questo caso siamo partiti dalla quotidianità di cucina. Abbiamo notato che i fondi di agnello variavano molto e che risultavano più caratterizzati, con note di stalla e fieno, se preparati con la spalla. Ma proprio in quei giorni avevamo per le mani i colombacci e le pipette di una serie di prove di estrazione, così ci siamo messi a giocare finché non abbiamo trovato l’incastro giusto. E l’eucalipto ci ha aperto il cervello. Mi è tornato in mente Piergiorgio Parini, quando faceva la pasta con la pecora cruda e appunto l’eucalipto”.
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Ottimo anche il dorso di lepre appena scottato, servito semplicemente con una classica salsa salmì al vino rosso, ginepro e frattaglie e un “crumble” di olive nere, dove la chiave è la frollatura della carne. “Anche in questo caso il problema era l’incostanza del prodotto. Per questo abbiamo provato diverse frollature, da 3 giorni in avanti, con la polpa e le ossa a parte. All’ottavo abbiamo percepito nei fondi sapidità diverse, la maturazione di profumi nuovi grazie all’ossidazione del sangue. Poi un ricordo: le olive nere carbonelle cotte sotto la cenere, disossate e frullate, mescolate all’ultimo momento con pane croccante per la nota amara e fumé”. Il bouquet è straordinario, con la carne succosa e il fondo che spazia dal tabacco al cuoio, come un grande rosso. Al punto che ci si chiede perché mai si sia smesso di frollare. Gusti di qualche decennio fa, probabilmente, quando però la carne era stracotta per abbattere la carica batterica, precisa Uliassi, che di cucina classica, non particolarmente snob, è connaisseur. Powered by Mauro Paolini, anche in questo caso.
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I dolci sono firmati da Michele Rocchi. Prima il predessert, che ripesca una vecchia ricetta di ostrica, forse in anticipo sui tempi. Si compone di cipolla di Tropea sbollentata, croccante ma non acre, in osmosi di succo di ciliegia, ciliegie e granita di lemon grass.
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Il kick acido indispensabile per ripartire. Ed è formaggio a fine pasto: lo squacquerone con il polline crudo di Giorgio Poeta, la camomilla, la Galatina per la dolcezza e la granita di sedano.
Le fotografie sono di Gianluca Poli
Indirizzo
Ristorante UliassiBanchina di Levante, n 6 -60019 Senigallia (AN)
Tel. +39 071 65463
Mail info@uliassi.it
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