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Franco Aliberti e la resurrezione dei Tre Cristi

di:
Alessandra Meldolesi
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ristorante tre cristi milano

Etica, sostenibilità, scarto zero sono le parole chiave di una cucina che avanza nel solco spontaneista e italiano delle Calandre.

La Storia

Finalmente Franco Aliberti. Ha trovato un ubi consistam, il folletto abituato a materializzare e smaterializzare la sua chioma nei luoghi topici della ristorazione italiana. Neanche a dirlo a Milano, e non in un ristorante qualsiasi: quei Tre Cristi portati alla ribalta da un genio chiamato Paolo Lopriore, poi ceduti al talentuoso Donato Ascani e a Dario Pisani. Gestioni giovani e innovative, che hanno dissodato il terreno per una semina diversa dal passato. I concetti sono solidi e chiari, lo stile ancora in progress.


Per Aliberti è un punto di arrivo, ma non il primo banco di prova. Classe 1985, nativo di Scafati, vicino a Pompei, studente all’alberghiero di Nocera Inferiore e poi a Salsomaggiore Terme, è ripartito dagli insegnamenti di mamma Angelina, contadina alla milionesima generazione, che a 9 anni già portava il trattore e quando lui ne aveva altrettanti gli badava nei campi. Inizialmente un gioco, sbocciato in passione del prodotto.


Soprattutto è ripartito da un curriculum serrato. Prima i fine settimana come extra da Massimo Spigaroli, quando non c’era ancora l’Antica Corte Pallavicina, ma già grufolavano gli allevamenti dei maiali, a pulire muffe e passare torcioni di vino sui culatelli, dare una mano alle signore per tirare il collo alle oche o tramortire i pesci gatto. “Ero nel seminterrato, aspettando di salire quando fossi stato pronto”. Poi il 59 Poincaré ai tempi di Ducasse, spostando le valigie ogni giorno da un F1 al successivo, e il ruolo di assistente ad Alma, perché i corsi non erano abbordabili, al fianco dei maggiori cuochi italiani. “Appena conclusa questa esperienza, mi chiamò Gino Fabbri: c’era un ristorante che cercava. Ma chi? Quando mi disse: Le Calandre, non riuscivo a crederci. E ho trascorso un anno e mezzo nel laboratorio con la mamma, poi lo stesso tempo al ristorante, in mezzo a capopartita che sono diventati i luogotenenti di un impero gastronomico. È il cuoco che mi ha trasmesso di più, a livello di palato; un perfezionista e un cultore della materia prima”.


E ancora un anno di Albereta con Gualtiero Marchesi, l’apertura del Marchesino e il passaggio al Vite di San Patrignano con Fabio Rossi, cruciale per l’esperienza di un microcosmo artigianale con diramazioni quali caseificio, panificio, falegnameria, laboratorio del fabbro. “Luoghi dove potevo sfogare la mia creatività, disegnare i piatti e le suppellettili, come continuo a fare anche adesso. In Romagna mi trovavo bene, così ho buttato il cuore oltre l’ostacolo e aperto il mio primo ristorante, incentrato sul concetto di scarto zero. Ma siccome i tempi erano lunghi, ho chiesto a Bottura di fermarmi in cucina da lui e mi ha spronato ad andare avanti, nonostante le perplessità e le difficoltà con cui mi scontravo. Èvviva però è durato appena un anno e mezzo, a causa di problemi societari. Dopo la parentesi newyorkese, il blocco giusto per la ripartenza mi è sembrato l’agriturismo valtellinese la Fiorida, dotato di vacche, capre e maiali, latte e derivati di filiera propria”. Quando squillano le sirene di Expo, però, la proposta dei Tre Cristi è irrifiutabile. Ed il cambio avviene in corsa, senza soluzione di continuità, nello scorso mese di novembre.


Il concept è chiaro: si ritratta di riprendere il filo interrotto di Èvviva, quindi una cucina etica, sostenibile, renitente alle lusinghe dei fornitori specializzati. Complice Lisa Casali, presto moglie di Aliberti, scienziata ambientale prestata alla gastronomia, che funge da consulente informale. Significa rinuncia al pesce di mare, perché gli stock ittici sono sovrasfruttati e gli allevamenti intensivi, in favore del pescato di acqua dolce proveniente da allevamenti trentini di alta quota, con acqua di riciclo ed elevati standard etici; ma anche carni di Cazzamali, latticini La Fiorida e uova di Selva; ortaggi locali o da presidi Slow Food, scelti con l’obiettivo e nel rispetto della biodiversità. E la direzione è sempre più green, con composizioni pulite e generalmente ternarie.


Mettiamoci anche la mia formazione di pasticciere, che significa un approccio scientifico e quasi militare. Di ogni prodotto devo capire da dove arriva, chi lo produce, come deve essere lavorato e magari dimostrare che le parti meno nobili possono assurgere a protagoniste del piatto”. E il concetto dello scarto zero riposa anche sui tavoli, nella forma di sculture in polvere di ceramica o marmo plasmate entro stampi in pvc, ricavati tramite una termostampante dalle verdure di stagione. C’è poi il progetto “Il cibo non mente”, che scherza con la neurogastronomia: la sua illustrazione è un cervello di spaghetti con l’amigdala-scarpetta, inzuppata nelle emozioni ancestrali e familiari.

I Piatti

I menu degustazione sono due: In città, composto di 8 corse che scorrazzano per i quartieri e le emozioni di Milano, a 70 euro, 110 con abbinamenti, e A due passi… da Milano,10 corse al costo di 90 euro, 150 con abbinamenti, delle quali viene segnalato il chilometraggio dalla Madonnina, dai 7 chilometri del cavolfiore ai 150 del carciofo (di Agrigento).


I vini sono appannaggio di Monica Angeli, maître e sommelier, che amministra una carta da 500 etichette, in via di rinnovamento sul fronte delle referenze naturali e soprattutto “etiche”.


Il benvenuto mette subito sul piatto il concetto chiave dello scarto zero: quindi il gambo di broccolo, che tanti getterebbero, ingentilito dalla marinatura nel succo di barbabietola e piastrato, servito con kombucha di tè verde aromatizzato agli scarti della marmellata di pepi utilizzata in pasticceria.


Ad aprire entrambi i menu è poi il panettoncino salato con mostarda di mele cotogne e zafferano, servito con zabaione anch’esso salato: epitome di Milano che ironizza sulla formazione liminare di Aliberti.


I finti spaghetti di patata, fili di tubero scottati e saltati, sono conditi con pancetta, Raschera e bietola o costa, sulla falsariga di una ricetta tipica valtellinese, il taroz. Mentre il riso della riserva San Massimo porta in trionfo la carne delle galline ruspanti, che per tanto tempo hanno deposto preziose uova di Selva. Finiscono in un brodo che non bolle mai, i cui ingredienti vengono aggiunti a intervalli cadenzati, infine utilizzato per risottare il Carnaroli; mentre la polpa è tostata a mo’ di ciccioli, le ossa forniscono un fondo e il quindi quarto si trasforma in paté. Il volatile nella sua interezza.


Gli ingredienti sono due anche nei bottoni: fagioli e cicoria pan di zucchero, che viene bollita e strizzata. La sua acqua finisce nella farina della pasta priva di uova, mentre le foglie sono abbrustolite e unite ai cannellini per il ripieno. Ciò che resta sul setaccio, infine, insaporisce il brodo.


La riduzione procede nel 100% carciofo, dove i capolini sono passati al vapore e poi abbrustoliti al barbecue, scartando via via le foglie esterne fino al cuore. Raffreddate nel ghiaccio, queste ultime vengono utilizzate per il brodo dai sentori affumicati, mentre il fieno e i gambi frullati diventano un’emulsione deposta al centro della spirale.


Il sottovuoto produce plastica. Sarà per questo che la spalla di maiale viene disossata, marinata in una salamoia speziata e poi cotta in forno al cartoccio per un’intera notte a 110 °C. Sfilacciata a mo’ di pulled pork, viene modellata a cilindro e grigliata, con le ossa che forniscono un fondo. L’abbinamento tutto nordico è con un’insalata di cavolo cappuccio e la salsa barbecue.



Dopo il predessert del finto spicchio di aglio, in realtà una pralina di cioccolato caramellato all’aglio nero, che torna a ironizzare sul tormentone dolce/salato, arriva la pera, di nuovo monografica. Frutto che viene cotto in uno sciroppo alle spezie e frullato, mentre l’acqua addensata è montata in forma di crema bianca, simulando la panna, e utilizzata per cuocere il torsolo denocciolato: il riscatto dello scarto, senza grassi né zuccheri.

Indirizzo

Tre Cristi Milano

Via Galileo Galilei, 5 - Milano

Tel: +39 02 29062923

Mail: info@trecristimilano.com

Il sito web 

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