A prima vista, Mohamed Benabdallah sembra un’ombra discreta in un mondo di riflettori. Non ha profili social, evita le interviste, raramente compare nelle foto. Eppure, se un giorno riuscirai a prenotare un tavolo all’Asador Etxebarri, è solo perché lui ha deciso che puoi farlo. Da poco nominato Miglior sommelier del mondo dalla classifica The World’s 50 Best, Benabdallah è molto più di un esperto di vino: è il custode del ristorante più misterioso della gastronomia contemporanea.
Dalla brace, un sistema che non fa sconti
Bittor Arguinzoniz, chef e fondatore di Etxebarri, ha affidato a lui la responsabilità del sistema di prenotazione – un gesto raro, vista la sua proverbiale reticenza a delegare. “Ci sono giorni in cui riceviamo oltre tremila email. Alcune sono vere e proprie lettere del cuore”, racconta Mohamed a Michelin in questo articolo. Proposte di matrimonio, celebrazioni post-malattia, attese di anni per riuscire ad avere un figlio. Le legge tutte, ogni sera. E risponde quando può. Ma il suo ruolo è anche quello di tenere il punto, dire no, scegliere con lucidità. “Non abbiamo tavoli in più, né camerieri sufficienti per raddoppiare i coperti. Alla brace c’è solo Bittor. E non si possono trovare 40 orate in più da un giorno all’altro.” Un lavoro che richiede, come lui stesso dice, sangue freddo.

Il vino come linguaggio universale
Nato in Algeria nel 1984, cresciuto a Zurigo, Benabdallah è approdato in Spagna dopo un percorso tra culture, lingue e visioni del mondo diverse. Ha iniziato “ripassando bicchieri” in un hotel di lusso a Zurigo.
A fargli scoprire la profondità del vino è stato Juan Antonio Navarrete, sommelier di Quique Dacosta. “Mi ha insegnato che il vino è un dialogo tra persone. Un ponte, non un lusso.”

Questa visione si riflette anche nel suo approccio all’abbinamento: personalizzare ogni proposta in base al gusto del cliente, rifiutando etichette e gerarchie. “Non siamo stelle. Siamo solo persone che aprono bottiglie per rendere felici gli altri.”
La sensibilità prima della tecnica
Quando è arrivato a Etxebarri nel 2017, dopo l’esperienza nel radicale Mugaritz, ha impiegato tempo ad abituarsi: al silenzio, ai clienti affezionati, alla vita in un angolo remoto dei Paesi Baschi. “All’inizio pensavo che i complimenti dei clienti fossero esagerati. Poi ho capito che erano sinceri.” Ora considera quella valle, dominata dal monte Amboto e dalle leggende su Mari, la sua casa. “Qui ho capito che la vera sofisticazione è la semplicità.” E se un giorno Arguinzoniz dovesse chiudere il ristorante? “Non ci ho mai pensato. Abbiamo ancora molto da fare.”

Nessuna scorciatoia, solo gesti silenziosi
Benabdallah sa bene cosa cerca Bittor in chi vuole ereditare la brace: “Non è questione di tecnica. Cerca persone con sensibilità. E quella non si insegna, si percepisce.” Le storie non mancano. Come quella del cliente che mandò una bottiglia comprata a un’asta per sorprendere gli amici. Una volta ricevuta, Benabdallah capì che era un falso. Ma non lo mise in imbarazzo. Gli servì una vera bottiglia dalla loro cantina, gratuitamente. Solo dopo scoprì che quell’uomo era il miglior amico di un produttore con cui desideravano collaborare. E fu proprio quel gesto, fatto senza clamore, ad aprire la porta. Per questo motivo, anche se il suo nome non compare sui cartelloni né nelle luci della ribalta, nulla – e nessuno – si muove da Etxebarri senza il suo tacito assenso.
