Cresciuto lontano dai riflettori, a scuola di cucina spadellata, Massimiliano Poggi è il cuoco per antonomasia. Con la sua grinta ha conquistato una delle piazze più difficili d’Italia: ecco come.
La Storia
Bologna la superba. Sono tanti i cuochi che hanno fallito, in quella che resta una delle piazze più ostiche d’Italia. Ma c’è anche chi da lustri è il beniamino di una città, che sa interpretare come nessuno. Per quanto i riconoscimenti tardino ad arrivare. Massimiliano Poggi non se ne cruccia: in fin dei conti è nella ristorazione coscienziosa ma anonima e popolare, che si è fatto le ossa. Un cuoco vero e per antonomasia, in connessione sentimentale con la sua clientela.Il suo nuovo motto è: “divertiti”. Perché il frutto di una carriera spesa fra due fuochi e altri due cuochi, con il sudore che sfrigola sulle piastre di ghisa, è una nuova sfida. Quella di un ristorante gastronomico puro, dove togliersi finalmente lo sfizio di una qualità senza compromessi. A costo di scontentare qualche habitué nell’inevitabile turnover della clientela. Tanto che si impone una riflessione sulla discriminazione dei cuochi variamente emergenti e riemergenti, non necessariamente under 30, spesso invisibili per un sistema di informazione e valutazione perennemente a caccia della notiziabilità.
Tutto è cominciato alla scuola alberghiera di Rimini, scelta per spirito di avventura in quanto lontana da casa, a Bologna. “Ma lavorare mi piaceva troppo, così mi sono fermato in riviera e sono incappato nel mio primo maestro. Al Brini di Ravenna, dove era chef Gino Angelini, mi sono scontrato con la professione: avevo un paio d’anni di esperienza ed ero convinto di saper cucinare, invece ho dovuto ricominciare tutto da capo. Mi sentivo una vittima, poi un giorno mi sono detto: Sai cosa c’è? Voglio diventare come loro. E ho cominciato a mettere a frutto le reprimende e le sfuriate, cercando di migliorare sempre più. Non sono più riuscito a smettere”.
È seguita una parentesi a Montecarlo, a scuola di cotture, fondi e salse dai più bravi, per focalizzare il dettaglio. Tanto che Poggi eccelle tuttora nei secondi e le salse, ogni tanto, assurgono a protagoniste del piatto. Poi il ritorno in Romagna da Vincenzo Cammerucci, capofila di un’altra illustre genealogia adriatica, sempre al Brini, inizialmente come pasticciere, poi come sous-chef. Per concludere con Luigi Sartini a San Marino, sempre da secondo.
Il passaggio a chef patron è dietro l’angolo: nel 1991 c’è da rilevare un ristorante “commerciale” in una zona “commerciale”, prossima alla fiera, alla tangenziale e al Parco Nord, generosa di passaggio e di parcheggio. “E ho iniziato pieno di debiti, tanto che ho dovuto accantonare ogni velleità e macinare coperti. Quando mi sono liberato dalla corvée, nel 1996, ho iniziato a fare quello che mi piaceva: piatti innovativi, curiosi, diversi dal solito standard. Soprattutto di pesce, con qualche influenza spagnola. E sono entrato nelle guide, ma giocavo ancora in difesa. Nel 2003 ero chef emergente per il Gambero Rosso, poi ho riscoperto la tradizione: la lasagna espressa, i tortellini in brodo, con un ripieno diverso se li abbatto o meno. Perché il freddo fa perdere sapidità e occorre meno prosciutto”.
Ed è così che al Cambio nel tempo si sono aggiunti due locali. Prima Vicolo Colombina, centralissima trattoria dall’atmosfera informale, consacrata a tagliatelle e tortellini eseguiti con altre cognizioni, aperta nel 2010, il cui ultimo chef è stato Matteo Poggi, figlio di Massimiliano già in stage da Massimo Bottura. Poi il ristorante Massimiliano Poggi, negli spazi che furono del vecchio Sole dei Fratelli Leoni, a Trebbo di Reno, con il dehors e il giardino da sempre agognati, aperto nel 2016 dopo i lavori di ristrutturazione. Cosicché il vecchio Al Cambio ha cambiato registro: mentre la cucina d’autore traslocava a Trebbo, in chiave più gourmet, qui subentrava la tradizione emiliana, ma nella cornice di un ristorante elegante, con il servizio curato, le posate d’argento e i tovagliati di lino, in divisa da chef Armando Martini. “Ma è una proposta diversa da Vicolo Colombina, dove per esempio il ragù è più ricco, perché la gente in centro cerca il piatto unico. Mentre al Cambio è tradizionale, battuto al coltello”. Poggi continua a sovrintendere al tutto e scegliere i fornitori. “Tenendo conto che per dare il meglio, i collaboratori devono dire la loro”.
Cos’è cambiato nel trasloco? “Che mi esprimo di più. Nel vecchio Cambio ero imbrigliato: gli habitué chiedevano il filetto di pesce con salsa e guarnizione. Qui il gioco è più libero. Perché mi piace la tradizione, ma il concetto è quello della cucina di campagna, che è diversa dalla cucina del mercato, perché è ancora più vincolata alla stagionalità del prodotto locale, che tante volte arriva in ritardo. C’è un piatto di manzo, per la clientela ‘generalista’, ma il grosso sono animali da cortile e perfino la selvaggina, che qui pullula. Inoltre lavorare un po’ meno, soprattutto a pranzo, consente di dedicare più tempo allo studio dei piatti, ai dettagli, alle cotture”. Qual è il segreto per avere successo a Bologna? “Una questione di disponibilità e ospitalità, ma anche di rapporto qualità/prezzo. Insomma, rispetto per l’ospite e il suo portafogli, a costo di rimetterci un po’”.
Il Ristorante
Il ristorante dispone di un orto, con verdure, erbe e fiori; il restante vegetale arriva dai contadini del circondario, dalla collaborazione con Podere San Giuliano o Holerilla per i germogli; c’è il pesce di Qualimed e Chioggia; le carni di Zivieri e della macelleria Agnoletto. Cosicché la carta disegna un percorso che da Bologna si allarga alla Romagna e poi cerca requie in campagna, sulle tracce dello chef. I degustazione sono 3: il Corto di 3 portate a 50 euro, il Divertiti di 5 con qualche corsa di campagna a 60 e il Divertiti di + di 8, che esprime pienamente concetti e passioni dello chef e del suo secondo Marco Canelli, a 80, più l’eventuale abbinamento a 35. Mentre in sala officiano un superprofessionista come Alessandro Cervi, lungamente botturiano, e la sommelier Elisa Paganelli, che amministra una carta da 300 etichette, in gran parte “democratiche”. Nel cestino del pane grissini, streghe, pagnotta al lievito madre e “pan brioche” di crescenta, cotto nello stampo alla francese, con burro al fieno. Per appetizer bonbon di squacquerone e scalogno sottaceto, tartelletta di fegatini di piccione e mostarda di fichi, cialda di polenta cacio e pepe alla romagnola, con il pecorino di fossa.La cucina di Massimiliano Poggi è grinta, solidità, mestiere. Con un talento particolare per la cottura delle carni e il senso innato per l’acidità, ricercata, cavalcata, domata. “Perché da piccolo mangiavo il limone crudo: prima gli spicchi, poi la scorza”. A Trebbo tuttavia sfodera una diversa eleganza, senza perdere mordente. Vedi il benvenuto: il mare di Rimini, che ristora l’ospite con un brodo di cannolicchi infuso di passatelli in absentia, servito a 45 °C in inverno, a 38 in estate, con il limone quale trait-d’union con i molluschi. “Ma in Romagna è consuetudine servire i passatelli brodosi con il pesce. Ed è un piatto nato dal refuso casalingo dei passatelli che restavano nel brodo, cosicché il primo piatto era perfetto, poi diventava via via più torbido e concentrato. Eppure ce lo litigavamo da quanto era saporito. Un po’ come la crosta della lasagna di Bottura”.
I Piatti
Ad aprire il menu è poi un’insalata evanescente e stagionale, che introduce al registro della campagna: si tratta di estratto trasparente di asparagi e piselli con erbe, foglie tenere di fava e baccelli in insalata per la masticazione, quale unico elemento grasso la crema di pinoli tostati, staccata. “Perché quando arrivano le verdure sono dolcissime, in cella perdono subito un po’ di mineralità e poi virano verso l’amaro. E con il botanico ci piace girare intorno al Reno per cercare varietà da trapiantare”. Un tripudio di clorofilla. In accompagnamento un cocktail di Seedlip, distillato analcolico di legumi.Il signature del ristorante però è l’Insalata russa, lontanamente ispirata a Autumn in New York di Massimo Bottura. Il concetto è la variazione delle testure, dal croccante al cremoso, ma anche la crasi con altre specialità ben più russe di questa. “Stavamo studiando un piatto di patate, carote e maionese, ma non ne venivamo a capo. Un giorno per caso è uscito dal connubio con panna acida, caviale e vodka. E ogni boccone è diverso: ci sono i cubetti di anguilla affumicata sul fondo con il peperoncino sottaceto, il purè di patate all’aceto, le palline di carota cruda e la salsa di carota cotta, quella di rucola, le foglie di cappero, i semi di senape in agrodolce, nasturzio, finocchio, aneto, la crema di piselli crudi, i gel di rapa gialla e rossa, la panna acida al rafano, uova di trota e salmerino, più persistenti. In finitura anche una spruzzata di vodka con olio essenziale di aneto a sgrassare e per l’impatto olfattivo”. Cangiante e ben bilanciata fra grassezza, sapidità, acidità scalpitante.
Il baccalà è servito crudo in carpaccio con battuto di pelati crudi, crostino di pane al basilico e salsa di pomodoro classica. Una variazione crudista del baccalà alla bolognese, che esalta la mineralità degli ingredienti. “Abbiamo studiato la giusta temperatura di servizio: fra i 24 e i 26 °C, con la salsa calda, perché a 30 °C la sapidità risulterebbe eccessiva”.
La salsa è la vera protagonista della grigliata mista, un ricordo di Romagna che celebra anche le braci, passione dello chef: viene ottenuta frullando orata, branzino, mazzancolle, scampi cotti alla griglia con panatura romagnola di aglio, olio e prezzemolo, poi messi in infusione nell’acqua a 65 °C. Più cuori di lattuga marinati all’acqua salata e limone, limone macerato nello sciroppo, polvere di limone bruciato e uno spiedino di seppie e gamberi viola. Cosicché il gusto vira verso l’amaro.
Il risotto ai frutti di mare cortocircuita pesce crudo ed essiccato: tirato all’acqua di vongole, è mantecato all’extravergine e succo di limone con l’aggiunta dei molluschi crudi e spolverizzato di polvere di cozze e vongole cotte e poi essiccate, per un match serrato fra sapidità e umami marino.
Altro signature sono i fusillotti Felicetti di Omaggio a Medicina, “massima espressione della cucina di campagna”. Dove i bulbi sono in parte cotti in vino e aceto con alloro e pepe nero, poi ingrassati stile beurre blanc; in parte arrostiti in forno, cosicché il loro succo ridotto forma un caramello dolcissimo. Acidità e dolcezza, più tarassaco e rucola selvatica per la mineralità amarotica e un sospetto di Parmigiano.
È esemplare il maialino, passato a bassa temperatura, croccantato in padella e finito sulla brace, servito con fondo di maiale, riduzione di birra all’amarena e piselli scaldati sulla brace in una padella incoperchiata. Talento puro.
Ma c’è anche il filetto al pepe verde, nel filone dei ripescaggi vintage: in realtà lepre, assai comune in zona, spadellata al burro chiarificato e glassata nella sua salsa al Marsala, con crema di spinaci ed erbe al pepe bianco e nero e una spruzzata di olio essenziale di santoreggia a spingere le spezie. Un gioco di parole sui colori del piccante.
Al predessert freschissimo di foglia di sedano, gel di limone, scaglia di Parmigiano e rucola, che chiude il cerchio tornando allo schema dell’insalata, mentre risciacqua la bocca, segue la ciambella all’olio con acqua di pomodoro al ribes e rabarbaro, sotto una cascata di fiori: una tisana a crudo che recupera la torta campagnola al trancio. Ed è tipica anche la piccola pasticceria, composta di torta di riso, fiordilatte, raviola di mostarda e pralina di zuppa inglese.
Indirizzo
Massimiliano Poggi CucinaVia Lame, 65/67 - Trebbo di Reno Castelmaggiore (Bo)
Tel. +39 051 704217
Mail info@mpoggi.it
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