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Andrés Porcel: “Non serve fare cene di 4 ore: il fine dining deve cambiare”

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina andres porcel

Le forme del fine dining continuano a mutare: chiuso Chila, uno dei migliori ristoranti dell’America Latina, il patron Andrés Porcel e lo chef Pedro Bargero si dedicheranno a un esclusivo omakase criollo e a un ristorante informale di cucina contaminata.

L'opinione

Fra i ristoranti che hanno cambiato il modo di mangiare a Buenos Aires c’è sicuramente Chila, aperto diciassette anni fa da Andrés Porcel con l’ambizione di farne l’avanguardia del paese. A quei tempi il fine dining era semisconosciuto sulla scena portegna, quanto meno in chiave moderna. Ed è una proposta che si è evoluta non poco nel tempo, dagli esordi francesizzanti alla svolta di prossimità, fino all’arrivo dello chef Pedro Bargero, passato per gli insegnamenti di David Toutain e Mauro Colagreco, che ha spinto avanti la ricerca, conseguendo l’ingresso nei Relais et Châteaux e un posizionamento di prestigio ai 50 Best latinoamericani.


Ebbene la notizia è che Chila chiude: l’ultimo servizio cadrà il 28 febbraio, dopo un commiato lungo due mesi. Ma il patron e lo chef hanno già avviato i loro prossimi progetti in comune. Quello di Porcel è un ripensamento generale. “Sono convinto che nell’ambito del fine dining il menu degustazione continui a rappresentare la migliore espressione dello chef. Non è possibile mostrare una filosofia di cucina solo in un paio di piatti. Per questo credo che continuerà a esistere, anche se ci saranno sempre meno scelte. Ma nello stesso tempo sono persuaso che l’idea stessa di fine dining necessiti di una svolta e non voglio essere io a imprimerla”, dice.


Mi sono stancato di passare quattro ore mangiando al ristorante. Da Chila lavoravamo già affinché una cena non durasse più di due ore e un quarto. La gente che va al ristorante oggi si vuole divertire. Bisogna accorciare i tempi, dismettere i formalismi e predisporre esperienze immersive e spontanee. Con Pedro ne parliamo dal 2019, quando abbiamo iniziato a pianificare un nuovo locale; a causa della pandemia, poi, abbiamo dovuto fermarci un po’, ma ora è arrivato il momento di un nuovo inizio. A Buenos Aires manca un posto che combini ottimo cibo e atmosfera piacevole, che sia professionalizzato, senza che ogni germoglio debba essere impiattato al millimetro. Viviamo in un mondo sempre più rapido”.


Il menu degustazione costa attualmente cento dollari, troppi per tanti argentini, che spesso all’estero non badano a spese e prediligono comunque la carta; un affare per gli stranieri, che hanno ricominciato ad arrivare, spesso prenotando più sere di fila. “Cerchiamo sempre di offrire un’esperienza che non sia meno valida di quelle all’estero, ma competere con un Noma o un Diverxo, a livello tanto di prodotto che di struttura e di costi finanziari, è un’impresa inaffrontabile”. Nel 2019, a dire il vero, era già arrivato Yugo a Pilar, dove i due erano soci. Una sorta di omakase con bancone da dodici coperti dedicato alle specialità argentine, dove procacciare un’esperienza di fine dining più immersiva, grazie alla preparazione a vista, e al tempo stesso rigorosa, dati i numeri ridotti che consentono prodotti top.


Gli farà compagnia un ristorante informale da sessanta posti, aperto insieme al sommelier Marco Scolnik, con arredi studiati, un bancone per i cocktail e piatti spesso conviviali. “Pensiamo a una cucina globale, più aperta. Di sicuro oltre l’80% dei prodotti saranno argentini. Terremo fede al nostro impegno per la sostenibilità, senza privarci di quello che ci piace all’estero. Con i nuovi progetti, Pedro non potrà dare a Chila l’attenzione che richiede. Ed è un luogo dove abbiamo già realizzato le nostre ambizioni. Preferiamo farlo finire piuttosto che lasciarlo decadere per mancanza di tempo”.


Fonte: Siete Canibales

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Foto: @Chila

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