Ventennio e colpacci di un cuoco imprenditore, che doveva fare il commercialista: Luca Marchini celebra l’anniversario della sua Erba del Re, sempre più organica e articolata, con una cucina brasata dolcemente, che osa nell’eleganza.
L'Erba del Re
La storia
Non c’è mai stato niente di scontato, né nelle scelte né nella cucina di Luca Marchini, chef nella sua prima maturità il cui sogno ha assunto a fuoco lento la densità concreta di un’azienda diversificata, profondamente radicata nel suo luogo. Un’altra Modena che il prossimo 23 febbraio compirà vent’anni con tutti i bilanci in positivo, nonostante tre anni di turbolenze. Non era certo scontata la scelta della ristorazione, per un ragazzo di origini toscane, diplomato in ragioneria e laureato in Economia e Commercio, sulla soglia del praticantato da commercialista. La cucina allora era solo un hobby, coltivato con parenti e amici.
“Ed ero veramente convinto di volere vivere di conti, o in subordine fare il ristoratore. Poi è successo che avendo alcuni mesi vuoti, ho bussato a qualche porta. E il primo che mi ha aperto è stato Massimo Bottura. Dopo una settimana di insalate, ha iniziato a farsi largo un piacere ulteriore nei confronti del cibo. Ho capito cosa poteva esserci dietro una semplice cena e a quell’appuntamento in studio non sono più andato. Anzi, alla Francescana mi sono fermato due anni”. Non è stato l’unico maestro, però: con Bottura ci sono Bruno Barbieri alla Locanda Solarola (“uno capace di aprire il frigo e improvvisare capolavori”) e Jean-Louis Nomicos, già braccio destro di Alain Ducasse, per la storicità e l’educazione della cucina classica, rispettivamente nell’arco di un anno e 6 mesi.
Il ristorante
Da quel 23 febbraio 2003 la cucina è stata ritmata da signature, in gran parte raccolti nel degustazione “La storicità dei piatti”. Risale alla prima carta l’intramontabile passatello asciutto con ragù di pollo e uvetta, i cui contrasti avevano il sapore del futuro. Poi il maialino da latte, ricordo della porchetta di Arezzo; i gamberetti in salsa cocktail serviti tiepidi; la tartare di bianca modenese frollata con capperi, senape, squacquerone e succo di mirtilli; il raviolo di erborinato, mousse di mandorle dolci e amare; il piccione sottoposto a cinque “cotture” (marinatura in salamoia, passaggio sottovuoto, rosolatura in padella, forno e kamado), con friggitelli, salsa di mais e rigaglie saltate; il tortellino bugiardo, cioè senza ripieno, come si usava nelle case umili quando mancava la carne, con bisque, crumble di cacao e caffè, cozze e panna acida. “Piatti che hanno rappresentato la base di quelli successivi. Ogni volta un piccolo passo e soprattutto il consolidamento del cammino”.
Chi scrive ricorda almeno due piatti miliari: il Puntinismo, dessert del 2010 nato dall’idea di un Mont Blanc, con base lattea al Parmigiano Reggiano, castagne, estratto di erbe, nocciole, rosmarino, succo di limone e sale di Maldon, per un gusto cangiante che non smette di rifrangersi in bocca, dinamicamente equilibrato nel suo dipanarsi, insolito sotto la dittatura del minimalismo; e dal 2014 il nuovo impiattamento dello Spaghetto a fascio, legato con lo spago su un’estremità e poi brasato, presentato dritto, a forma di U o a savarin con diversi condimento (brodo di acciughe, scorza di limone, stracciatella e fondo bruno di pesce; un geniale succo di ragù che crea finalmente il trait-d’union col formato; estratto di carciofo oppure brodo di pesce).
Mentre la cucina si evolveva, l’azienda cresceva. Risalgono al 2014 i primi eventi; nel 2011 è arrivata la scuola di cucina nella galleria di passaggio del palazzo settecentesco, prima per privati, poi per team building e chef table; nel 2015 la Trattoria Pomposa al Re Gras, con la sua atmosfera vintage e una proposta quasi esclusivamente modenese, le materie e la cura dello stellato a un prezzo accessibile, “come la domenica dalla nonna”; nel 2020, infine, la Bottega da Re con la produzione di conserve e lievitati destagionalizzati, prima venduti online, ora anche tramite rappresentanti, e un laboratorio che va sempre più stretto (il prossimo passo è segnato).
“Ecco perché mi considero uno chef imprenditore, grazie ai miei studi. Non ho mai avuto dietro fondi di investimento. Ma non voglio dimenticare altre esperienze importantissime: due anni e mezzo spesi all’ospedale Carlo Poma di Mantova o la collaborazione in corso con le scuole elementari e materne di Castelfranco Emilia, cui tengo moltissimo”. Nel frattempo attorno allo storico direttore di sala Luca Montecalvo, in forze dal 2008, anche gli spazi cambiavano: dopo il restyling del 2013 e quello del 2017, se ne preannuncia un terzo per il ventennale, ma non integrale, secondo lo stile slow del ristorante.
I piatti
La cucina si presenta all’appuntamento con tutte le carte in regola: ci sono le Riflessioni Contemporanee ad Alta Voce, da pescare nel menu; La Tradizione, dedicato allo studio dei classici del territorio (ogni tortellino ha un ripieno pesato di 6 decimi di grammo per un numero standard di occhi di grasso di cappone, raccolto a parte); La Storicità dei Piatti e le dieci portate alla cieca di Espressione. Dove a colpire sono il protagonismo del vegetale (“che però accade per caso, quando l’equilibrio di un ortaggio ha bisogno di un altro”); l’acidità ficcante sulle tendenze dolci e morbide, vero stilema padano; i contrasti affilati come bisturi sul prodotto. “Ma personalmente cerco una mano sempre più femminile ed elegante, oltre all’originalità di chi non subisce i cliché. E quest’anno ci siamo ammorbiditi ancora di più”. A firmare gli abbinamenti è Michele Lombardi, sommelier con esperienze alla Magnolia e all’Inkiostro, che sfodera bottiglie mai banali.
Vedi i Gamberi appena passati al kamado, per la sfumatura di griglia sulla polpa succosa, con ostrica, yogurt, rapa rossa in tre consistenze e massa di cacao per il terziario; oppure il ramen tutto emiliano, con i tagliolini finissimi di pasta all’uovo, il petto e il fondo di germano nella teiera giapponese, le salse di broccoli o piselli, il concentrato di pomodoro, le creme di carota e peperone, la maionese di uovo marinato all’Aceto Balsamico, la panna acida e al posto dell’alga la verza in carpione. “Mi piaceva così tanto in Giappone, che ho voluto ripercorrerlo”. Ma il pensiero va piuttosto al Puntinismo nella prova del nove dello stile.
“Al ristorante per i pasti del personale c’è spesso il cavolo. È venuta spontanea quindi la domanda, su cosa potessimo farne”. La risposta è una base di Cavolfiore cotto sotto sale nel forno e affettato, coperto di cavolo romano, viola e cavolfiore bianco, più spuntoni di crema speziata e lattea nocciolata, infiorescenze e uvette per il rimando siciliano, estratto di foglie al mirin per una terza acidità, oltre a lime e limone. Consistenze, contrasti, la cifra zero negli scarti e nelle spinte che si annullano in bocca. “E pensare che fino a 14 anni mia madre mi obbligava a mangiare il cavolfiore e mi veniva la nausea”.
Cavolfiore cotto sotto sale nel forno e affettato, coperto di cavolo romano, viola e cavolfiore bianco- foto per gentile concessione del ristorante
Vegetale ancora protagonista nel piatto di tuberi, con le patate e le rape tagliate finemente, cotte sottovuoto, rosolate e finite in forno, la quinoa soffiata, il daikon marinato in aceto, acqua e zucchero, il beurre blanc al miso e il fondo bruno di cipolle, per il match acido/amaro sulle morbidezze.
È quasi un tortello di zucca invertito, nelle geografie e nelle cotture, il Bottone ripieno di feta, per lo straniamento acido e sapido, in estratto di zucca cruda, minerale e mandorlata, dissetante sul sale, con base di funghi essiccati in polvere e pangrattato per il terziario e l’umami. Per la nostalgia d’estate, il risotto mediterraneo che sa di datterini e olive taggiasche, capperi, finocchietto e cipolla bruciata, sfumato con il succo di limone e portato a cottura con il latte di mandorle dolci e amare.
Sulla pasta secca ancora una volta Marchini offre il meglio di sé: in questo caso sono Fusilloni appena sbollentati e brasati nella kombucha di pere, con due fili di salsa di Parmigiano, per il cacio del contadino, e salsa di alloro a ripulire dall’acidità. Dove si segnala la testura croccante ma senza anima dovuta alla cottura ancestrale, in scivolata sui secondi, con assorbimento integrale degli umori.
Il Maiale della Bassa chiude il salato con la coppa privata delle parti grasse, utilizzate per il ragù, messa sottovuoto dopo la frollatura con sale e zucchero muscovado per il terziario di spezie e liquirizia, in una marinatura che asciuga, poi intiepidita e scottata in padella lionese, pochi secondi per lato, alla ricerca di una consistenza nuova praticamente a crudo.
Dalla Sicilia al Trentino, portando al limite il gusto italiano. Sul piatto con polvere di zucca, cavolfiore in agrodolce, colatura di alici a battere tasti ragionati. Poi il Pandoro con lo zabaione. “Otto lievitazioni di cui vado orgoglioso”.
Foto di Rolando Paolo Guerzoni
Indirizzo
L’Erba del Re
Via Castelmaraldo, 45, 41121 Modena MO
Tel: 059 218188
Sito web
Trattoria Pomposa
Bottega da Re