Guida Michelin

Chi è Joel Haas, l'uomo che ha visitato 1000 stellati dal 2019: "Spendo tutto in gourmet”

di:
Elisa Erriu
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“La gente crede che io guadagni chissà quanto, ma non ho mai fatto un soldo da un ristorante. Vivo con ciò che ho messo da parte. Non ho moglie né figli. Ho tempo, salute e una gran voglia di godermi pasti gourmet.”

Il personaggio

Nella danza sfrenata delle città americane, tra skyline abbaglianti e ristoranti che illuminano le notti come costellazioni urbane, c'è un uomo che non si è limitato ad assaporare la vita. Joel Haas, ex workaholic convertito al culto del gusto, l'ha letteralmente masticata, un boccone alla volta, sedendosi ogni giorno dal 2019 a tavole decorate con stelle: quelle della Guida MICHELIN, che infatti lo ha recentemente intervistato per l'occasione. Non si tratta di un viaggio gastronomico qualunque, ma di un’epopea individuale forgiata dalla determinazione di chi ha imparato presto cosa significa affrontare il mondo con una mano diversa – letteralmente – e lo ha trasformato in un vantaggio. Nato con una malformazione alla mano sinistra, Joel ha subìto interventi da bambino, superato il cancro, convive con due anche artificiali e continua a camminare per otto miglia al giorno. Ma se cercate un briciolo di autocommiserazione nel suo sguardo, resterete a bocca asciutta. Il suo motto? “Sorridi alla vita, e lei ti restituirà il sorriso.”

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Il sipario si è alzato sul suo millesimo pasto stellato proprio là dove l'eccellenza abita da oltre quarant’anni: The Inn at Little Washington, tre stelle MICHELIN, una stella verde e una reputazione scolpita nel marmo dell’alta cucina americana. In quell’occasione, il fondatore e leggendario chef Patrick O’Connell gli ha regalato ciò che Joel ha definito “il pasto migliore della mia vita”. Un tributo di portate scenografiche, dettagli sartoriali e perfino un messaggio speciale firmato da Gwendal Poullennec, direttore internazionale della Guida MICHELIN. Una cena che non è solo una sequenza di piatti, ma un romanzo inedito servito su porcellana, narrato tra legni intagliati a mano e una mucca in versione carrello dei formaggi che muggisce di approvazione. Joel non si limita a collezionare cene come figurine rare. Ogni ristorante è per lui una tappa emotiva, un affaccio su un universo parallelo dove ogni boccone racconta una storia. A Washington D.C., dove vive, è cliente seriale di Masseria – in cui ha cenato almeno 40 volte – di The Dabney, Rooster & Owl, Jônt e minibar. In ciascuno di questi luoghi, riconosce la bellezza della metamorfosi: stagioni che cambiano, piatti che si reinventano, chef che maturano come vini d'annata.

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Alla domanda su quale sia il suo ristorante preferito, risponde senza esitazione: Blue Hill at Stone Barns, nei pressi di New York. Un’esperienza che non si consuma semplicemente: si vive. I piatti arrivano su supporti bizzarri – teschi, ceppi, mattoni – come reliquie di una natura celebrata in ogni sua forma. “È una sinfonia visiva e sensoriale,” racconta Joel. “I suoni degli uccelli durante il giorno, dei grilli la sera. Ogni portata è un atto di un balletto agricolo.” Con oltre un milione e mezzo di follower sui social, Joel è diventato un ambasciatore non ufficiale della cucina stellata americana. I suoi video, girati senza copioni e senza post-produzione, mostrano la bellezza cruda del servizio: piatti che atterrano sul tavolo come navicelle spaziali, gesti coreografati con rigore da teatro Kabuki, sorrisi di chef e camerieri che riflettono la sua stessa passione. In un mondo in cui spesso la cucina gourmet è percepita come inaccessibile, Joel l’ha resa desiderabile e, almeno in parte, democratizzata. Non solo ha documentato ogni assaggio, ma ha anche donato migliaia di dollari a food bank e lavoratori del settore durante la pandemia.

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Senza mai chiedere un pasto omaggio, senza mai farsi sponsorizzare dai ristoranti, Haas continua a sostenere l’intera filiera, lasciando mance generose e promuovendo la cultura della qualità. “La gente crede che io guadagni chissà quanto, ma non ho mai fatto un soldo da un ristorante,” spiega. “Vivo con ciò che ho messo da parte. Non ho moglie né figli. Ho tempo, salute e una gran voglia di vivere.” Le sue memorie di viaggio sono fitte come un libro di bordo, e in ogni città Joel individua un diamante gastronomico. A Chicago, è rapito dall’estro scenografico di Alinea e dalla creatività di Esmé. In California, SingleThread e The French Laundry sono vere e proprie esperienze sensoriali: piatti simultanei che travolgono i sensi, wagyu beef Wellington che rimane impresso come un primo amore. A Miami si diverte da Elcielo con le sue “choco-terapie” – mani immerse nel cioccolato come rituale d’ingresso. A Los Angeles si muove tra il lusso di Providence e la felicità disarmante dei tacos a cinque dollari da Holbox, serviti su vassoi da mensa. “Mangerei lì ogni giorno se vivessi a L.A.,” confessa.

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A Toronto ha visitato ogni singolo ristorante stellato, scoprendo una città gastronomicamente vibrante, multiculturale, accogliente: da Alo alla terrazza panoramica di Don Alfonso, fino all’intimità gustosa del brunch da Edulis. Nonostante il traguardo delle 1.000 cene, Haas non ha alcuna intenzione di rallentare. Prossimo obiettivo? Duemila pasti, magari allargando i confini a livello internazionale. Ma, per farlo, cerca un nuovo equilibrio: una sponsorizzazione non legata ai ristoranti, per restare libero di raccontare senza filtri. “Gestisco tutto da solo: riprese, editing, pubblicazione. Non c’è uno staff dietro. Solo passione.” Il suo messaggio finale, a chi sogna di iniziare questo percorso? “Scaricate l’app della Guida MICHELIN, trovate un ristorante e cominciate. Non serve spendere 450 dollari. Anche un pranzo da 50 può cambiare la vostra prospettiva.” In fondo, il segreto di Joel Haas non è il numero di cene, ma la fame – non di cibo, ma di stupore. Una fame che nessuna stella sazia, ma che ogni piatto può accendere.

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