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“La ristorazione è finita se non interviene il governo”. Anche David Chang non è sicuro di riaprire

di:
Alessandra Meldolesi
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David Chang, alla testa di 12 ristoranti, star di Netflix e “world food icon” capace di cambiare la cucina per sempre, è seriamente preoccupato per il futuro della ristorazione americana, che potrebbe soccombere lasciata sola, in favore delle grandi catene di fast food salvate dal governo.

La Notizia

Mentre gli Stati Uniti sono travolti dai contagi, dopo i licenziamenti choc di Gordon Ramsay, David Chang, alla testa di 12 ristoranti, star di Netflix e “world food icon” capace di cambiare la cucina per sempre, dice la sua al New York Times. “Non voglio essere iperbolico. Senza l’intervento del governo, non ci sarà futuro per il comparto della ristorazione. Abbiamo scelto di chiudere i nostri ristoranti prima che fosse obbligatorio e stiamo cercando il modo migliore per tutelare i nostri dipendenti. Sono enormemente preoccupato per così tante persone che lavorano per me. Come faranno a mangiare? Avranno assicurazione sanitaria? Come pagheranno le bollette? Ma dentro di me l’ho elaborato così: è come se gli alieni fossero arrivati dallo spazio per distruggere la ristorazione. È un nemico invisibile che non avremmo mai potuto presagire. Nessuno avrebbe potuto”.


“Temo che neppure un maggiore intervento del governo possa essere sufficiente per chi ne ha più bisogno. È l’opposto del 2008, quando le banche e le assicurazioni furono aiutate perché altrimenti il mondo come lo conosciamo sarebbe collassato. Adesso, nel 2020, parliamo di beni non essenziali. Non voglio seminare panico e isteria, ma penso che per la ristorazione ci saranno alti tassi di chiusure. Temo che a sopravvivere saranno le grandi catene mentre verrà sradicato quel mix eclettico che fa dell’America quello che è e rende così eccitante uscire a cena. Perfino quando arriveranno tempi migliori, il sentimento è che se gli chef non faranno i loro numeri, perderanno tutto.


Quando l’economia tira, per i ristoranti è già difficile ottenere prestiti, perché non hanno capitali alle spalle. Non so se il governo possa prestare denaro ai ristoranti come nel 2008 lo ha fatto con le grosse compagnie; lo stato dovrebbe mettere in campo un pacchetto di bailout per le compagnie immobiliari, un’iniezione di denaro in modo che i ristoratori possano beneficiarne. La catena deve mettersi in moto. Poi occorrerebbe una cancellazione di imposte e bollette. La ristorazione ha un effetto trickle-down (a catena) su produttori, fornitori e contadini; se non riuscisse a pagare, sarebbe un problema per tutti. Quale che sia la cifra d’affari, 70 milioni l’anno o 5000 dollari al mese, ogni ristorante avrà bisogno di aiuto perché il break-even è altissimo.



Abbiamo ingredienti che si deteriorano in fretta, se non vengono venduti. Ci sono molti chef di successo che conosco, che hanno risorse per un lasso che va da 5 a 9 giorni. Penso che ogni persona che lavora nel settore dovrebbe avere un reddito di 500 o 1000 dollari al mese per restare a galla e che debba beneficiare di un’assicurazione sanitaria. Probabilmente è quello che dovrebbe accadere, anche se non sono fiducioso al riguardo”.


“Occorre fare pressione sui propri rappresentanti e sostenere ogni ristorante che faccia delivery. La soluzione a breve termine è comprare il più possibile dai ristoranti. Ho sempre pensato che fosse il futuro nel giro di 10-15 anni e nessuno lo avrebbe notato, perché sarebbe avvenuto gradualmente. Invece sta accadendo improvvisamente. Vedo la completa distruzione dei ristoranti di medie dimensioni, quelli familiari. Inoltre siamo ancora un paese conservatore, da bistecca e patatine. Mi piacciono entrambe, anche insieme, ma mi preoccupa che manchi il desiderio di provare dell’altro”.

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