Il ristorante più premiato del mondo terminerà il servizio alla fine del 2024, per convertirsi in laboratorio di ricerca e sviluppo per l’e-commerce, con saltuari ritorni di fiamma sotto forma di pop-up. René Redzepi spiega i motivi: “Finanziariamente e umanamente l’alta cucina non funziona”.
La notizia
Che la situazione finanziaria del Noma, dopo il cambio degli assetti societari e la bufera del covid, fosse tutt’altro che florida, era una voce che correva nel settore. Nessuno, tuttavia, si sarebbe aspettato una notizia tanto dirompente: il ristorante più premiato del mondo, primo ai 50 Best negli anni 2010, 2011, 2012, 2014 e 2021, tristellato dallo scorso anno, chiuderà per sempre alla fine del 2024.Né sono meno sconvolgenti le motivazioni che René Redzepi ha addotto in un’intervista al New York Times: il fine dining, lamenta, non sarebbe sostenibile nei tempi che viviamo. Ad essere cambiata è la situazione del mercato del lavoro, crudelmente messa a nudo da una serie di scandali e sacrosante rivendicazioni. I ragazzi di oggi, in Italia come in Scandinavia, sono sempre meno propensi al sacrificio e di fatto l’ovvia aspirazione a un lavoro regolamentato e retribuito basta a far vacillare tutto un mondo, che fino a ieri sembrava alla moda. La stampa ha fatto il resto con i suoi scoop, che hanno passato al tritacarne luoghi simbolo come Blue Hill at Stone Barns ed Eleven Madison Park.
Redzepi, dal canto suo, non ha mai negato che condizioni e orari estenuanti fossero di fatto indispensabili per una cucina come la sua, estremamente costosa a causa della ricerca continua e dell’alto tasso di lavoro. Retribuire dignitosamente un centinaio di dipendenti, mantenendo gli standard attuali del ristorante e contenendo i prezzi a livelli accettabili per il mercato, risulterebbe matematicamente impossibile. “Dobbiamo ripensare completamente il settore. È semplicemente troppo duro, dobbiamo lavorare in un altro modo”, aveva dichiarato tempo fa.
“In un ristorante ideale, gli impiegati dovrebbero lavorare quattro giorni alla settimana, sentirsi valorizzati, sicuri e creativi. Il problema è come pagarli abbastanza da potersi permettere figli, macchina e casa in periferia”. L’operazione tuttavia è evidentemente fallita. Criticato pubblicamente per i maltrattamenti ai danni dei collaboratori stranieri e soprattutto per il largo uso di manodopera non retribuita, costretta a lavorare anche sedici ore al giorno in mansioni tutt’altro che formative, Redzepi ha deciso di iniziare a pagare i suoi stagisti, che fino a quel momento avevano ricevuto solo un visto e una pacca sulla spalla. Ha significato zavorrare i bilanci con un extra costo di 50mila dollari al mese, a partire da ottobre. “È un modello insostenibile”, ha dichiarato. “Finanziariamente e psicologicamente, come lavoratore e come essere umano, semplicemente non funziona”.
Che ne sarà, allora, della sua creatura, ancora fresca del restyling datato 2018? In pratica il ristorante si convertirà in laboratorio di ricerca e sviluppo, volto alla creazione di piatti e prodotti per l’e-commerce Noma Projects, già cruciale in pandemia. Le sale, poi, torneranno ad essere apparecchiate nell’ambito di pop-up periodici, che probabilmente avranno luogo anche fuori dalla Danimarca. Nonostante gli “infiniti assegni in bianco dal Qatar”, Redzepi dichiara di non avere intenzione di aprire locali di altro genere per tenere a galla i bilanci. Piuttosto spenderà i prossimi due anni nel consolidamento di Noma Projects e per impegni pregressi. “Spero che riusciremo a dimostrare al mondo che si può maturare restando creativi e divertendosi, anziché lavorare in modo sfiancante e sottopagato, in condizioni miserabili che logorano le persone”.
Di certo la decisione rinfocolerà il dibattito già vivace su costi e prezzi del settore. Sono passati pochi giorni da quando un altro chef a tre stelle Michelin, David Kinch, ha deciso di chiudere il suo fine dining Manresa a Los Gatos, California, definendo il lavoro massacrante: “Il fine dining è a un bivio, dovranno esserci grandi cambiamenti. Tutto il comparto lo sta realizzando, ma non sa come venirne a capo”. Per un ristorante sulla cresta dell’onda come il Noma, che ha cambiato la cucina mondiale attraverso il paradigma (forse agli sgoccioli) New Nordic, un’altra sfida da vincere. Anche dieci anni fa la gastronomia sembrava paralizzata da una chiusura traumatica, quella di elBulli, e impossibilitata a innovare. Ma la storia dei poeti che lasciano seccare la penna non è nuova, resta da scoprire chi sarà il prossimo nella grande storia della cucina mondiale.
Fonte: New York Times
Trova qui l'articolo cliccabile