Chef

Lo chef italiano più popolare in Francia: Simone Zanoni, come il suo carisma è il valore aggiunto dell'hotel George V

di:
Alessandra Meldolesi
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Simone Zanoni

Buca i social, fa strage di like, occupa pixel, monitor, tubi catodici correndo in jeans strappati e sneakers sulla fibra. Nell’aura paludata del George V, nessuno se lo sarebbe aspettato. E invece lo chef Simone Zanoni si è fatto largo con un mix di irriverenza, spontaneità e talento, rinnovando i codici polverosi dei palaces parigini.

La Storia

Il curriculum c’è tutto: Simone Zanoni, nato a Salò nel 1976, è entrato al George, ristorante dell’hotel Four Seasons George V, il primo settembre 2016, traslocando dal Trianon Palace a Versailles, di cui era chef per conto di Gordon Ramsay, dopo aver scalato la ristorazione londinese, fino al ruolo di chef nel ristorante tristellato del suo mentore. L’intenzione del direttore José Silva era quella di diversificare l’offerta food, affiancando al prestigio delle stelle il traffico e i profitti di format meno formali, alla maniera di Yannick Alléno, che da tempi non sospetti ha insediato al Pavillon Ledoyen un bistrot e una tavola asiatica. Il covid poi ci ha messo del suo, accelerando un processo già in corso: impossibile comprimere prezzi, abbordabili solo per un’inesistente clientela straniera. In tanti ne hanno già preso atto: il Prince de Galles, il Crillon, il Lutétia, lo Shangri-La hanno compiuto altre scelte e potrebbero seguire gli esempi già tracciati. Una grande cucina sembra non bastare più, occorrono chef che siano carismatici al punto da saperla imporre attraverso un’immagine sapientemente gestita.


Al George V Zanoni propone una cucina ricca di influenze italiane, dall’iconica Tarte Tatin di cipolle con sorbetto al Parmigiano alle albicocche con crema di amaretto, alla zuppa di pomodoro con burrata, forte di un orto esteso su 3000 metri quadrati, su cui coltiva dieci varietà diverse. La vista però non potrebbe essere più parigina, grazie a una delle terrazze più belle della capitale, affacciata sulla Tour Eiffel e decorata da orchidee pensili. Questo per quanto riguarda il gourmet; perché poi c’è il secondo punto di ristoro, La Dolce Vita at Le George, italiano fin dal nome. Covid permettendo, serve una selezione di crudi al tartufo, scampi alla mostarda di Cremona, tarte al pomodoro o cacio e pepe, tagliata con il suo fondo e tartufo.


Senza dimenticare il servizio riservato alla suite 824, penthouse dell’hotel: se ne occupa Zanoni ed è personalizzato sull’ospite, che ne fruisce su due terrazze panoramiche, con un maggiordomo dedicato nella privacy più ermetica. Proposte indirizzate a un pubblico perlopiù cittadino, che ha mostrato di gradirle, facendo full booked a pranzo e a cena. Sul futuro del lusso, Zanoni ha le idee chiare: il mercato vuole cibo fine dining in un ambiente che non lo è. “Ciò che cercano i clienti è così diverso da 20 o 30 anni fa, quando le cose erano all’antica e ‘oui monsieur’. Adesso abbiamo una nuova generazione di ospiti. Sono giovani, guadagnano velocemente e non vogliono aspettare di invecchiare per venire da noi. Possono entrare in jeans e maglietta, permettendosi una stanza costosa. I dress code non significano più nulla”.


È stato quindi naturale, prosegue Zanoni, trapiantare una bella trattoria in un albergo a 5 stelle. Tutti i piatti sono in condivisione, ma conservano un’elevata qualità gastronomica. I palati dei nostri ospiti sono piuttosto raffinati e siamo tenuti a servire loro lo stello livello di food di un ristorante formale, in un modo diverso. Non c’è dress code neppure per lo staff. Impartiamo linee guida, ma in pratica possono indossare ciò che vogliono. Penso che le persone si sentano molto più a loro agio quando sono libere di scegliere e in cambio producano risultati migliori”.


Un altro caposaldo è la sostenibilità: Zanoni, che è stato svezzato fin da piccolo al culto del vegetale nella fattoria della nonna, riesce a convertire l’80% del suo scarto in compost da riutilizzare nell’orto biologico e la cucina opera al suo servizio, rielaborando la produzione in piatti. Perfino l’acqua minerale non è più un must: per limitare l’impronta di carbonio, Zanoni preferisce servire acqua del rubinetto filtrata e addizionata all’occorrenza di anidride carbonica. Ed è una bomba che nel dopo covid detonerà ancora più rumorosa.

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