Al Cavallino la rilettura contemporanea del “mito Ferrari” trova corrispondenza a tavola, dove Massimo Bottura ha saputo portare la sua sensibilità, proponendo un’interpretazione molto intima del territorio modenese. In cucina il giovane chef Riccardo Forapani: ecco le sue creazioni.
Ristorante Cavallino
La storia e il Ristorante
Slow food, fast cars. Non potrebbe che iniziare così questo racconto, con uno degli slogan più felici e che meglio sintetizzano l’ultimo tassello del grande progetto che Massimo Bottura sta conducendo ormai da anni, tessendo una trama sempre più fitta e sempre più ampia che oggi porta in Italia e nel mondo la bontà dell’enogastronomia emiliano-romagnola. E i confini di questa celebrazione si allargano sempre di più, grazie al sodalizio ormai solido con Gucci, e da pochi mesi anche con il mondo dei motori, con la nuova alleanza con Ferrari che si dichiara al mondo in un nuovo luogo di accoglienza, in una delle città-officina più famose.
È veramente notevole osservare come l’opera che sta compiendo Massimo Bottura sia un abbraccio sempre più stretto tra tutto ciò che rappresenta la bontà del “fatto in Italia”: partito dall’Osteria di Nonantola, arriva in città conservando il nome Osteria quale emblema di un tipo di ristorazione completamente nostra, senza eguali altrove, lanciandola nell’Olimpo della cucina mondiale, in cui entrano in gioco produttori e prodotti e memoria del luogo nativo. E dalla gastronomia lo sguardo si allarga a un altro emblema di italianità universalmente riconosciuto nel mondo, quello della sartorialità, che unisce e sancisce l’altro suo slogan – marchesiano, invero – del buono e bello. E quale altro simbolo porta la nostra bandiera in giro per il mondo, se non quel Cavallino nero su sfondo giallo che è secondo per fama solo alla Coca Cola?
Dunque, cibo, moda, motori, non solo simboli di benessere, ma anche veri e propri emblemi che nel Novecento hanno distinto la manifattura italiana nel mondo. Naturalmente una triade del genere non poteva sfuggire al fine intelletto di Bottura, che pare sminuente ormai definire solo chef, e sembra più adeguato identificarlo come custode e catalizzatore della nostra migliore cultura. Il cibo si fa coprotagonista nel narrare le tante storie che ancora oggi vivono sui muri e di cui ci si sente parte, con funzione conativa, proprio come accadeva nelle cattedrali medievali i cui affreschi evangelici erano volti a educare il popolo analfabeta che poteva così imparare contemplando le figure. Ma l’intento è anche quello di celebrare un capitolo della nostra storia più recente in cui la tecnologia si è intrecciata alla dolce vita, all’arte, alla moda, al design, alla nostra cultura migliore insomma.
Il progetto architettonico di ristrutturazione è stato curato dall’architetto, designer e scenografa India Mahdavi, che ha portato la vecchia casa colonica a una nuova vitalità che conferma l’identità del luogo senza stravolgerlo. La contemporaneità risiede proprio nell’aver saputo traslare nel presente tutti i dettagli del passato, in primis mantenendo la struttura originaria con il bel giardino, in cui i colori dominanti del rosso e del giallo trovano corrispondenza nell’arredo interno.
Le sale sono collegate da una serie di archi che scolpiscono ritmicamente gli spazi, e spesso si fanno cornice di reperti storici come i prototipi dei motori delle auto.
Il pavimento in cotto si alterna a piastrelle a scacchiera bianche e rosse, “metafora della tovaglia a quadri della trattoria che ora scivola sul pavimento, ma non scompare”, anzi, è lì a ricordare da dove veniamo, come pure le tendine bianche ricamate con la scritta del ristorante, e i tipici lampadari dal paralume ondulato. Le pareti, a ogni piano, alternano il pattern del Cavallino che nella sua geometria optical omaggia il più famoso motivo del pied de poule, emblema di stile novecentesco oggi di nuovo in auge. E ancora, sulle pareti, accanto ai disegni e ai progetti, una galleria di foto che narrano il mito del Drake, che qui era solito trascorrere molto del suo tempo, e faceva tappa fissa appena arrivava a Maranello, di solito a pranzo.
Non solo vi pranzava quotidianamente, ma discuteva di strategie o parlava di attualità, guardando le gare davanti al camino, intrattenendosi con la sua “cerchia”, nella sua stanza privata, la Sala Enzo Ferrari, che è stata ristrutturata con le sue rifiniture in legno di pioppo. La stanza privata è stata mantenuta intatta nella sua intimità ed è ancora una sala da pranzo privata, con sedie rivestite in pelle rossa, incorniciata da una grande finestra a bovindo con doghe in legno mobili che si aprono su un piccolo cortile interno, come se l’ingegnere avesse appena parcheggiato la vettura.
La rilettura contemporanea di questo spazio che racconta il mito e lo celebra nel suo essere icona di stile e icona pop, trova corrispondenza anche a tavola, dove Massimo Bottura ha saputo portare la sua sensibilità, lontana dai fasti del fine dining, ma proponendo un’interpretazione molto intima del suo territorio. I piatti sono quelli che meglio rappresentano la sua modenesità e che intrecciano anche la storia di Ferrari e di quell’Italia del boom economico che oggi è per noi già tradizione, oltre a un’accoglienza accurata da vero ristorante, forte della guida di un giovane fuoriclasse, Luis Diaz, che orchestra magistralmente la sala supportato da una squadra – anzi, una scuderia – di ragazzi giovani che sanno dominare con eleganza l’informalità del luogo.
Chi fa le veci di Bottura in cucina è un giovane talento, Riccardo Forapani, che dopo 13 anni in Francescana oggi realizza un sogno. “Mio padre, meccanico, sognava che io lavorassi in Ferrari. Io sin da piccolo sognavo di lavorare all’Osteria Francescana. Beh, posso dire di aver fatto contento anche mio papà, alla fine, in qualche modo oggi lavoro in Ferrari!” sorride lo chef, con il Cavallino nero ricamato sulla giacca.
I piatti
L’esordio del pranzo mette subito in connessione palato e memoria del luogo, dallo gnocco fritto con pancetta stagionata 48 mesi di Leonardi, la tigella in forma di macaron con parmigiano e lime, la foglia che ricorda l’erbazzone, la focaccia coi ciccioli. Un’essenzializzazione della trattoria, degli snack metonimici in cui l’ingrediente scatena la memoria del gusto completo.
Il Creme Caramel di Parmigiano Reggiano nasce dall’idea di tradizione in evoluzione. Uno degli antipasti più tradizionali di ogni classica trattoria emiliana ma anche un piatto di casa, la frittata di cipolle, viene ripensato dallo chef in una chiave più elegante alla vista e al palato. La consistenza della frittata diventa quella del creme caramel, il caramello che ricopre il dolce si trasforma in un gel di cipolla bruciata –perché la cipolla nella frittata è sempre bruciata. L’aceto balsamico allunga il sapore del creme caramel e lega perfettamente con l’umami del Parmigiano Reggiano: così il meglio della tradizione viene portato nel futuro.
Il Carpaccio di lingua salmistrata, lumache, caviale di aglio dolce, salsa verde, senape antica è un equilibrio sottilissimo tra due ingredienti importanti sempre difficili da coniugare. La consistenza della lingua, mèmore di quella tradizione che la vuole sigillo del Savarin cantarelliano, è del tutto assimilabile a un salume, come una coppa di testa, golosa e senza tempo.
Ancora tra gli antipasti, eleganza nella Zuppetta di cipolla royale, spuma di patate e cipolla, foie gras, tartufo nero, uovo marinato, cubetti di pane croccante. Certamente un omaggio implicito alla Soupe VGE di Bocuse, e insieme inneggiante all’opulenza che in Emilia è sempre di casa. Una cucina comunque il sui pensiero è sempre volto al rispetto del passato, ma mai in senso conservativo o museale, semmai con una rilettura attualizzante che non sottragga mai il gusto.
Tra i primi piatti, la Rosetta è un omaggio alla quotidianità. È il classico piatto della domenica, storicamente fatto con una sfoglia di pasta all’uovo riempita con prosciutto cotto e fontina, arrotolata e gratinata in forno. Nella versione del Cavallino il prosciutto viene cotto al forno e la fontina diventa tosone - formaggio prodotto nelle prime fasi di lavorazione del Parmigiano Reggiano.
La rosetta viene passata nel forno a carbone per aggiungere croccantezza e per quel sentore di affumicato che dà profondità ai gusti. Un foglio d’argento edibile posato sopra per ricordare la carta stagnola che ricopre la teglia, quando arriva in tavola al pranzo della domenica. Un’ode ai gesti quotidiani. Nonché il soul food, il cibo dell’anima dello chef Riccardo Forapani, il piatto che lo riporta a casa.
Il piatto Tortello del record della pista si ispira ad una storia raccontata da Piero Ferrari. Nel 1982 Mario Andretti ricevette una telefonata negli Stati Uniti, da Enzo Ferrari. È arrivato in Italia con un volo TWA, ed è arrivato direttamente a Maranello. Il fondatore della Ferrari ha voluto convincere il pilota a sostituire l'infortunato Didier Pironi per gli ultimi due GP della stagione di F1. Si sono seduti insieme al solito tavolo di Enzo al Cavallino e Andretti ha mangiato due piatti di tortelli di ricotta e salvia, uno subito dopo l'altro. Poi ha chiesto il casco e la tuta da gara, è andato a provare la macchina, facendo tre giri di prova. Al quarto giro ha stabilito il record della pista. Questa è la storia incredibile che ha ispirato il piatto.
Il tortello tradizionale è di forma quadrata, ripieno di ricotta e spinaci, oppure condito con salvia e burro fuso. Nella nuova versione di questo piatto tipicamente emiliano, il ripieno è di ricotta di Rosola, da latte di vacca Bianca Modenese della migliore qualità, con le erbe che diventano un contorno. Il burro viene sbattuto per creare una salsa cremosa, con la cedrina, un'erba profumata al limone. Il tutto viene poi cosparso di salvia fine. Il tocco finale è dato da un “gel” di Lambrusco. Il tradizionale colore verde del tortello è dato dall'olio di fichi con cui viene condito.
Tra i secondi, il Filetto alla Rossini diventa un Cotechino alla Rossini, coronato da un tartufo minerale e da una salsa alle amarene di Modena per addolcire il palato; lo gnocco fritto è aeroso e croccante, proposto con una selezione di salumi emiliani; il bollito è cotto a bassa temperatura per conservare le proprietà organolettiche delle carni provenienti dai migliori artigiani e agricoltori; il pane è realizzato con grani antichi in pagnotte lievitate naturalmente.
Il pasto e il viaggio si avviano verso il traguardo dei dessert con un’interruzione aromatica. Il contadino di fiducia aveva delle prugne che chef Forapani non si è lasciato sfuggire, pertanto le ha fermentate ed essiccate, ha unito il loro succo, dalle accentuate note sapide a contrasto, e un sorbetto di frutti rossi di Serramazzoni colti dal loro cercatore di funghi.
Ed è così che si scivola sulle note comfort all’insegna del ricordo di Bottura, ché quasi sempre il dolce è legato all’amarcord d’infanzia. Il Paciugo della zia arriva dalla trattoria del Campazzo sulla tavola del Cavallino con una spuma di mascarpone, crumble di amaretti, gelée di caffè, gelato al caffè, meringa francese, cacao amaro.
Fotografie di Lido Vannucchi
Indirizzo
Ristorante Cavallino
Via Abetone Inferiore, 1, 41053 Maranello MO
Tel: 0536944877
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