Secondo il tristellato Mickael Viljanen, l’alta cucina avrà prezzi sempre più proibitivi e rimarrà un lusso per pochi eletti. Il miglior chef d’Irlanda dice la sua sul futuro del fine dining.
La notizia
Mickael Viljanen non è uno qualsiasi: viene considerato il migliore chef attivo in Irlanda e i gossip sulle tre stelle al suo Chapter One impazzano a Dublino. Quello che molti non sapevano, è che è pure un Nostradamus. Sono controversi i suoi vaticini sul futuro della ristorazione, sopravvissuta per miracolo all’emergenza infinita della pandemia. Sul tappeto mette i temi che continuano ad alimentare il dibattito in Italia: la crisi delle vocazioni, il gap generazionale, la mancanza di manodopera. Il bisogno di nuovi equilibri. Quali saranno, nessuno lo sa.![](/upload/multimedia/Mickael-Viljanen-ph-Nina-Val.png)
“Penso che la fame esista ancora”, scherza. “A questi livelli, si lavora esclusivamente per amore del proprio lavoro. Non è certo un grande stile di vita, ma è semplicemente ciò che ho sempre fatto. Consideriamo le cose in modo un po’ diverso ora, perché la situazione è cambiata, non solo a causa del lockdown. Penso che la generazione dopo la mia, non abbia intenzione di fare cinque doppi turni e 98 ore a settimana. Questo è il cambiamento più grande”.
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Il suo Chapter One, considerato il ristorante più importante del paese, non ha certo problemi a reperire la manodopera: in squadra con Viljanen ci sono collaboratori storici e fidati. Tuttavia, qualcosa è cambiato, probabilmente per sempre. “Guardo alla Gran Bretagna e all’Irlanda, forse siamo dinosauri sotto questo profilo. Bisogna lavorare sodo per avere successo, non bastano certo le settimane da 30 ore. Non sarebbe sostenibile per questo tipo di ristorazione, considerati i suoi costi. Ma penso che a questo punto abbiamo trovato un po’ più di equilibrio con le persone. Per esempio, solo 7 turni a settimana, e non 10. Io sono qui tutti i giorni per molti motivi. Ovviamente è una mia scelta”.
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In Irlanda, come in Italia, la manodopera più giovane chiede tempo libero e un diverso equilibrio fra lavoro e vita privata. Il risultato è la difficoltà nel reperire personale qualificato, che insieme alle turbolenze nella fornitura di materie prime, alle incognite dell’economia e del turismo rischia di mettere in ginocchio una ristorazione fine dining ancora piuttosto giovane, sopravvissuta per miracolo a un lockdown fra i più lunghi del mondo.
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Al riguardo le idee di Viljanen sono chiare: “Succederà che i ristoranti top diventeranno più esclusivi e più costosi. E ce ne saranno di meno. Il giacimento di talenti è enorme, ma solo in pochi vogliono farne una vita. E deve costare di più. Si tratta di un servizio esclusivo, sartoriale, non destinato a tutti, per il quale esisterà sempre un mercato”. Una prospettiva vagamente darwinista, considerato l’inevitabile restringimento del bacino d’utenza ai super ricchi. Basterebbe?
Fonte: finedininglovers.com
Foto di Copertina: Crediti Chapter One