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“L’alta cucina dev’essere accessibile a tutti, dal gourmet al bambino”. La nuova tradizione romagnola di Giuseppe Gasperoni al Povero Diavolo

di:
Marco Colognese
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Giuseppe Gasperoni a Poggio Torriana si è preso una grossa responsabilità, l’ha fatto da giovanissimo e ha fatto bene: questa terra non ha segreti per lui, così come la sua materia prima. Il risultato è un menu di piatti che lasciano il segno, dando vita a una nuova tradizione della cucina romagnola.

Ristorante Povero Diavolo

La storia


Quel che più colpisce una volta arrivati a Torriana, dopo essersi inerpicati con l’auto lungo gli ultimi tornanti, è una sensazione di pace. Diametralmente opposta al caos che si incontra sulla Riviera, solo una ventina di chilometri più giù. Certo, questo accade solo d’estate, perché nella stagione fredda il contrasto è meno evidente. Non meno coinvolgente, però, quella sensazione di beata tranquillità che si respira quassù, insieme alla vista di cui si gode, spaziando dall’Adriatico al Monte Titano e quell’area collinare sopra la valle del Marecchia che tanto meriterebbe di essere esplorata a fondo.



Giuseppe Gasperoni a Poggio Torriana si è preso una grossa responsabilità, l’ha fatto da giovanissimo e ha fatto bene. Non sarebbe stato facile far dimenticare un passato di fasti, tra un oste come Fausto Fratti e due grandi personaggi dei fornelli come Riccardo Agostini prima e Piergiorgio Parini poi. Giuseppe però non ha l’aria di uno che si agiti senza motivo: difficile vederlo senza almeno l’ombra di un sorriso. Gioviale, simpatico, talentuoso, di quelli destinati a crescere non tramutandosi in divi, ma diventando certamente un punto di riferimento.


Si forma in quel che si può definire una splendida palestra come Casa Zanni, storico ristorante di famiglia a Villa Verucchio e locale di culto per torme di clienti, fossero in vacanza a Rimini o romagnoli doc, tra piadine, carni alla brace e altre succulente amenità. La tradizione di questa terra non ha segreti per lui, così come la sua materia prima, tanto da avergli fatto dire: “Quando vado indietro con la mente non c’è ricordo che non sia associato a qualcosa da mangiare”.


Con i genitori inizia presto anche a muoversi fuori, frequentando ristoranti di ogni genere dove sceglie regolarmente tutto quel che non conosce; tredicenne è da Silver Succi ai Tre Re di Poggio Berni per i primi corsi, a sedici durante le vacanze estive dalla scuola alberghiera a fare gavetta al mare, in un tre stelle (albergo, non ristorante) al Lido Di Savio, giornate di diciotto ore che lo temprano e, come dice lui, lo ‘svegliano’.


Passa quindi sei anni con Riccardo Agostini al suo Piastrino a Pennabilli, meraviglioso luogo distante da tutto: qui Giuseppe impara molto, diventando per un paio d’anni il suo secondo: “Riccardo mi ha ‘sgrezzato’, smussando certe mie prese di posizione cocciute, con lui mi sono scornato, ma mi ha raffinato a livello di pensiero di cucina, insegnandomi a chiedermi cosa c’è dietro quello che si assaggia, a migliorare sempre facendo anche autocritica”.


Durante questa esperienza Giuseppe passa tre mesi da Enrico Crippa a Piazza Duomo, dove trova un ambiente che lo affascina per perfezione e disciplina, con “persone capaci e motivate ma anche giocose. E poi ho potuto davvero metter mano nelle cose: mi ha colpito soprattutto il concetto di semplicità che ho cercato di far mio, perché, come mi ha detto Enrico durante una chiacchierata dopo un pranzo da lui quando sono tornato a trovarlo, ‘la cucina dev’essere chiara, accessibile: anche se laboriosa e complessa, alla fine deve risultare semplice e tutti la devono capire, dal vecchio al bambino, dal gourmet all’ospite qualunque.’” Un periodo a Casa Zanni, un altro a San Marino alla Taverna Righi come sous chef e finalmente arriva a Torriana per il suo progetto da protagonista.


Il ristorante


La transizione è gestita insieme a quella storica coppia di osti colti come Fausto Fratti e Stefania Arlotti, che traghettano verso il futuro Gasperoni e la sua squadra, a partire dalla sua compagna Maily Dolci che sovrintende la sala e dal bravo Luca Farabollini, il quale si occupa dell’ottima cantina.


Se dell’esterno abbiamo parlato, vale la pena ricordare come sia bello in estate cenare sotto il suggestivo sperone di roccia che domina tutto il contesto. Dentro il ristorante è essenziale, elegante nella sua semplicità accogliente, luminoso e arredato con cura. Al piano di sopra le stanze, calde e intime, dove vale la pena passare la notte.


Giuseppe è molto motivato, soprattutto da quando è arrivata la stella in un momento non facile com’è stato il novembre del 2020: “Era il momento in cui ci avevano appena chiuso, e noi non avevamo ancora concluso il terzo anno, che si sa è un momento critico per il pareggio. Il morale era un po’ a terra e ci stavamo facendo delle domande. La stella ci ha dato la spinta per ripartire e ritrovare la strada, al di là del fatto che il problema del personale è sempre molto importante, in particolare qui in questa zona.” Ma la forza di un trentenne con la testa sulle spalle è notevole, così Gasperoni va a avanti per la sua strada, migliorando sempre un po’ di più ogni stagione: “Da un anno a questa parte siamo diventati ancora più autosufficienti in cucina, perché nel corso delle stagioni essicchiamo, mettiamo in salatura, fermentiamo, maturiamo elementi raccolti direttamente da noi o scarti di preparazioni".


"Prepariamo marmellate, sottaceti, olive in salatura, aglio novello in conserva, facciamo essiccare le bacche di bosco per gli aceti, produciamo miso di cereali, fermentiamo scarti vegetali per poi conservarli in salamoia e dar loro un ulteriore utilizzo. Quest’estate avevamo un piatto dove della cicoria utilizzavamo solamente le foglie, tutto il resto era scarto. Così con le coste abbiamo fatto una sorta di kimchi che abbiamo messo in un piatto nuovo quest’autunno.



Che sia un segnale per una prossima stella verde? Non sarebbe da sorprendersi. Nel frattempo, nel corso delle nostre esperienze qui abbiamo trovato un cuoco sempre più convinto e convincente, il quale è forte di una conoscenza profonda del suo territorio -termine di cui si abusa spesso, ma in questo caso perfettamente attinente alla ricerca che Giuseppe porta avanti incessantemente per dare vita a una nuova tradizione romagnola- proponendola attraverso piatti che lasciano il segno. “Poi, come tanti, ci infilo quella contaminazione che arriva da esperienze, viaggi e momenti. Purché tutto rimanga semplice e comprensibile: anche se dietro ci sono tecniche complesse non andiamo a spiegarle. Serve concretezza, fin che si può.” Così, se come continua Giuseppe “il paragone con quello che questo posto era prima appariva scontato e inevitabile, siamo riusciti a portare avanti una nostra linea con le nostre idee, pur sempre migliorabili.” Perché anche la modestia, quella giusta, a questo giovane non manca.



I piatti


Affiancato da Luca Guidi, sous chef, Gasperoni propone per iniziare piatti come anguilla, mandarino e cavolo fermentato: il pesce viene cotto alla brace con la crema dal succo dell’agrume e la polvere delle bucce bruciate. Shiso, cavolo rosso e salsa ponzu contribuiscono a un riuscito gioco sapido-acido che bilancia la parte del collagene dell’anguilla.

Anguilla, mandarino e cavolo fermentato



La stessa cottura del piatto precedente si ritrova con un effetto simile e sapori completamente differenti nella Coda di rospo servita con salsa umeboshi e aceto nero affumicato, il fondo del pesce, erbe selvatiche e gomasio.

Coda di rospo servita con salsa umeboshi e aceto nero affumicato



Baccalà, rapa rossa e beurre blanc è un’altra proposta di grande valore gustativo con il merluzzo fresco messo sotto sale in casa, cotto in olio a 65°C. Dalla pelle viene ricavato un fondo poi montato con burro, aceto di riso e scorza di lime: nascosti da una pellicola di rapa rossa, che a vederla sembra croccante ma in realtà è morbidissima e tende a sciogliersi in bocca, ci sono un estratto dello stesso vegetale, una marmellata amara di limone e il bergamotto candito di Corrado Assenza.

Baccalà, rape rosse, beurre blanc



Buonissimi, tra consistenze, sapidità e piccantezza, i Fusilli Mancini con lumachine, cime di rapa e olive sotto sale, con la pasta cotta per metà in acqua e per l’altro cinquanta per cento in un ragù bianco di lumachine di mare. Viene mantecata con un burro di mare a base di uova di pesce salate, vino e acciughe, estratto di cime di rapa, polvere di capperi e con le olive messe in vaso in casa (qui in Romagna si usa metterle a fermentare sotto sale con aglio, finocchio, bucce di limoni e arance).

Fusilli Mancini con lumachine, cime di rapa e olive sotto sale



Altro piccolo capolavoro sono i Cappelletti di piccione in brodo di porcini, un piatto classico che non può mancare nel menu del Povero Diavolo, con la tradizionale farcia di piccione cotto intero con le sue rigaglie, mentre il brodo delle ossa dello stesso volatile con in più il cappone viene arricchito dai porcini essiccati in estate e messi in infusione per una notte.

Cappelletti di piccione in brodo di porcini



Morbidezza, dolcezza, intensità e note aromatiche connotano i Ravioli ripieni di erbe dolci con capretto e spezie, con la pasta ripiena cotta al vapore, ma che ricorda anche i cjarsons friulani a cui lo chef è particolarmente affezionato. La farcia contiene erbe cotte, ricotta, uvetta, marmellata di albicocche e mela verde, il ragù invece il capretto, salsa al curry, nocciole a crudo ed erbe amare macerate: una bellezza.

Ravioli ripieni di erbe dolci con capretto e spezie



Tra i secondi colpisce Quaglia, latte affumicato, castagne e alloro, anche in questo caso una base dolce mitigata da sapidità ed eleganti note amare e affumicate: il volatile è cotto alla brace e poi laccato al miele di castagno, la coscia farcita con salsiccia; si ritrovano con una purea di caldarroste e un ‘cous cous’ delle stesse e cialde croccanti di farina di castagne tostata. Il latte è ristretto e affumicato a freddo, viene realizzato un estratto con foglie di alloro sbollentate e tutto viene poi nappato con un fondo di ossa.

Quaglia, latte affumicato, castagne e alloro



Si arriva in fondo al menu felici e il dolce, come ci si può aspettare, tanto dolce non è. Chartreuse, cicoria e mandorla si ritrovano declinati in differenti versioni. La Chartreuse con una crema montata al cioccolato bianco e in una panna cotta a base latte, la cicoria in un estratto a freddo, una spugna, le coste candite e le foglie essiccate. Infine, la mandorla che si trasforma in un crumble e nel gelato realizzato con il suo latte preparato in casa. E siamo solo all’inizio.

Chartreuse, cicoria e mandorla


Indirizzo


Osteria del Povero Diavolo

Via Roma, 30- 47825 Poggio Torriana (RN)

Tel. 0541.675060

Sito Web

 

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