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“Il km 0 è solo una moda, i grandi chef comprano all’estero”. David Martin: “Non è giusto rinunciare ai prodotti stranieri”

di:
Alessandra Meldolesi
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David Martin La Paix

Km 0? Un fenomeno di tendenza che la maggior parte dei cuochi non applica ai suoi piatti. La pensa così David Martin, top chef belga senza peli sulla lingua: “Non voglio smettere di lavorare con il miglior prodotto del mondo solo perché viene da lontano”.

La notizia

Chilometro zero sì, no, forse, però… Tutti ne parlano, pochi lo praticano, ma il tema è sempre più attuale, oggi che la sostenibilità, con annessa riduzione dell’impronta di carbonio, suona come un imperativo kantiano. A rompere le righe dell’unanimità è arrivato David Martin, celebrity chef belga di origini spagnole formato da Alain Passard, che ha lanciato la pietra della provocazione dal suo rinomato due stelle.


Sono spazi intenzionalmente non rinnovati che ricordano il secolare bistrot che fu, con l’accogliente bancone al quale ha conosciuto la moglie, preannunciando una cucina tutt’altro che snob. “Continuo a sentirmi un cuoco del sud Europa”, dice lodando Extebarri, dove riconosce quel che mangia. “Gli chef spagnoli stanno tornando al cibo reale. Non succedeva dai tempi di elBulli. Quello che oggi vedo in Spagna mi piace più di quel che vedevo anni orsono. Sicuramente adoro Martin Berasategui, uno chef divertente e amabile, dalla cucina comprensibile, per quanto moderna ed estetica”.

Crediti Hungry For More
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Quando ho iniziato, La Paix era un ristorante molto famoso a Bruxelles, ma pur sempre una brasserie. Ai tempi lavoravo al tre stelle di Jean-Pierre Bruneau, ma ero un po’ stufo della cucina molecolare che praticavamo. Non sapevo cosa né quale tipo di cucina volevo fare, ma ero certo che non fosse quella. Non mi divertiva. Cosicché ho chiuso e ho iniziato a La Paix, inizialmente curando e ripulendo i piatti tradizionali che offriva, fino a un viaggio in Giappone. Quella sì era la mia cucina, e mi sono lanciato. La mia famiglia politica, i proprietari di La Paix, mi hanno appoggiato”.

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Da allora la proposta del ristorante si è connotata come un mix di elementi francesi e spagnoli esaltati da tecniche giapponesi, dove il prodotto fa la differenza. I viaggi in Oriente si sono susseguiti, consentendo una formazione dal vivo, non scolastica, a contatto con chef e produttori. La ristorazione belga, allora come oggi, era colonizzata dal classicismo francese, mentre l’approccio di Martin risulta piuttosto apolide.

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So che la moda del momento è che il cuoco dica che cucina in modo locale e che non vuole prodotti che abbiano viaggiato più di 300 chilometri, ma sono sicuro che aprendo le celle si troverebbero ingredienti giapponesi e francesi. Perché dovrei smettere di lavorare con il miglior prodotto del mondo solo perché viene da lontano? Dico sempre che sono uno chef del territorio ma cittadino del mondo. Non voglio rinunciare a lavorare il miglior pesce spagnolo o il miglior miso giapponese.  Tutte le verdure che uso, invece, arrivano da piccoli agricoltori della zona. Non posso prenderle lontano perché non sarebbero fresche. La differenza in cucina è enorme”.


Per me un ristorante non è un teatro. Può creare un’atmosfera, ma devi capire quello che mangi. In caso contrario non è un ristorante, ma un’altra cosa. Preferisco i ristoranti reali a quelli esperienziali, perché in questi ultimi non puoi andare due volte di seguito. Sicuramente ci vai e impazzisci, ma se torni dopo tre giorni, non succede. Mi piace sorprendere non solo con lo show, ma con quello che è nel piatto e col servizio. Noi non siamo il Moulin Rouge”.

Fonte: 7 Canibales

Foto dello chef: crediti La Paix

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