Per Daniel Boulud è il momento dei locali smart, a causa della crisi che si è abbattuta sul fine dining negli ultimi due anni. I piatti? “Non sempre devono essere cerebrali. La spontaneità, a volte, risulta più divertente”.
La notizia
Forte del titolo di Best Restaurateur in the world, guadagnato sul finale del 2021 a coronamento di una carriera leggendaria, il sessantaseienne Daniel Boulud non mostra segni di stanchezza. Dopo avere rinnovato il suo Daniel e aperto nuovi locali a New York, città che è la sua casa dal 1982, si appresta a inaugurare il primo ristorante sul mare, Le Voyage, e un secondo a Los Angeles. Senza considerare gli spin-off sparsi per il mondo, da Toronto a Dubai, da Miami a Montreal e Singapore. In generale, per lui, è il momento dei locali informali, a causa della crisi che si è abbattuta sul fine dining negli ultimi due anni.“Ciò che mi motiva di più, in questo momento, è assicurarmi che la mia squadra stia bene, che gli affari tengano. Il covid non ha colpito solo i miei locali, ma tutto il mondo”, dice. “Ogni azienda ha sofferto. Gran parte dello staff è tornata a casa durante le chiusure e poi non è più rientrata. È una sfida continuare a fare ciò che abbiamo sempre fatto. Il nostro mondo ruota intorno all’ospitalità e alla felicità delle persone. All’improvviso dobbiamo fare molta attenzione a come le accogliamo. Se c’è una famiglia composta di 6 persone, una deve stare fuori o mangiare altrove. Stiamo imparando a conviverci, ma stiamo anche lavorando duramente per far tornare ciò che conta. È molto importante”.
“Amo la Michelin, sono fantastici. Credo che se merito le tre stelle, è perché continuo a fare quello che faccio. I miei ristoranti non sono mai stati concepiti al solo fine di piacere a Michelin. Cerco di accontentare innanzitutto gli ospiti. Penso di avere il talento necessario per le tre stelle. Ma desidero che i miei ristoranti diventino sempre più accessibili. Se oggi sono un due stelle, sarò il migliore fra i due stelle. E non credo di andare così sul sicuro. Come i miei colleghi, esploriamo tante possibilità nella preparazione di corse stagionali. Secondo me un piatto da tre stelle deve essere composto, eseguito, condito, bilanciato in modo perfetto, ma non tutti i piatti sono concepiti per la perfezione. Alcuni danno grande piacere, ma non sono fatti per gli occhi. Si tratta di gusto, tecnica, composizione ed esperienza. Mi piace il fatto che la cucina sia così emozionale. Non devi sempre essere cerebrale per fare fine dining. La spontaneità a volta risulta più divertente”.
“Tradizionalmente una buona brasserie deve essere costante. Vogliamo che il ristorante continui a evolversi, ma nello stesso tempo ci piace che sia un luogo familiare per le persone. Almeno metà del menu resta, l’altra metà cambia. Ma la bistecca con le patatine è la bistecca con le patatine. Non cercheremo di reinventarla, visto che è così confortevole. Personalmente mi batto per la sostenibilità, perché sono cresciuto in una fattoria. In tutti i ristoranti siamo sostenibili al 98%. Solo il venerdì compriamo il pesce dai pescatori perché è l’unica cosa che non produciamo, ma catturiamo molte trote selvagge e gamberi di fiume. Stavamo allevando il nostro bestiame, confezionando il nostro formaggio, i nostri salumi e consumando i nostri ortaggi. So molto bene cosa sia la sostenibilità, è un modo di vivere. Nello stesso tempo ci sono ingredienti che entrano nel piatto e potrebbero non essere locali. L’olio di oliva può arrivare dalla Malesia? Non ancora! A Singapore deve arrivare da più lontano”.
Fonte: lifestyleasia.com
Foto di copertina: Crediti Dinex Group
Foto dei piatti: sito ufficiale Daniel Boulud