Ristoranti di tendenza

Un tuffo nel mito: i nuovi Balzi Rossi di Enrico Marmo e Pina Beglia

di:
Alessandra Meldolesi
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enrico marmo copertina 970

Riparte la corsa del più importante ristorante ligure di sempre, con l’affiancamento di un giovane talento, Enrico Marmo, alla fondatrice Pina Beglia dentro un locale bellissimo, interamente rinnovato.

La Storia

La Storia di Balzi Rossi


“Siamo il primo ristorante italiano. O forse l’ultimo”. Sorride Pina Beglia, ragazzina di 76 anni, dentro i nuovi Balzi Rossi di Ventimiglia, a pochi metri dal confine francese. Un ristorante interamente rinnovato, moderno e lineare, i cui arredi bianchi riflettono la luce delle grandi vetrate sul mare. Vi si allunga una terrazza con vista sulla Costa Azzurra e su Mentone, sopra banchi di posidonia che danzano nel blu delle acque; mentre scendendo una rampa di scale si accede alla nuova saletta per gli eventi, altezza scogli con futuro attracco per le barche, e poi alla cantina interrata. In quattro mesi di lavori solo la cucina è rimasta invariata, con la monumentale Molteni rossa disegnata a suo tempo da Alain Ducasse, habitué della casa.

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Una grandeur ritrovata, per il più importante ristorante della storia ligure tuttora in attività. Inaugurato nel 1982 da Giuseppina e dal marito Andrea, nell’età dell’oro della ristorazione regionale raccolse due stelle Michelin, come altri cinque esercizi che però sono chiusi da anni (il Santamaria, il Pesce d’oro, la Santa di Bergese, il Palma dei Viglietti e da Gino, precedente sede dei Beglia). Ed è la fine che hanno rischiato di fare anche i Balzi, ceduti e poi tornati nelle mani di sempre dopo una gestione deludente. Con uno spirito nuovo, nell’entusiasmo e nella trasfusione di energie. “Cambiare per restare se stessi”, analogamente a tante maison che hanno fatto la storia della cucina italiana.

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1940, 1988: sono queste le cifre della transizione in corso. Non era ancora nato il neochef Enrico Marmo, oggi ventottenne, quando i coniugi Beglia tagliavano il nastro della casa. Mentre Pina, dal canto suo, ha iniziato a spadellare poco più che ventenne, quando la cucina italiana emise i suoi primi vagiti, da Romano a Viareggio e da Vittorio a Bergamo. “La mia però resta una cuisine de maman, come dicono i francesi. Tranne un paio di stage sono un’autodidatta totale”. Eccessi di modestia per chi come nessuno ha saputo interpretare i profumi di questa terra con leggerezza apollinea: la materia giusta e freschissima, rigorosamente du marché; cotture delicate, magari al vapore, perché “il pesce basta accarezzarlo”; composizioni semplici e talvolta sorprendenti (vedi la pesca matura negli antipasti). Evergreen che restano in carta, come i raviolini e il cappon magro; in prospettiva la clamorosa retata di mare, prototipo di ogni insalata espressa, e un pionieristico gelato all’olio, destinati a formare un menu a parte.

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Il resto della carta è firmato Marmo: l’occasione della vita dopo una bella gavetta, grazie alla mediazione di Davide Palluda, allievo di Pina e suo maestro. “Fin da piccolo sono stato appassionato di cucina, soprattutto grazie alle mie nonne, entrambe chiamate Irma, che affiancavo nella preparazione dei piatti piemontesi. Dopo l’Alberghiero ho trascorso un anno alla Signora in rosso, trattoria di Nizza Monferrato molto attenta ai prodotti; poi un anno e mezzo all’Enoteca di Canelli e mi sono specializzato ad Alma; quindi un altro anno al Gellius e da Cracco con Matteo Baronetto, forse lo chef che mi ha colpito di più per istinto e creatività. Ha aperto i miei orizzonti, anche se il mio stile resta vicino a una matrice tradizionale e femminile.

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Sous-chef sono diventato all’Enoteca di Davide Palluda, dove sono rimasto 5 anni. Andrea Grignaffini lo definisce un cuoco ‘neoclassico’ e mi ha trasmesso innanzitutto la conoscenza del prodotto, con tante influenze liguri. Che la spalla di coniglio è più buona della coscia, ad esempio, ma una costolettina tagliata bene è due volte superiore”.

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“Quando sono arrivato, Pina mi ha mostrato come preparava i suoi cavalli di battaglia. Ci siamo trovati a casa sua e ha tirato fuori libri e menu. Abbiamo convenuto su piccole attualizzazioni, che non stravolgessero i piatti, per esempio guarnizioni crude anziché cotte o comunque leggermente riviste”. Del passato sopravvive anche la rete dei fornitori, soprattutto di pesce: un commerciante e un paio di barche, che previa telefonata serale procedono alle consegne di quel che trovano ogni mattina, cosicché la carta è variabile. Solo il crudo e la ricciola vengono abbattuti, il resto è fresco e di giornata. La frutta e la verdura arrivano dagli stessi banchi dove si rifornisce Colagreco, al mercato. Altri prodotti seguono la filiera di Palluda: i piccioni Greppi, le costate di manzo piemontese, gli spaghettoni Gentile, le nocciole.

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Il menu degustazione, con le sue sei portate, costa 65 euro. Ad accompagnarlo sono le 300 referenze di una carta dei vini curata da Franco Baracca, marito di Rita Beglia, che dirige la sala, e tre tipi di pane: la focaccia con le olive taggiasche, i grissini stirati con il loro olio di colatura e le ciabattine all’acqua.

I Piatti

 

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L’esordio è territoriale e popolare. In uno scrigno arrivano in tavola tre piccoli fritti: l’acciuga ripiena di prezzemolo e polpa di acciuga, il barbagiuai di pasta matta alla zucchina trombetta, il baccalà mantecato alla brandacujun nel cannolo di pasta stracotta e soffiata, fritto ma asciutto e arioso. Poi un piccolo crudo del mercato, come la seppia tenerissima, messa sotto ghiaccio e affettata finemente, quasi amidacea per dolcezza e collosità, servita con pesca, olio e limone; nel caso del pesce spada, turgido per la pezzatura media, anche senape in grani.

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E ancora un fritto: i deliziosi spuncia, minuscoli moscardini tenuti sotto ghiaccio per evitare che scuriscano, passati in un mix di farina di mais e farina primitiva, completa di crusca, serviti con insalatina di rucola selvatica, cicoria e salsa tartara, un po’ dressing, un po’ maionese sul fritto, in un gioco di testure gommose, rigide e cremose.

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La Francia è vicina: lo ricorda il foie gras in arrivo da Nizza, marinato con pepe e Cognac, poi affumicato a freddo con legno di cedro secondo una ricetta di Pina già ripresa da Palluda, che varia il feticcio francese in clamoroso anticipo sui tempi. A completare il piatto è l’insalata-macedonia di frutti rossi con vinaigrette di crème de cassis per l’acidità, più foglie di barbabietola, carota, spinacino.

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Ottimi i primi: gli spaghettoni ai ricci, territorializzati dal fondo al rosmarino, che trasmette un sentimento di macchia, esalta il selvatico e mitiga il “fegatoso”, più un crumble di pane acidulo che ricrea una sensazione di focaccia. Oppure la crema di riso, sul modello di Matteo Baronetto, montata all’olio e al Parmigiano e servita con un ragoût di tentacoli di totano, che ricrea sotto i denti la sensazione gommosa dei chicchi all’onda in un’inversione ludica, dopo gli gnocchi preparati con il corpo del mollusco. Ma il pensiero vola anche al Piemonte e a un rustico risotto alla salsiccia, per la consistenza simile al grasso, con una dadolata di pomodoro acerbo per l’acidità. Il piatto più personale del menu, spia del Marmo a venire.

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Impeccabile il besugo deliscato, ricomposto e planchato su carta da forno, ancora traslucido e succoso all’interno, servito con lamelle di verdure crude alla citronette e ovuli. Perché benvenuto, oltre al gambero rosso locale, è anche il pesce “quotidiano”, vedi i soralli, dalla consistenza simile a filetto di bue.

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Dopo il predessert di melone, pesca e verveine, è ottima in chiusura la Tarte au citron, grande classico della Costa Azzurra, con la sua gradazione di acidità che sale come un ascensore. Quindi la marmellata del succo, la polpa pelata a vivo e macerata in acqua e glucosio, la crema pasticciera alla scorza e la meringa italiana fiammeggiata; più il crumble di sbrisolona alla farina di mais e il gelato di scorza, cardamomo e coriandolo per livellare. Piacevole, precisa, riflessiva: quella di Marmo è una cucina che crescerà, acquistando familiarità con il territorio e valorizzandone erbe e vegetali.

Tutte le fotografie sono di Saverio Chiappalone

 

Indirizzo

Ristorante Balzi Rossi

Via Balzi Rossi 2 - Frontiera San Ludovico - 18039 Ventimiglia (IM)

Tel. +39 0184 38132

Mail: info@ristorantebalzirossi.it

Il sito web del ristorante Balzi Rossi

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