Marco Pierre White senza filtri: la rockstar dei fornelli esprime la sua opinione sui ristoranti inseriti nelle guide gastronomiche e le competenze degli ispettori che li giudicano. Un’intervista che sta già attirando le critiche della stampa anglosassone.
La notizia
Fa sempre discutere Marco Pierre White, rockstar dei fornelli e chef fra i più amati di sempre. Senza di lui, archetipo di genio e sregolatezza, un intero filone di maledetti in divisa non sarebbe mai esistito, à la Bourdain per capirci. Lui però è uno chef a tutto tondo, primo tristellato indigeno della Gran Bretagna; il suo malessere un fiore nero cresciuto sulla disciplina e sul sapere.Non fa eccezione l’attualità riportata da Sophie Morris su inews, che regala perle. Tanto per cominciare la sbandata vegana che si è concesso, colui che più di ogni altro è indissociabile da un immaginario gourmet iperproteico, fatto di piedini di maiale e animelle. Nel nome di White, effigiato sulla copertina di White Heat con una mannaia per le mani, ogni giorno una catena di steak-house arrostisce costate. La BBC, tuttavia, lo ha scelto per condurre 24 video lezioni dove le tecniche dell’alta cucina vengono applicate a un paniere interamente vegetale.
Qualche esempio? Il risotto ai funghi, formaggio di cavolfiore al tartufo e arancini; oppure la tarte tatin di indivia con cavolo ripieno, sedano brasato, nocciole, Madeira e cinque tipi di patata. “Piatti che un tempo avrei follemente considerato meri contorni, adesso sono diventati meravigliose, spettacolari, deliziose corse a se stanti”, si infervora in video. “Nel mondo della gastronomia gli chef amano decostruire, separando le componenti del piatto per farne piccoli gingilli. Sinceramente non mi piace; la decostruzione non ha senso. Gli ingredienti, creazione di madre natura, diventano irriconoscibili”.
Per lo chef non è una completa novità. Già una decina di anni fa, ispirato dalla figlia e dai suoi amici, aveva compiuto un tentativo. “E sono stati nove mesi sorprendenti”, ricorda, per l’esperienza non meno che per il cibo. “Le prime tre settimane non mi ha fatto alcun effetto. Ma nelle sei che sono seguite sono diventato un po’ debole, introverso. Infine, sono tornato normale, dormivo molto meglio, il mio olfatto era eccellente e ho perso moltissimo peso, circa 30 chili. Avevo molta più energia”. Problemi? Solo uno. “Non mi sentivo mai sazio, dopo un’ora avevo già fame”.
Ma niente paura: in un mondo sempre più green, nessun addio alla carne. Commentando la conversione vegana di Alexis Gauthier, White sentenzia che si tratta di “business” e ricorda come Alain Passard, dopo aver cacciato dalla carta piccioni e affini 20 anni fa, in clamoroso anticipo sui tempi, li abbia poi reintrodotti. L’interesse non è comunque peregrino, se è vero che White si appresta a inserire il succedaneo vegetale Redefine Meat nel menu delle sue steak-house. “È il prodotto più intelligente che abbia visto in tutta la mia carriera. La prima volta che l’ho provato, l’ho aperto a metà per osservare la struttura e somigliava a guancia o brisket. Potrei farci un boeuf bourguignon e nessuno se ne accorgerebbe”.
Ma cosa pensa della Michelin, lui che è stato premiato per primo dalla rossa e poi si è ritirato per lo stress, dedicandosi a una ristorazione meno impegnativa e all’hotel di campagna, dove si gode la natura? “Fanno buoni pneumatici”, scherza. “Sei giudicato da persone che ne sanno meno di te. A volte mi siedo a ristoranti in guida e non riesco a capire cosa sto mangiando. Si può apprezzare la tecnica, e invero sono molto bravi a trasformare una combinazione di tartine in un pasto fine dining. Ma io non voglio 12 o 15 portate di gingilli tiepidi. Io voglio cibo caldo”.
Fonte: inews
Foto di copertina: Pagina ufficiale Marco Pierre White