Ángel León è ambasciatore di una Nuova Cucina di Mare che coniuga rispetto dell’ecosistema, innovazione tecnologica e pensiero creativo. Il suo ultimo progetto? Un menu marino 100% vegetale.
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È lo “chef del mare” per antonomasia: negli ultimi decenni, nessuno come lui si è adoperato per spostare la boa qualche miglio più in là, e ancora oltre, dove nessun impavido con la muta da chef aveva finora osato immaginare… Innovazioni che in diversi casi sono diventate patrimonio della cucina mondiale, come accade a qualsiasi forma di avanguardia che anziché deperire, fiorisca.Il mare, del resto, è il liquido amniotico di Ángel León dal 1977, quando ha preso il primo abbrivio in quel di Jerez de la Frontera. Lo solcava praticamente ogni giorno con il padre ematologo, appassionato pescatore dilettante, e sognava di studiarlo da biologo marino, se solo avesse sentito la giusta vocazione per gli studi.
Invece ecco la cucina e un apprendistato che si è svolto fra la Taberna del Alabardero di Siviglia, lo Chapon Fin di Bordeaux e la Casa del Temple di Toledo. Indirizzi tutt’altro che iconici, che non hanno impresso alcun marchio a fuoco sulla sua creatività: se è vero che la sua cucina non disdegna la “notiziabilità” cara agli chef spagnoli, i cui piatti sono tanto mediatici quanto saporiti, vanno tuttavia esenti dai classici cliché avanguardisti di arie, spume e texturas varie.
Fino all’apertura di Aponiente nel 2007, in un vicoletto di Puerto de Santamaria, villaggio da cui, si dice, sarebbe salpato Cristoforo Colombo. Alla prima stella Michelin nel 2010 segue la seconda nel 2015. La terza arriva nel 2018 presso la nuova, magnifica location di Molino de Mareas, davanti alle onde.
Ángel León vi ha pescato un successo fatto di essenzialità e valori forti: da sempre incline all’utilizzo di pesce povero, abbondante e sottoutilizzato, soprattutto poco conosciuto quindi fonte di continue scoperte, ha poi deciso di spingere più a fondo il suo scandaglio, consapevole che appena oltre il pelo dell’acqua, inizia un universo sconosciuto per i cuochi. Non senza un occhio di riguardo per la sostenibilità, oggi così in voga, ma da tempi non sospetti.
Ha così inventato la Clarimax, tecnica di chiarificazione dei brodi attraverso l’uso di alghe diatomee, introdotto l’uso di carbone di noccioli di oliva e approfondito l’arte dei salumi di mare, tradizione mediterranea già approcciata con genio da Moreno Cedroni.
E ancora l’introduzione dal nulla di un ingrediente rivoluzionario, presto adottato da una pletora di chef in tutto il mondo: il plancton, vettore di profondissimo umami marino. In collaborazione con un team di biologi, fra circa duecentomila specie di fitoplancton ne ha selezionate prima 26, poi l’unica idonea all’uso alimentare. Una microalga monocellulare che è stata coltivata per la liofilizzazione e l’utilizzo sotto forma di polvere come formidabile insaporitore. Ma per ottenere l’autorizzazione europea sono stati necessari 5 anni, prima ha dovuto farne uso come di una semplice alga.
Non basta. Dal cilindro della sua madida toque sono usciti un audace formaggio di mare a base di grasso di pesce e la bioluminescenza del piatto. Una volta compiuto l’avvistamento del fenomeno, utile ad alcune specie di pesci per difendersi di notte, durante una battuta di pesca, ha studiato la sua riproduzione attraverso l’utilizzo di un mollusco, capace di regalare la stessa esperienza agli ospiti in sala.
Perché la ricerca, svolta in un laboratorio ipertecnologico, è instancabile. “Conosciamo solo il 40% della dispensa marina. Dobbiamo guardare al mare con fame, con una mentalità aperta ed essere meno selettivi in quello che mangiamo”, esorta. “Mi piace dare visibilità a tutte quelle specie che vengono scartate per motivi di moda: una massa enorme di proteine nobili”.
L’ultima trovata è la coltivazione di un gigantesco orto oceanico, propedeutico alla messa a punto di un menu totalmente marino, ma privo di pesce. Da anni in collaborazione con l’Università di Scienze Marine studia nuovi, possibili ingredienti presenti nel mare e sulla costa: funghi, tuberi, alghe polisaccaridi. Si è così imbattuto nella zostera, sorta di grano marino, che non è mai stato coltivato in nessuna parte del mondo. È stata quindi allestita un’area di coltivazione sperimentale dell’ampiezza di 3000 metri quadrati all’interno del Parco naturale di Bahia de Cadiz, in vista del primo raccolto e della creazione di una banca del seme, utile anche per la “riforestazione”.
Si tratta di un cereale simile al riso e alla quinoa, che si può cucinare negli stessi modi, ma anche ridurre in farina ed elaborare in pasta o pane. Altamente nutriente e ricco di omega 3, non necessita ovviamente di acqua per la coltivazione e può quindi contribuire a combattere la fame nel mondo. Soprattutto queste insospettabili praterie hanno rivelato un’elevatissima capacità di immagazzinare carbonio e possono rappresentare valide alleate nella lotta contro il climate change, mentre continuano a custodire fra le spighe ondeggianti il tesoro della biodiversità marina.
Foto: crediti Aponiente (pagina ufficiale)