L’Argine a Vencò, un angolo di pace al confine con la Slovenia e la cucina identitaria di Antonia Klugmann
La Storia
La storia di Antonia Klugmann
Sorride, quando ti guarda, questa ragazza del ’79. Sorride ed è impossibile non entrare in sintonia con la sua grazia innata, quando con quella sua aria scanzonata racconta del modo in cui le è entrata dentro la passione per un mestiere così terribilmente complicato com’è quello del cuoco. Visto da fuori, perché in fondo chi lo sceglie lo fa con una visione che la categoria degli altri, noi, i non-cuochi, difficilmente può capire fino in fondo.
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“L’idea di lavorare tra pentole e padelle? È nata dalla follia, ho lasciato giurisprudenza e non ero a conoscenza dei dettagli di questo lavoro. Diciassette anni fa si raccontava la cucina, ma non nel modo in cui si fa oggi, per cui avevo intuito che ci fosse un aspetto legato alla creatività – che poi era quello che mi interessava di più, ma non avevo idea di quella che fosse la routine del cuoco. Per fortuna non mi sono mai pentita e fin dal secondo giorno ho capito come sarebbe andata poi, perché mi sono resa conto che in realtà quell’aspetto creativo riguarda molto spesso solo lo chef. La cucina infatti, la maggior parte delle volte, è fatta di esecutori. Così, se quella era la cosa che mi interessava di più, avrei dovuto per forza di cose diventare il capo. E mi è andata bene.”
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Una folgorazione tutto sommato non tanto improvvisa quanto latente e “covata” fin da piccola quella di Antonia, perché “siamo tutti figli della nostra storia. [Difficile dire come sarebbe andata] se non ci fossero stati i miei nonni che cucinavano bene e mi avevano fatto intuire qualcosa già da bambina: mio nonno Antonio, pugliese, che mi dava le alici crude appena comprate al mercato con un po’ di limone, i pomodori messi in cassetta a maturare nella verandina di casa. Oppure la nonna, lei di Ferrara invece, che mi preparava le tagliatelle fresche con il ragù. Ancora l’altro nonno di origine ebraica, la frutta con la carne, gli gnocchi di susine, tutta la Mitteleuropa”. In effetti, con quel senno di poi che senno del tutto non è mai, quello che Antonia ha definito come atto di follia era forse, semplicemente, DNA culturale ben attecchito. “Adesso è come se tutte queste esperienze fossero dei mattoni, dei mattoni solidi che sono nella mia casa. Però al contempo credo di essere una persona molto libera quando ragiona sul proprio passato. Quindi non sono malinconica e penso sempre all’ingrediente in modo quasi infantile, proprio per ritrovare quello spirito comunque legato al gioco, all’innovazione che fa parte della novità. Allora ti devi un po’ spogliare di tutti questi ricordi per essere effettivamente creativo.” Ma allo stesso tempo non li puoi perdere. Antonia sorride ancora e mi osserva divertita, mentre esclama: “è una cosa strana il percorso creativo, molto!”.
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E mentre parli con lei ti interroghi e ti fai qualche domanda su questa donna che quando uno entra all’Argine vede di là dal vetro di una cucina a vista, concentrata su un piatto oppure china fuori nell’orto a raccogliere la parte di pianta che serve a completarlo; ti chiedi che rapporto ci possa essere tra lei, il sereno ascetismo che trasmette mentre lavora e un mondo come quello della televisione. “Partecipare a MasterChef è stato positivo per tantissimi aspetti, legati proprio all’aver fatto un’esperienza così differente dalla quotidianità. Tu mi vedi, sono qui a Vencò immersa nel nulla e per due mesi e mezzo ho vissuto la televisione, mi sono trasferita a Milano, ho fatto qualcosa di completamente diverso e ho trovato in questo un grande stimolo al cambiamento. D’altra parte, però non voglio che questa cosa mi trasformi in qualcosa di differente da quello che per me è importante. MasterChef mi hai aiutato a raccontare quello che facciamo qui a un pubblico più ampio e in maniera diretta: io sono responsabile di quello che ho comunicato e l’ho fatto in prima persona; però voglio continuare a cucinare, anche se non escludo assolutamente di fare altre cose in televisione e mi sono divertita un sacco. È stato proprio un bel gioco e i miei compagni sono stati davvero divertenti. Collaborare con Antonino, Bruno e Joe (Cannavacciuolo, Barbieri e Bastianich, n.d.a.) è stato veramente forte e non rimpiango niente, però allo stesso tempo voglio che il cliente quando arriva a Vencò mi trovi qui e desidero poter continuare a stare sul pass. A fare quello che mi piace.”
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E poi ci sono i nuovi progetti, la sala che è destinata a crescere da 15 a 20 coperti e la cucina che ha bisogno di essere ingrandita per dedicare ancora maggior attenzione a panificazione e pasticceria. “È stata una vera fatica costruire questa casa, perché quando abbiamo comprato il terreno nove anni fa io e Romano (De Feo, compagno di vita e vero maestro di sala e di vino) ci siamo immaginati l’edificio nuovo e ci prendevano per pazzi: in mezzo al nulla, il moderno affiancato all’antico. Così è la struttura del ‘700 che rappresenta il nostro futuro, ci sono già quattro stanze e ce ne saranno altre due.” Crescono anche gli orti, compatibilmente con il clima di Vencò dove in inverno fa proprio tanto freddo: “lo scorso anno abbiamo avuto -17° per due settimane tutte le notti e poi una grossa ghiacciata tra aprile e maggio. È andata persa tantissima frutta e questo è uno dei motivi per cui quest’anno ritarderemo molto nel metter giù le solanacee. Ogni anno l’orto si è allargato un po’ e da qualche tempo abbiamo Francesco che ci segue per il progetto della parte nuova. Stiamo ampliando tutte le varietà, utilizziamo delle tecniche antiche come la pacciamatura con il fieno e per la prima volta tutte le piantine sono di origine biologica. L’orto è un grande viaggio, non posso dire come sarà tra dieci anni, posso soltanto raccontare quello che è stato e quello che noi desidereremmo diventasse. Adoro l’orto, assolutamente.”
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Si vede, si vede da come Antonia si muove tra piante ed erbe, dalla delicatezza delle sue mani quando le raccoglie e da uno stile di cucina che fa del vegetale un asse portante, un filo conduttore del gusto nel quale tutto è perfettamente calibrato, senza alcun orpello, privo di qualunque elemento inutile alla massima resa del boccone e nel rispetto totale di una filosofia in cui ogni spreco è bandito.
I Piatti
<br />Penso all’insalata di erbe di bosco con prugna, cioccolato e battuto di lardo d’anatra. Alla base del piatto una marmellata di prugne gialle, va da sé fatta in casa. Il battuto d’anatra viene preparato facendo asciugare in frigorifero la pelle dopo una marinatura sotto sale di circa trenta giorni. La misticanza si compone di “finta” ortica, aglio orsino e germogli di pisello. Il cioccolato temperato, servito a scaglie, va a donare calore e a “chiudere” gli ingredienti in un perfetto gioco di variazioni tra dolce, acido e amaro.
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Un’altra misticanza, questa volta a base di borragine e fiori di prezzemolo, foglie di prezzemolo fritte, salsa di cavolo e polvere di tè verde, accompagna la tartare di anatra, condita con acqua di cappero e completata al tavolo con una mousse di rafano. Assomiglia a un piccolo, soave quadro naif la polentina mantecata con un burro al silene a cui vengono aggiunti panna acida, semi di papavero e fiori di borragine. “Io credo che la cucina sia come tante fotografie messe insieme una vicina all’altra. I piatti? L’importante è che in qualche modo siano la fotografia sincera di una vita. Questo mondo per me non è immobile, quello che è oggi forse non sarà domani e chiunque mi conosce e mi segue, anche come cliente, da ormai dodici o tredici anni, da quando abbiamo aperto a Pavia di Udine, può dire che in ogni caso si è trattato di un percorso coerente. Ovunque io abbia lavorato, fosse a Venissa o al Ridotto a Venezia o all’Antico Foledor, sono sempre io, in viaggio.”
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È croccante, divertente, ma soprattutto non smetteresti di sgranocchiarla. È la pelle di maiale fritta e soffiata, servita con brodo di pesca e acqua di fermentazione dei crauti con asparagi bianchi cotti in cartoccio al forno e asparagi verdi selvatici sbollentati. Non manca nei piatti di Antonia una nota terragna, mai ruvida ma di grande impatto.
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Così accade anche nei raviolini al grano saraceno con durelli di pollo e sedano rapa cotto in forno alla base. I raviolini, in bocca piacevolmente intensi, sono ripieni di durelli, cuore e fegato di pollo brasati. Il grano saraceno soffiato e fritto dona la necessaria croccantezza, foglie di cicoria selvatica allungano il sapore. Il piatto viene completato a tavola con un brodo di sedano rapa e pollo.
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Assale la gola con l’idea di desiderarne ancora un altro po’ il crème caramel di topinambur a cui viene aggiunta una salsa che ne riprende il fondo di cottura, servito con una mela cotta e una fresca misticanza con stellaria, nigella e achillea. “Sono stata influenzata dai grandi chef del nostro paese, ma anche da quelli che vengono dal resto dell’Europa. Tutti grandi, bisogna imparare da quelli che fanno meglio di noi. Posso dire che Niko Romito, Piergiorgio Parini, Massimo Bottura, Mauro Uliassi, pure i cuochi che non ho potuto sperimentare in prima persona e ho solo visto in una foto, alla fine mi hanno resa quella che sono. René Redzepi, Alain Passard, Pascal Barbot… Io adoro (lo scandisce con enfasi, n.d.a.) i miei colleghi, adoro la cucina e chissà quanti ristoranti andrò a visitare ancora.” Si riconosce una mano originale in questi piatti, una personalità gastronomica forte, formata, di carattere. Lo stesso carattere che Romano De Feo, uomo in apparenza schivo ma dalla grande cultura enologica e dall’elegante savoir-faire, mette nell’abbinare ai piatti i vini di un territorio generosissimo e ricco di grandi bottiglie. Perciò vale davvero la pena lasciarsi guidare scegliendo un percorso di degustazione proposto da lui.
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L’eleganza si ritrova anche nel baccalà temperato, cotto a bassa temperatura e servito con una finta maionese di albume e lavanda, scorza di bergamotto in salamoia e foglie di spinacio passate in padella.
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Gli gnocchi di pastinaca sono invece un altro piatto in cui la bellezza della terra è ben presente. Vengono serviti con una delicata salsa di mandorle e una purea di pastinaca, insieme ai bruscandoli (germogli di luppolo selvatico) grigliati. Freschezza e sostanza si rincorrono nel risotto mantecato con midollo e burro al limone, condito con una centrifuga di foglie di rucola e completato con polvere di cardamomo a donare una nota balsamico-speziata.
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La terrina di testina di maiale è abbinata a una gelatina al rosmarino a mitigarne la grassezza suadente e al sedano crudo condito con olio, sale e cavolfiore arrostito. Un‘insalata con salsa di acciughe termina il piatto con una nota di fresca sapidità. Per concludere la parte salata del menu ecco il carré di vitello scottato nella padella di ferro, fatto riposare e poi cotto al forno. Viene servito con un’intensa purea di verza arrostita, le sue foglie intere, crauti fermentati e prugna umeboshi insieme ai gambi di acetosa. “Zucca e yogurt” è, ma non poteva essere altrimenti, un dessert di estrema raffinatezza, poco dolce e perfetto per chiudere il menu: alla zucca tagliata sottile viene aggiunto del caramello di mou, il gelo di zucca, una mousse ghiacciata di yogurt, scaglie di meringa e polvere di cannella e mandarino. “Come cuochi siamo bombardati di informazioni e molto spesso anche l’ospite ha un’aspettativa che rischia di rinchiuderci in una sorta di immagine precostituita, avviluppandoci in un bozzolo. È molto importante che ci si metta in discussione per trovare qualcosa di veramente personale. Però tutte queste informazioni qualche volta bisogna cancellarle, isolarsi e riuscire a trovare la propria voce.” Sì, tornare a trovare Antonia sarà di nuovo una grande emozione.
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Tre i menu disponibili (e consigliati) oltre a una piccola carta. 65 euro per 5 portate, 75 per 6 e 105 per 10, vini esclusi.
Indirizzo
Ristorante L’Argine a VencòLocalità Vencó n 15 - 34070 Vencò
Tel. +39 0481 199 9882
Mail info@largineavenco.it
Il sito web