Primo cuoco del mondo per la seconda volta, Massimo Bottura insegna che per essere grande la cucina deve avere il coraggio di smentirsi
La Notizia
La Storia di Massimo Bottura
È la storia di un sogno vagamente americano, quella di Massimo Bottura. Cuoco non cuoco di famiglia per bene, dalla vocazione tardiva e dal curriculum ben più lacunoso di tanti mostri sacri, cresciuti fra due cuochi e fra due fuochi, selezionati e allevati come animali da competizione. Tanto che la sua anomalia ha dato lungamente fastidio: discusso dalle guide, messo alla gogna da una trasmissione televisiva, che ha incredibilmente segnato la storia della cucina, ha infine nuovamente trionfato in questi giorni, quando è stato acclamato per la seconda volta migliore cuoco del mondo dalla giuria dei 50 Best. Lui che ha portato la cucina italiana dove non era mai arrivata.
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Così il sondaggio ha visto giusto, individuando forse l’unica strada che la cucina può ancora percorrere, oggi che tutto sa di déjà-vu, quando si è irrimediabilmente esaurito il potere di shock che aveva armato Ferran Adrià e René Redzepi, facendo alzare le braccia a un’epoca intera.
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Forte di un solido senso del gusto e di un palato assoluto, dove il diapason dell’eleganza entra nell’amplificatore della potenza, sempre più audace, netto e contemporaneo nelle sue espressioni, Massimo Bottura ha trovato la via di uscita in un’italianità purissima. Che passando per la transavanguardia, l’arte povera e concettuale, ascendeva al Michelangelo che rivendicava di dipingere col cervello, anziché con le mani. Cosicché l’inferiorità del non-cuoco si è rovesciata in supremazia mondiale.
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L’intelligenza innanzitutto di non cadere nella trappola imitativa e vagamente arrivistica delle arti maggiori come è uso di troppi. È piuttosto sbattendo con forza uguale e contraria su ciò che non è, beyond beyond per così dire, che la cucina può tornare sé stessa, ancor più sé stessa, al centro del sapore. Vale anche per il sociale e nella fattispecie per la fortunata iniziativa del refettorio, diffusasi su scala internazionale, di nuovo in dialogo con l’arte contemporanea. Ha testimoniato una nuova missione dei cuochi, un “cucinare largo” come il “pensare largo” di Kant, “che si elevi al di sopra delle condizioni soggettive particolari /…/ e rifletta da un punto di vista universale (che può determinare soltanto mettendosi dal punto di vista degli altri)”. Gli altri: gli ultimi, gli esclusi. La novità più dirompente e scandalosa della cucina contemporanea.