Un’ibridazione dell’osteria bolognese con le usanze cosmopolite e metropolitane: è l’esperimento tentato da Bruno Barbieri al Fourghetti di Bologna
La Storia
La Storia del Fourghetti
Voci accese in sottofondo, quasi un diverbio durante la riunione prima del servizio del pranzo. “Io e lo stylist da una parte, i restanti dall’altra. Fra un po’ ci azzuffavamo per la camicia dei camerieri. In un ristorante stellato dovrebbe essere inamidata, stirata, impettita; ma qui? E non significa trasandatezza, ma studio del tessuto e del taglio: è in questa chiave che va letta”. Maglioncino a V e colletto appuntito sopra i jeans, Bruno Barbieri si concentra sugli ultimi dettagli: la parete verticale di muschio, l’insonorizzazione, i motivi a insetto che riprendono il soprannome di Bruco dentro il suo Fourghetti, ovvero Forget it. Dimenticati dei crucci della giornata come delle lambiccature di una cucina giurassica. Perché l’era snob è finita da un pezzo.
Appena fuori porta, sulla trafficatissima via Murri, sono infatti le porte di un bistrot ad aprirsi, negli spazi rinnovati della storica locanda Sterlino, dove aveva soggiornato anche Goethe. Qui i bolognesi vanno a tirar tardi, fino alle due di notte, come si faceva nelle osterie, istituzione cittadina fin dai tempi del Mitelli. Ma l’atmosfera è internazionale: lo chiarisce il bancone dell’american bar, dove si può mangiare o passare per un bicchiere prima di spostarsi altrove. “Niente di gastronomico, perché nel 2002 il mondo è cambiato, insieme al nostro modo di approcciarci alla ristorazione e a noi stessi”, spiega Barbieri. “Quindi ho deciso di essere più libero, easy, alternativo, offrendo alle persone la possibilità di muoversi in modo diverso, senza sentirsi perennemente sotto esame; chi ha voglia di assaggiare la mia cucina può perfino chiamarmi a casa. In tavola ho voluto togliere e semplificare: non ci sono le tovaglie, ma oggetti che lanciano messaggi e un solo tipo di bicchiere per tutti i vini. Come quando i jeans sono entrati nel costume negli anni ’60: il bistrot non è un escamotage, ma un’idea di libertà”.
La cucina segue: ci sono le icone cittadine (tortellini, zuppa imperiale, cotechino), ma anche alcuni classici di Barbieri, come la faraona e il soufflé di baccalà, eseguiti senza variazioni, e portate contaminate, che recano le tracce di una quotidianità globale e di tanti viaggi, soprattutto in Medio Oriente. “Quando ho aperto quest’estate tutti si aspettavano un ristorante formale con una cucina stilizzata. Invece no. La contemporaneità è stropicciata. Ed è un format che replicheremo a Miami già nel 2017, poi a Dubai e Singapore. Location in cui si dovrà respirare l’atmosfera della casa madre, con declinazioni locali, perché siamo un brand italiano. E da Bologna, la mia città, partirà gran parte delle materie prime, come le carni di Ferretti a Reggio Emilia, che lavora per noi in esclusiva”.
“Vengo appena posso e ne sento il bisogno. Le riprese della sesta edizione di Masterchef sono già finite e lasciatemi dire che il food in televisione ha giovato, facendo capire alla gente che attraverso il cibo possiamo raccontare la storia del nostro paese e cambiare il modo di mangiare anche in casa. Sono molto felice di averlo fatto, perché abbiamo dato voce al sogno di tante persone, italiani bizzarri, storti, divertenti, che ne sanno una più del diavolo. Qualche anticipazione? Ci saranno quattro giudici più cattivi, simpatici e glamour che mai”.
Lo shaker è uno scettro nelle mani di Salvatore Castiglione, nato e formatosi a Torino, capitale italiana della caffetteria e della miscelazione, al Caffè Torino e da Baratti & Milano, discepolo di Mauro Lotti e Dario Comini nonché formatore Illy, anche in Francia. Un percorso che gli consente di innestare su solide basi italiane suggestioni internazionali e contemporanee, cogliendo al balzo la moda risorgente della miscelazione, dopo decenni di oblio dovuti a mere ragioni di cassa sul servizio. I suoi cocktail sono suddivisi in tre tipologie: i classici, i rivisitati (rispettosi delle aspettative, ma personalizzati tramite essenze o affumicature) e la cucina nel bicchiere, con bevande ottenute da preparazioni o mediante tecniche dei cuochi, miscelando ingredienti quali brodo di cappone, uova di salmone e ostriche, chutney, distillati e infusioni, spume e arie che variano le consistenze. Su richiesta vengono abbinati anche ai piatti, approntati da un cuoco sul medesimo bancone, ed è il punto di forza del Fourghetti; vedi il Sour di vodka ai cinque pepi con chutney al pomodoro e ostrica sull’insalata di mare. Ma l’improvvisazione regna sovrana, nel tentativo di proseguire le linee della cucina per consonanza o per contrasto, con un occhio di riguardo per il titolo alcolometrico, da personalizzare sul cliente. Le materie sono di prima scelta: 300 bottiglie in larga parte artigianali e di nicchia, fra cui la gamma dell’alchimista Baldo Baldinini, di cui Fourghetti è brand ambassador insieme al Trussardi Caffè.
Il tastevin è invece appeso al collo di Marco Andreani, al fianco di Barbieri già a Villa del Quar, che amministra una carta di 150 referenze sottoposte a veloce rotazione, in espansione sul fronte di francesi e naturali; si segnala in particolare la mescita dei vini RiLuce di Giorgio Mercandelli, rare perle dell’Oltrepò Pavese, naturali oltre la biodinamica. Chef resident è infine il modenese Erik Lavacchielli, che dopo l’alberghiero ha subito seguito Barbieri a Verona e Londra e nei prossimi spin-off dovrà fungere da cinghia di trasmissione con il personale locale.
In assenza di menu degustazione, per staccare dal gastronomico, la cucina del Fourghetti è per Barbieri “la storia di una lavatrice, dove tu butti tutto dentro, schiacci un bottone ed escono messaggi nuovi. Piatti dalla vita breve, che raccontano l’emozione di un istante, la cui idea è sempre mia e la messa a punto condivisa con Erik, anche via telefono e per foto. Insieme facciamo i cambi di menu, proviamo e correggiamo nei momenti più strani, a notte fonda come all’alba, senza regole. I cavalli di razza devono correre liberi, ma il contatto è quotidiano, ovunque mi trovi rappresenta il mio tramite coi luoghi”.
I Piatti
Cartoccio di patate con intingolo di acciughe sottolio di erbe e polipo ripassato
Fonduta valdostana con cicoria ripassata, sapore di tartufo e millepunti di vitello
Il menu primaverile si preannuncia spennellato di green, pulito, incontaminato, puristico: “Appena un filo d’olio, un granello di sale, una bacca di pepe schiacciato, per trovare l’essenza della materia, e il piatto è fatto”. Ma al momento sono altri i gusti in carta. Per esempio la classica fonduta di Fontina d’alpeggio con burro aromatizzato al tartufo, dadini di lingua bollita e croccantata in padella, cicoria ripassata all’aglio, grattate di tuorlo d’uovo marinato e tartufo bianco, dove l’interpolazione carnea e vegetale è funzionale soprattutto alle consistenze. Salvatore Castiglione gioca in questo caso sul binomio formaggio-pere, utilizzando una riduzione di vermouth rosso alle pere con spezie, timo e rosmarino nella preparazione di un Americano (composto di bitter artigianale all’assenzio, vermouth rosso di Baldo Baldinini e soda alla schisandra) o di un Negroni (gin invecchiato in botti di castagno, vermouth alla menta piemontese e bitter rosso artigianale).
Tagliatelle alla bolognese del giorno dopo- Fra i classici petroniani non mancano i tortellini alla crema di Parmigiano e il brodo misto di cappone e manzo con zuppa imperiale e polpettine di bollito per lo scarto zero, da cui fuma il comfort della memoria. “Usando lo stesso brodo preparo una riduzione speziata con vermouth dry e vermouth artigianale di sangiovese, che uso per insaporire un Vodkatini. E procedo in modo analogo sui piatti di pesce, usando rapé di caviale sul Martini, uova di salmone e lime sul Vodkatini, ostriche con aceto di lamponi e scalogno oppure aceto di pomodori verdi per una variante dell’Oyster Martini del mio maestro Mauro Lotti”.
Bigné fritti e caramellati con salsa al profumo di mandarino e zeste di arancia- In chiusura il must eat sono i bignè, dolce simbolo di Mauro Gualandi, fritti e caramellati in salamandra, farciti di crema alla vaniglia Bourbon su crema inglese al mandarino con zeste di arancia candite, boccone del tempo che riporta a un inverno di tanti anni fa ad Argenta. “E qui mi piace sdoppiare il vino in un unico bicchiere, con una base di Porto secco e sopra uno zabaione leggero al Moscato, per il contrasto fra dolcezza e pulizia”.
- Altri approfondimenti su Fourghetti di Bruno Barbieri li trovate su The Tasty Ways, il nuovo webzine dedicato a protagonisti, prodotti, itinerari ed eventi della gastronomia e ospitalità internazionale: una finestra informativa per gourmet e viaggiatori buongustai.
Le fotografie di Bruno Barbieri sono di Poderi/Balbi
Tutte le altre fotografie sono di Alex Alberton
Indirizzo
Fourghetti BolognaVia Augusto Murri 71 - 40137 Bologna
Tel. +39 051 391847
Mail: info@fourghetti.com
Il sito web del ristorante