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Plates, 4 mesi di lista d’attesa per il 1° stellato veg inglese: “Attiriamo anche i ‘carnivori’”

di:
Elisa Erriu
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copertina plates london

Le prenotazioni sono piene fino a fine marzo, e il flusso non accenna a diminuire. Il tutto in un Paese in cui la popolazione vegan non supera il 3% degli adulti. Un dato che rende la crescita di Plates ancora più interessante da analizzare: molti fra i clienti sono onnivori, ma accolgono con entusiasmo i piatti green.

Il ristorante

Plates non si presenta come una bandiera piantata nel terreno del veganismo, e forse è proprio questo il segreto del suo magnetismo. C’è una delicatezza quasi teatrale nel modo in cui illumina una scena gastronomica in continuo mutamento: non alza la voce, non rivendica appartenenze, non si definisce attraverso negazioni. Propone un gesto, una visione, un modo diverso di pensare il gusto. E così, nel giro di diciotto mesi, il ristorante di Kirk Haworth è diventato il primo ristorante totalmente plant-based del Regno Unito a conquistare una stella Michelin, attirando una clientela che, sorprendentemente, vegan non è. Anzi: la stragrande maggioranza dei suoi ospiti continua a mangiare carne e pesce altrove. Un paradosso solo apparente, che racconta molto più di una moda o di una semplice curiosità alimentare.

Kirk Haworth1 Main
 

Kirk Haworth, che il ristorante lo ha costruito con la sorella dopo anni trascorsi in cucine stellate in mezzo mondo, è perfettamente consapevole dell’ambiguità che circonda la parola “vegano”. È un termine che spesso genera aspettative rigide, scelte ideologiche, schieramenti. Lui preferisce una via opposta, quasi disarmante nella sua semplicità: «Io dico sempre che siamo un ristorante fine dining. Non dico che siamo vegani. Il cibo va giudicato sul sapore». Lo afferma ai microfoni dell'Independent con quella sicurezza pacata di chi sa che la qualità non ha bisogno di slogan. E aggiunge un dettaglio rivelatore: «Circa il 95% dei nostri clienti continua a mangiare carne o pesce altrove», essendo onnivora. L’alta cucina vegetale, insomma, non è più un territorio riservato agli adepti: sta diventando un linguaggio trasversale, capace di incantare anche chi non si riconosce nella cultura plant-based.

Plates London Dish
 

Questa apertura è uno dei motivi per cui Michelin ha definito Plates un luogo dal “vibe naturale, terroso”, dove i vegetali ricevono un’attenzione rara, quasi devota. Non si tratta di replicare la forma di una bistecca o di imitare un filetto di pesce; l’ambizione è un’altra. «Non cerchiamo di sostituire la carne né di imitare il pesce» spiega Haworth. «Valorizziamo acidità, umami e quelle stratificazioni che rendono il palato vigile». È un modo di cucinare che non dichiara guerra a nessuno, ma desidera costruire un lessico nuovo, libero dai riferimenti obbligati alla cucina tradizionale. Il punto di partenza di tutto questo però non è stato teorico. È stato personale. Haworth, che aveva affinato la sua tecnica in alcune delle cucine più esigenti del panorama internazionale, si è trovato a dover rivedere completamente il proprio rapporto con il cibo quando gli fu diagnosticata la malattia di Lyme più di dieci anni fa. I sintomi lo costrinsero a letto per mesi, e fu proprio in quella fase che iniziò a cucinare eliminando carne, latticini e zuccheri raffinati, alla ricerca di un modo per gestire l’infiammazione cronica. Una scelta nata per necessità si è poi trasformata in una visione culinaria vera e propria: sperimentare, assaggiare, rieducare il palato a un gusto che non avesse bisogno di appoggiarsi a proteine animali per risultare intenso, complesso, convincente.

Kirk Haworth Chef and Plates Co foudner
 

Quell’esperimento personale, coltivato in anni di pop-up e prove sul campo, ha trovato la sua forma definitiva con l’apertura di Plates. Un progetto che è maturato lentamente, quasi come una fermentazione controllata. Oggi il risultato è un ristorante che ha la solidità di un luogo sicuro, capace di attrarre un pubblico costante, curioso e preparato. Le prenotazioni sono piene fino a fine marzo, e il flusso non accenna a diminuire. Il tutto in un Paese in cui la popolazione vegan non supera il 3% degli adulti. Un dato che rende la crescita di Plates ancora più interessante da analizzare: i clienti, evidentemente, non cercano un’etichetta, ma un’esperienza gustativa che li sorprenda. E la sorpresa è uno dei pilastri dell’offerta. Basta osservare uno dei piatti simbolo della stagione, le patate Cornish con nocciole tostate e albicocca agrodolce: una costruzione cromatica e aromatica che sembra progettata per mettere in discussione l’idea — ancora molto radicata — che il vegetale sia un comprimario. Qui diventa protagonista assoluto, ma senza retorica. Ogni elemento parla per se stesso, suggerendo che il fine dining vegetale non ha necessità di dimostrare nulla, perché funziona quando è fatto bene, punto.

Plates London Dish2
 

Il pubblico, dal canto suo, recepisce immediatamente questa intenzione. Molti ospiti arrivano con prudenza, spinti magari dalla fama della stella o dalla curiosità, ma poi si lasciano sorprendere da un gusto che non si aspettavano. Haworth racconta di un cliente che, a metà cena, gli ha detto di sentirsi “un uomo cambiato”. Non tanto per un’improvvisa conversione etica, ma per la consapevolezza che un piatto completamente vegetale potesse essere così ricco, incisivo, memorabile. È proprio questo lo scarto culturale che rende Plates un caso di studio: dimostra che il plant-based contemporaneo non ha bisogno di usare il linguaggio della privazione, ma quello dell’opulenza equilibrata, della profondità aromatica, della tecnica raffinata. La Michelin, assegnando la stella, ha sancito il valore di questo approccio. Un riconoscimento che Haworth non vive come un traguardo, ma come una conferma che la direzione intrapresa è solida. E quando parla del futuro, lo fa con la stessa sobrietà che caratterizza i suoi piatti: nessuna espansione, nessun secondo indirizzo, nessuna corsa all’apertura seriale. L’obiettivo è perfezionare, rendere l’esperienza ancora più precisa, più coerente, più incisiva. Forse, un giorno, arrivare alla seconda stella. Una possibilità che sembra meno utopistica di quanto si possa immaginare, visto che Plates ha già stravolto una serie di preconcetti radicati nella ristorazione britannica.

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