Chef

Jeremy Chan: "I premi? Una benedizione e una maledizione: con la fama più critiche”

di:
Elisa Erriu
|
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“Arrivano più aspettative, clienti più esigenti, e con la notorietà aumenta anche la possibilità che qualcosa vada storto. È davvero una benedizione e una maledizione”.

La notizia

Il successo, quando arriva all’improvviso, non è mai un abito che calza alla perfezione dal primo istante. Brilla, seduce, ma può anche stringere. È ciò che raccontano i cuochi che, negli ultimi anni, hanno ricevuto il One To Watch Award, il riconoscimento di The World’s 50 Best Restaurants sostenuto da American Express Resy, che individua quei ristoranti giovani e dirompenti destinati a cambiare il panorama gastronomico. Un trampolino di lancio che porta entusiasmo e notorietà, ma anche aspettative crescenti e pressioni inattese. Lo conferma uno speciale recentemente pubblicato proprio sul sito di 50 Best, che interpella numerose voci della ristorazione contemporanea. Ed ecco che il rovescio della medaglia non tarda a mostrarsi. «In un certo senso diventa più difficile dopo aver vinto», ammette Jeremy Chan, chef e co-proprietario di Ikoyi a Londra. «Arrivano più aspettative, clienti più esigenti, e con la notorietà aumenta anche la possibilità che qualcosa vada storto. È davvero una benedizione e una maledizione».

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@Maureen M. Evans

Nonostante i timori, Ikoyi non solo ha mantenuto la sua identità, ma ha scalato vertiginosamente la classifica: nel 2025 ha raggiunto il n.15 ed è stato premiato come Highest Climber. Un percorso che dimostra come la chiave stia nella capacità di restare coerenti con la propria visione, pur sotto lo sguardo del mondo. A spiegare il potere immediato di questo premio è Björn Frantzén, che lo vinse nel 2011 con il suo allora Frantzén/Lindeberg. Oggi dirige un piccolo impero con insegne a Stoccolma, Bangkok e Singapore e il suo Frantzén occupa la posizione n.38 nella classifica 2025 dei 50 Best. «All’improvviso si percepiva un’energia nuova, la sensazione che qualcosa di importante stesse accadendo», ricorda. «Quella spinta iniziale è inestimabile: ha validato i rischi che avevamo corso e ha dato fiducia al team».

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@MIKAEL LUNDBLAD

La stessa impressione la attesta Riccardo Camanini di Lido 84, sul Lago di Garda, premiato nel 2019. «È un riconoscimento atipico», spiega. «A differenza di altri premi che guardano a realtà già affermate, questo accende i riflettori su ristoranti emergenti, aiutandoli a esprimere davvero la loro creatività».

La lama a doppio taglio della notorietà

Il successo, spiegano i protagonisti, può illudere. «Amplifica tutto, pregi e difetti», osserva ancora Frantzén. «La sfida è rimanere con i piedi per terra, circondarsi di persone migliori di te nei loro ruoli e non perdere chiarezza e coerenza». Un monito condiviso anche dai fratelli Riccardo e Giancarlo Camanini: «Bisogna quasi dimenticare subito il premio e tornare al lavoro con passione e umiltà».

fratelli camanini
 

 Anche per Eduard Xatruch, che insieme a Mateu Casañas e Oriol Castro ha fondato Disfrutar a Barcellona nel 2014, il premio è stato motivo di gioia ma non di deviazione dal percorso. «Non abbiamo mai lavorato pensando ai riconoscimenti», sottolinea. «Il nostro obiettivo è sempre stato costruire un progetto solido, capace di esprimere il nostro modo di intendere la cucina e la creatività». Una strategia che ha dato frutti straordinari: nel 2024, Disfrutar è stato incoronato The World’s Best Restaurant ed è entrato nella Hall of Fame dei Best of the Best. C’è anche un valore meno tangibile, ma fondamentale, che i vincitori del One To Watch ricordano con gratitudine: la rete di relazioni che il premio ha reso possibile. Hiroyasu Kawate, chef di Florilège a Tokyo, insignito nel 2016, definisce quell’esperienza «un’occasione di crescita, che mi ha permesso di incontrare colleghi straordinari e scambiare idee preziose». Rapporti che considera «un vero tesoro», capaci di orientare la sua cucina franco-giapponese sempre più verso la sostenibilità. Un sentimento simile lo condividono i Camanini, che dopo la vittoria hanno visto arrivare ospiti da tutto il mondo, ma soprattutto hanno percepito di far parte di una comunità globale «interessata non a replicare il lusso, ma a creare qualcosa di specifico per la propria cultura, e a scoprirlo nei ristoranti degli altri».

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Il team al centro

Un filo rosso unisce tutte queste esperienze: il riconoscimento non appartiene a un singolo nome, ma all’intera brigata. Non a caso, Xatruch insiste sulla necessità di pensare anche alla sostenibilità umana ed economica, non solo a quella ambientale. «Dobbiamo superare l’idea che per essere cuochi si debba sacrificare tutto il resto. Il futuro sarà tale solo se riusciremo a garantire equilibrio tra vita professionale e personale». E se il sogno di tanti giovani cuochi resta quello di aprire un proprio ristorante, invita a un ripensamento: «Per molti anni non ci abbiamo neanche pensato. Si può essere felici e realizzati anche lavorando in un ristorante che ti valorizza e ti permette di esprimerti, senza sobbarcarsi il peso di un’impresa».

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