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In Ungheria l’exploit di Pajta: ieri fienile, oggi stellato. Il gourmet bucolico dei sogni

di:
Elisa Erriu
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«Il contesto rurale modella ogni aspetto dell’esperienza. Dagli ingredienti che utilizziamo, all’atmosfera che creiamo: ciò che offriamo è connessione, autenticità, calma».

La storia

Tra i pendii verdi dell’Őrség, dove le foreste sembrano non finire mai e i villaggi restano custoditi come segreti antichi sotto i tetti di paglia, c’è un luogo in cui la cucina non si limita a nutrire: racconta. Qui, tra i confini che uniscono Ungheria, Slovenia e Austria, un vecchio fienile restaurato ha scelto di reinventarsi. Non più rifugio di balli popolari, ma palcoscenico di un’esperienza gastronomica che intreccia natura, comunità e memoria. Il suo nome è Pajta, ed è l’unico ristorante rurale in Ungheria premiato con una stella Michelin, come racconta lo stesso sito della Rossa.

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Dietro questa metamorfosi c’è una coppia visionaria, Flóra Kvaszniczáné Marjai e Ferenc Kvasznicza, che nel 2012 hanno lasciato Budapest per ritrovare, come spiegano, “qualcosa di più autentico e sincero”. Dove gli altri avrebbero visto solo legno e travi polverose, loro hanno intravisto un futuro in cui gastronomia, cultura e natura potessero fondersi. «Volevamo creare qualcosa di significativo», ricordano, e tredici anni più tardi quel sogno è diventato un ecosistema virtuoso in cui chef, artigiani e agricoltori lavorano come voci diverse di una stessa orchestra. La struttura stessa sembra respirare all’unisono con il paesaggio. Le ampie vetrate incorniciano la distesa verde che la circonda, una parete esterna è ricoperta di foglie rampicanti, e gli interni uniscono rusticità e misura: travi di legno, fiori di campo in piccoli vasi di vetro, tovaglioli candidi e bicchieri pronti ad accogliere vini generosi. Non un lusso ostentato, ma una bellezza semplice, radicata nella terra.

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«Il contesto rurale modella ogni aspetto dell’esperienza», sottolinea Flora. «Dagli ingredienti che utilizziamo, all’atmosfera che creiamo: ciò che offriamo è connessione, autenticità, calma». Una promessa mantenuta a ogni portata. Alla guida dei fornelli c’è lo chef István Akács, custode e al tempo stesso innovatore. Le sue creazioni sono definite “oneste e senza fronzoli”, ma dietro questa apparente semplicità si cela un lavoro raffinato, che parte sempre dall’integrità della materia prima. «Cuciniamo quello che amiamo davvero: sapori netti, espressivi, che rispettano l’essenza degli ingredienti», spiega. Il risultato? Piatti che oscillano tra la memoria ungherese e suggestioni globali: trota con cavolo rapa e grano saraceno, petto d’anatra con carota e gnocchi, ma anche un ceviche con cetriolo che strizza l’occhio all’America Latina. I menù cambiano con le stagioni e con le raccolte dei produttori locali, ma mantengono sempre una linea di chiarezza e intensità.

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Il piatto più caro allo chef è un omaggio alla sua passione personale: i funghi. Li raccoglie lui stesso nei boschi e li trasforma in una creazione che unisce tortellini ai funghi, pecorino e tè ottenuto da garum di funghi. «È il piatto che più rappresenta chi sono e come cucino», racconta. La forza di Pajta non è solo nella sua cucina, ma nel tessuto umano che la sostiene. Fin dall’inizio, Flóra e Ferenc hanno costruito una rete di produttori locali: allevatori, casari, agricoltori biologici, artigiani della ceramica e persino tessitori. Ogni piatto diventa così il frutto di una collaborazione, un mosaico di mani e saperi che convergono nello stesso gesto creativo. Lo chef Akács racconta con orgoglio questo lavoro di squadra: «Quando un piatto regala gioia al cliente, so che dietro c’è la dedizione di molte persone. Dal formaggio che ha richiesto mesi di stagionatura, alla frutta coltivata con cura sin dall’inverno: è un lavoro corale, fatto di precisione e fiducia».

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Il calice accompagna il piatto con pari autorevolezza. La cantina celebra innanzitutto le ricchezze ungheresi, dalle bottiglie vulcaniche di Somló ai bianchi freschi di Badacsony, fino alle immancabili dolcezze di Tokaj. Ma lo sguardo si allunga oltre i confini, con rossi del Leithaberg austriaco, spumanti sloveni e abbinamenti pensati ad hoc per raccontare il tri-confine tra Ungheria, Austria e Slovenia. Una geografia liquida che arricchisce il viaggio gastronomico. Per chi desidera prolungare l’esperienza, dal 2023 Pajta offre Kástu, sette lodge in legno e vetro immersi nella foresta, a mezz’ora a piedi dal ristorante. Architetture essenziali ma calde, con finestre a tutta parete che regalano scenari mutevoli: il prato che fiorisce di giorno, il cielo stellato che avvolge la notte.

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Il soggiorno diventa occasione per pedalare tra i paesaggi dell’Őrség, lasciarsi sorprendere dai cambi di stagione e, dal 2025, persino rigenerarsi in una sauna tra gli alberi. «Rimanere a Kástu permette ai nostri ospiti di immergersi nella bellezza naturale e completare davvero il viaggio che Pajta rappresenta», dice Ferenc. In un’epoca in cui la ristorazione di alta gamma sembra spesso relegata alle grandi città, Pajta dimostra che la campagna non è affatto periferica: può essere centro pulsante di creatività e innovazione gastronomica. Con la sua stella Michelin conquistata lontano dai riflettori, questo ex fienile trasformato in ristorante è diventato il simbolo di una cucina che non rincorre il superfluo, ma si nutre di autenticità, relazioni e tempo.

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Mangiare da Pajta non significa solo assaggiare piatti: significa entrare in dialogo con un territorio, con i suoi produttori, con chi ha deciso di restare fedele alla terra e trasformarla in esperienza sensoriale. È un invito a rallentare, a sedersi davanti a un piatto che racconta storie, e a scoprire che anche i boschi più silenziosi possono brillare di stelle.

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