Dalla fattoria dei nonni in Normandia alle cucine stellate del Cheval Blanc Paris, Maxime Frédéric ha trasformato ingredienti essenziali come latte, burro e zucchero in creazioni che uniscono memoria, rigore e poesia quotidiana.
Non tutti i grandi cuochi nascono tra i fornelli stellati. Alcuni trovano la propria vocazione tra il profumo di stalle appena pulite e il vapore tiepido del latte appena munto. È il caso di Maxime Frédéric, eletto Miglior Pasticcere del Mondo 2025 (premio sponsorizzato da Sosa) come riportato da theworlds50best, che racconta la sua storia come fosse una lunga lievitazione: lenta, naturale e tenace, fino a trasformarsi in pane fragrante pronto a nutrire gli altri.
Gli inizi
La sua infanzia in Normandia ha avuto come cornice la fattoria dei nonni, popolata da mucche da latte e da torte improvvisate che nascevano senza pretesti particolari: uno yogurt fatto in casa, una torta di mele, un dolce al cioccolato. Non c’era bisogno di un’occasione: “Ci sedevamo sul bancone, i piedi penzoloni nel lavandino, e mescolavamo l’impasto senza badare al disordine. Credo che da lì sia scattata la scintilla che mi ha portato a diventare fornaio, pasticcere e cioccolatiere”, ricorda Frédéric.
Il latte, elemento quotidiano della sua infanzia, è stato il primo ingrediente a forgiare la sua identità gastronomica. Con quello preparava la teurgoule, tradizionale riso al latte cotto lentamente in forno e profumato alla cannella, dolce tipico della sua terra. Non è difficile intravedere, in questa semplicità, la radice della sua ossessione: trasformare i prodotti essenziali in esperienze straordinarie.

Se il latte fu il primo maestro, la televisione completò l’opera. Maxime era affascinato dai programmi culinari francesi – da Bon Appétit Bien Sûr con Joël Robuchon al canale Gourmet TV – che gli mostrarono un mondo lontano dalle campagne normanne: quello delle grandi brigate, delle cucine lussuose, della creatività senza confini. Nessuno in famiglia faceva quel mestiere, “erano tutti contadini”, racconta. Eppure lui già alle scuole medie annunciò ai genitori: “Voglio diventare boulanger-pâtissier”. Non sapeva ancora esattamente cosa comportasse, ma sognava un universo fatto di lieviti, zucchero e collaborazione, attratto dalla magia di creare l’infinito partendo da tre ingredienti universali: farina, uova e zucchero.
La carriera
Dopo il diploma CAP in pasticceria, passò dal forno di un piccolo villaggio alla capitale. A Parigi lo attendeva Le Meurice, dove divenne il braccio destro di Cédric Grolet per quattro anni. Poi fu nominato capo pasticcere al George V e, sei anni fa, entrò nella squadra del Cheval Blanc Paris, fianco a fianco con Arnaud Donckele. “Eppure”, ammette, “mi sembra ancora solo l’inizio”.
La carriera di Frédéric è segnata da creazioni che sono veri racconti personali. Il suo vacherin – meringa decorata con petali disposti a formare una rosa – è un omaggio diretto alla nonna Rosa, che amava modellare fiori di cioccolato e zucchero. Quel dolce, nato come primo esperimento di “firma”, ancora oggi compare in carta da Plénitude. Ogni petalo è più che un ornamento: è un ricordo trasformato in materia commestibile.

Eppure la consacrazione arrivò con un altro dolce, ben più rigoroso: il millefoglie di Le Tout-Paris. Tre anni di prove maniacali per arrivare a ciò che oggi è considerato un punto di riferimento assoluto. Burro, zucchero, sfoglia e crema: nulla di più, nulla di meno. Eppure l’essenziale, lavorato fino alla sua forma più pura, diventa sublime. “È indulgente ma leggero, e si sente davvero il gusto del burro e dello zucchero”, spiega Frédéric. Un ossimoro dolcissimo: complesso nella sua semplicità.
Filosofia
Il suo approccio alla pasticceria non si limita a proporre “twist” moderni sui dolci della tradizione. Frédéric preferisce smontare e ricostruire da zero i grandi classici – Paris-Brest, Saint-Honoré, Charlotte, profiteroles – per riportarli all’essenza, spogliati da ogni fronzolo. Non “reinterpretazioni”, dunque, ma remaster gastronomici, come se i dolci fossero partiture musicali da riportare al loro suono più limpido. È questo lavoro meticoloso che rende riconoscibile la sua firma.
Se i ristoranti del Cheval Blanc rappresentano la sua arena creativa – quattro insegne, da Plénitude a Langosteria – il progetto Pleincœur nel quartiere Batignolles di Parigi racconta un’altra anima di Frédéric: quella del fornaio di villaggio. Insieme alla moglie Claire e a cinque amici fidati, ha aperto un forno di quartiere dove pane, croissant e baguette condividono lo spazio con cioccolati artigianali e un caffè importato direttamente dalla fattoria di famiglia in Bolivia. Le uova, invece, arrivano ancora una volta dalla Normandia. Pane e memoria, chicchi e radici: la geografia personale di Maxime si legge già nella lista della spesa.

Di recente ha inaugurato un nuovo laboratorio dedicato a nocciole e cacao coltivati in proprio, con l’idea di proporre presto anche masterclass. Non solo alta pasticceria, dunque, ma una artigianalità accessibile, fatta per nutrire una comunità e non solo l’élite che cena nei palazzi stellati.
Oggi, mentre prepara le nuove galette des rois e le bûche de Noël per il prossimo Natale, Frédéric confessa che la sua felicità non dipende dal contesto: “Che io stia impiattando un dessert da Plénitude o cuocendo una baguette a Pleincœur, lo amo allo stesso modo. Si tratta di dare felicità alle persone, attraverso la gioia quotidiana del pane o il piacere speciale di un dolce legato a un momento importante”.
Così il ragazzo che impastava riso al latte in Normandia è diventato un riferimento mondiale, ma senza smettere di pensare come un fornaio di paese: con mani che lavorano la materia e con una sensibilità che trasforma l’ordinario in straordinario. Perché in fondo, per lui, la vera pasticceria è questo: un atto di poesia quotidiana, scritto con zucchero, farina e memoria.
